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Carlo Borromeo detto/a San Carlo Borromeo

2 Ottobre 1538 - 3 Novembre 1584

Scheda

ARMA: Inquartato, nel 1° (alto a sinistra) e 4° (basso a destra) dei Medici, nel 2° (alto a destra) e 3° (basso a sinistra) di rosso al morso di cavallo di nero posto in banda.
Lo scudo è cimato da una croce trilobata d'oro e sormontato da un cappello cardinalizio con cordoni e fiocchi laterali.
Il cartiglio sottostante dice: S. CAROLVS CARD. / BOROMEVS ITERVM / LEG. 156[6] (S. Carlo Borromeo. Di nuovo Cardinale legato 1556[6]).

Lo stemma dipinto sul muro appare inquartato con quello Medici che è posto nel 1° e 4° inquarto (Arma di padronanza o di concessione). Nel 2° e 3° inquarto l'arma Borromeo che era molto più complessa, appare ridotta solamente alla sua figura più caratteristica: il morso di cavallo, che qui è dipinto in nero ma nell'arma autentica è d'oro.

Santo Legato a Bologna

26 aprile del 1560 deputatus legatus ad biennium
17 agosto del 1565 iterum legatus; permanenza in carica documentata per l'ultima volta il 22 maggio del 1566

Appartenente ad una nobile ed antica famiglia feudale lombarda, figlio terzogenito di Giberto, conte di Arona, e di Margherita di Bernardo de' Medici, sorella di Giovanni Angelo de' Medici, cardinale eletto papa il 25 dicembre 1559 con il nome di Pio IV. 
Indirizzato alla prelatura in quanto figlio cadetto, deve alla famiglia e allo zio materno le dignità ecclesiastiche e la precoce e brillante carriera. Tonsurato e nominato abate commendatario dell'abbazia dei SS. Graziano e Felino di Arona a soli sette anni (rispettivamente il 13 ottobre e il 20 novembre 1545), dopo studi classici studiò dal 1552 diritto a Pavia, dove si addottorò in utroque iure il 6 dicembre 1559. 
Trasferitosi a Roma in seguito all'elezione al pontificato dello zio materno, venne da Pio IV creato cardinale a soli ventidue anni (31 gennaio 1560). Ricevette numerose cariche e beni: segretario di Stato (8 febbraio 1560), cardinale della Segnatura di Grazia, amministratore della diocesi di Milano (7 febbraio 1560), abate commendario di una dozzina di abbazie, legato di Romagna e di Bologna (deputato il 26 aprile 1560 per un biennio e di nuovo da 17 agosto 1565, documentato in carica fino al 22 maggio 1566), governatore di città dello stato pontificio (ivita Castellana nel 1561, Spoleto nel 1562, Terracina nel 1564), protettore del Regno di Portogallo e dei Paesi Bassi, arciprete di S. Maria Maggiore, gran penitenziere. 
Si dedicò anche agli interessi della famiglia, per creare attraverso strategie matrimoniali una rete di alleanze famigliari, e alla gestione dei beni fondiari. I compiti connessi all'ufficio di segretario di Stato nel delicato periodo della conclusione del Concilio di Trento e la cura degli affari di famiglia non gli impedirono di dedicarsi agli studi: a Roma fondò l'accademia delle Notti Vaticane, con cui per tre anni (1562-1565) coltivò la tradizione letteraria umanistico-rinascimentale, prima di rivolgersi alla letteratura sacra, scritturale e patristica. 
Un momento determinante e di svolta nella vita di Carlo Borromeo è costituito dalla morte del fratello maggiore, Federico (28 novembre 1562). Di fronte alle pressioni famigliari per lasciare lo stato ecclesiastico, porsi a capo della famiglia e dedicarsi come il fratello alla carriera militare, Carlo Borromeo decise definitivamente per lo stato ecclesiastico, si fece ordinare prete (segretamente il 17 luglio 1563, in Santa Maria Maggiore dalle mani del cardinal Federico Cesi il 4 settembre 1563) e consacrare vescovo il 7 dicembre 1563, festa di Sant'Ambrogio. Tra gli elementi che influenzarono questa decisione vi sono i rapporti con i gesuiti (faceva gli esercizi spirituali sotto la direzione di padre Giovanni Battista Ribera S. J.), con i teatini, i consigli e il modello dell'arcivescovo di Braga, il domenicano Bartolomeo de Martiribus. Decisiva tuttavia fu l'intenzione di conformarsi con la sua vita all'immagine e all'ideale di vescovo delineata dai canoni del concilio di Trento. Nominato arcivescovo di Milano (12 maggio 1564), ancora impegnato a Roma per la stesura del catechismo, la revisione del messale e del breviario e nella commissione per la riforma della musica sacra, condusse da Roma un programma di applicazione dei decreti tridentini nella diocesi di Milano attraverso Nicolò Ormaneto, prete di eccellenti qualità, già collaboratore del vescovo di Verona Gian Matteo Giberti e del cardinale Reginald Pole. 
Al servizio della diocesi di Milano, Ormaneto vi giunse il I° luglio 1564 come vicario generale di Carlo Borromeo e fedele esecutore delle sue istruzioni: organizzazione di un sinodo diocesano per un programma di applicazione dei decreti tridentini e di assunzione di misure disciplinari nei confronti degli abusi, assistenza dei gesuiti e loro inserimento nel seminario, creato e inaugurato in quello stesso anno.
Ottenuta dal papa l'autorizzazione a lasciare Roma, fece ingresso solenne a Milano il 23 settembre 1565. 
Dalla diocesi si assenterà soltanto in rare circostanze, fra cui i viaggi a Roma per l'assistenza religiosa al trapasso dello zio papa, per i conclavi, per l'anno santo del 1575, in occasione di conflitti di giurisdizione con il potere temporale, i governatori spagnoli del ducato di Milano, per pellegrinaggi a Loreto e alla Sacra Sindone, le visite alle valli svizzere.
Come a Bologna il cardinal Paleotti, Borromeo ritiene che la riforma delle diocesi passi attraverso la guida del vescovo, per cui la sua pratica è improntata a rafforzare il prestigio, l'autorità e i poteri del vescovo, in primis nell'organizzazione della sua diocesi.
Nelle scelte pastorali Carlo Borromeo considera di primaria importanza la celebrazione di sinodi diocesani e concili provinciali, l'effettuazione di visite pastorali della diocesi, l'attività di visitatore apostolico delle diocesi suffraganee.
La sua insistenza per una autonomia della giurisdizione ecclesiastica di fronte alle interferenze del potere temporale nelle questioni ecclesiastiche determinarono una conflittualità costante tra il vescovo da una parte, i governatori spagnoli ed il senato milanese dall'altra; nella stessa ottica si inseriscono gli sforzi di resistere alle interferenze del centralismo romano nell'amministrazione diocesana.
Intransigente nella lotta alle superstizioni, additò anche al popolo dei fedeli le pratiche religiose sostitutive: le processioni delle reliquie, le devozioni ai santi, i pellegrinaggi. Enorme popolarità gli venne dall'essersi prodigato personalmente con carità e dedizione a favore degli appestati durante l'epidemia del 1576.
Dopo la sua morte, le congregazioni romane presentarono la figura di Borromeo come modello di vescovo, mettendo però in ombra la concezione di Borromeo del vescovo come un'autorità intermedia e indipendente tra Roma e il popolo dei fedeli.
Dopo la sua morte il popolo di Milano iniziò a tributargli culto e venerazione. L'iniziativa della promozione della sua canonizzazione parte nel 1601 dagli Oblati, congregazione diocesana di preti votati al vescovo fondata da Carlo Borromeo nel 1578, si conclude a Roma, dopo l'esame dei processi informativi da parte della Congregazione dei Riti, con la bolla di canonizzazione (1° novembre 1610) e la proclamazione di Carlo Borromeo santo.
Luogo di sepoltura: Duomo di Milano