Bolognesi in divisa militare

Bolognesi in divisa militare

1802 | 1862

Scheda

I bolognesi dovettero fare i conti per la prima volta con la divisa militare all’avvento della Repubblica Italiana napoleonica che introdusse il servizio di leva obbligatorio nell’agosto del 1802, obbligo che venne poi mantenuto nel successivo Regno d’Italia.

Erano coinvolti i maschi di età compresa dai 20 ai 25 anni e per quattro anni. Dei tanti coscritti bolognesi è persa la memoria. Di uno solo di loro è giunto a noi il ricordo, di quel Domenico Bianchini l’eroe di Tarragona, nato in Via Santo Stefano nell’agosto del 1783, poi giovane manovale con il padre muratore, più volte renitente alla leva ed infine divenuto soldato obtorto collo nei Granatieri del 6° reggimento di linea italiano nel settembre del 1806. Partecipò alla campagna napoleonica di Spagna segnalandosi all’assedio di Girona dove si meritò la promozione a caporale e la Croce della Corona di Ferro, e all’assalto di Tarragona dove, da solo, aveva catturato diversi soldati ed ufficiali nemici venendone ricompensato con la promozione a sergente, proposto per la Legion d’onore e segnalato all’ordine del giorno dell’Armata. Chiese ed ottenne di poter guidare l’assalto finale alla città dove trovò la morte. Da quella autentica scuola di formazione militare che fu la Grande Armata napoleonica uscirono un buon numero di ufficiali bolognesi, ma si contano sulle dita di una mano quelli che proseguirono nella carriera delle armi sino ad arrivare al grado di Generale, chi in un esercito e chi nell’altro dei tanti Stati allora esistenti nella penisola italiana. Nell’esercito pontificio fece la sua carriera il conte Domenico Bentivoglio, della storica famiglia di Bologna, nato nel 1781 e nel 1805 ammesso nel corpo delle Guardie d’Onore del Viceré d’Italia Principe Eugenio col grado di sottotenente, e quindi con quello di Capitano passato al 2° reggimento Cacciatori Italiani. Fece tutte le campagne dal 1808 al 1814 meritandosi promozioni e la Croce della Corona di Ferro. Sempre nell’esercito pontificio proseguì la sua carriera Giacinto Ruvinetti, nato a Bologna nel 1774 e tornato in patria nel 1815 fregiato della Croce della Corona di Ferro. Entrambi nel 1816 vennero ammessi col grado di Tenente Colonnello nel corpo dei Carabinieri Pontifici; entrambi ebbero parte importante nella repressione dei moti rivoluzionari del 1821 e del 1831; infine entrambi divennero Generali di brigata fregiati della Commenda di San Gregorio Magno e del titolo di Cameriere Segreto di Papa Gregorio XVI. Davvero un curioso epilogo per due ufficiali formati alla scuola di guerra di Napoleone.

Dall’altra parte della barricata, con i rivoluzionari, troviamo il nobile Alessandro Guidotti, nato a Bologna nel 1790 e caduto sul campo di battaglia di Treviso nel 1848. Discendente da una famiglia senatoria bolognese, nel gennaio 1806, giovanissimo, venne nominato paggio del Re d’Italia Napoleone I e pochi mesi dopo sergente nei Granatieri del corpo dei Reali Veliti. Prese parte alla campagna di Spagna, venne ferito all’assedio di Girona e ricompensato con la promozione ad ufficiale. Partecipò poi alla campagna di Russia e venne nuovamente ferito meritandosi la Croce della Corona di Ferro. Prigioniero durante la ritirata, riuscì comunque a rientrare in Italia nel 1814 entrando al servizio di Gioacchino Murat come ufficiale d’ordinanza. Alla caduta dell’impero napoleonico si ritirò dalla carriera militare ma per le sue idee liberali venne costantemente controllato dagli agenti del governo pontificio. Allo scoppio dei moti del 1821 era già pronto a mettersi al comando di un gruppo di volontari quando le truppe austriache giunsero a Bologna per reprimere sul nascere la rivolta. Per questo ritornò nell'ombra. Nel 1831 accettò di capitanare una delle formazioni rivoluzionarie e combatté e vinse contro i papalini in Umbria. Ma la parabola insurrezionale durò poco più di un mese, le truppe austriache ridiscesero in Italia, e Guidotti continuò a combattere nelle Marche finché, per non essere costretto a firmare la capitolazione, sciolse le sue truppe e partì volontariamente per l’esilio. Nel 1837 gli venne permesso di ritornare a Bologna e nel 1847 venne eletto colonnello comandante della Guardia Civica. Scoppiata la rivoluzione, nell’aprile del 1848 venne nominato Generale di brigata comandante delle truppe rivoluzionarie dislocate lungo la linea del Piave. Come spesso accaduto nella nostra storia militare, i generali erano divisi tra loro per ambizioni personali e il Guidotti finì per essere accusato di imperizia per avere ordinato la ritirata delle sue truppe su Treviso dopo un cannoneggiamento austriaco. Amareggiato da quelle che considerava vere e proprie calunnie rinunciò al grado di generale e si espose a combattere in prima fila sulle barricate di Treviso come semplice soldato fino a che una palla austriaca lo centrò in pieno petto. Oggi il suo busto in divisa da generale campeggia nella sala d’ingresso del Museo di Solferino insieme a quelli di altri sette generali caduti sul campo di battaglia e collocati a formare un ideale Stato Maggiore attorno alla statua del re Vittorio Emanuele II.

Per i nobili bolognesi che avessero avuto il desiderio di intraprendere la carriera militare, un’altra possibilità era quella di entrare nell’ esercito imperiale austriaco, fortemente presente nella Bologna ottocentesca. Così fecero il marchese Giovanni Battista Zappi (nato a Imola nel 1816) e il conte bolognese Ugo Pepoli (nato nel 1818). Entrambi iniziarono la loro carriera nell’esercito austriaco ed entrambi giunsero al grado di Generale, Zappi nell’esercito pontificio e Pepoli in quello italiano. Zappi entrò nell’esercito austriaco a vent’anni, percorse la sua carriera in cavalleria fino a divenire capitano degli Ulani. Nel 1850 lasciò l’ Austria per entrare nell’esercito pontificio dove proseguì la sua carriera nel reggimento Dragoni, poi colonnello e generale di brigata nel 1860. Prese parte alla battaglia di Castelfidardo contro i sardo-piemontesi e a quella di Mentana contro i volontari garibaldini. Nel settembre 1870 partecipò alla difesa di Roma e fu proprio lui che diede comunicazione al pro-ministro delle armi pontificie che presso Porta Pia era stata aperta una breccia. Dopo la fine dello Stato Pontificio continuò a mantenere simbolicamente la propria carica militare. Più anomala ed interessante la carriera di Ugo Pepoli, membro dell’illustre famiglia bolognese, cospiratore oltre che soldato. A soli 17 anni, nel 1835 entrò nell’esercito austriaco come cadetto volontario senza obbligo di ferma nel 1° reggimento Imperatore Ferdinando, dove prestò servizio per circa 8 anni sino al settembre del 1843 allorquando partecipò alla fallita spedizione di Ignazio Ribotti che si proponeva di marciare su Imola, farla insorgere ed impadronirsi poi dei tre cardinali (Luigi Amat di San Filippo e Sorso, Giovanni Maria Mastai Ferretti e Chiarissimo Falconieri Mellini) che villeggiavano tra Imola e Castelbolognese, per tenerli in ostaggio. Costretto all’esilio in Francia, entrò sottotenente nella Legione straniera francese nel luglio del 1845, e prestò servizio in Algeria combattendo contro gli arabi sino al 1848, quando diede le sue dimissioni per accorrere in Italia e partecipare ai moti rivoluzionari. Fu capitano nella cavalleria dell’esercito nazionale di Sicilia, venne ferito alla coscia da un colpo d’arma da fuoco nel fatto d’armi della Croce bianca il 6 maggio del 1848. Nuovamente capitano nel 1° reggimento leggiero al servizio del Governo della Repubblica Romana, ebbe modo di distinguersi in una ardita ricognizione ai monti Parioli. Esule nuovamente in Francia, nel settembre 1853 prese parte al tentativo insurrezionale di Felice Orsini nella zona di Sarzana e Massa, piano che fallì sul nascere. Nel 1855 rientrò tra i ranghi della Legione straniera e combatté in Crimea, nel dicembre dello stesso anno entrò nella Legione Anglo-Italiana al servizio del Governo britannico e vi militò fino allo scioglimento nell’agosto dell’anno successivo. Nel 1859 entrò nell’esercito dell’Italia centrale e poi in quello italiano, salendo gradatamente la gerarchia fino a divenire generale nel gennaio del 1871. Nel 1876 fu nominato dal re Vittorio Emanuele II, di motu proprio, suo aiutante di campo onorario.

Ma ritornando al semplice soldato, quale miglior occasione per indossare una divisa se non quando scoppia una guerra. All’indomani dello scoppio di quella con l’Austria, nel 1848, il territorio di Bologna divenne il centro verso il quale convergevano i vari eserciti provenienti dall’ Italia centrale e meridionale diretti ai campi di battaglia della Lombardia e del Veneto. A Bologna, intanto, venivano formandosi i vari corpi volontari che raccoglievano i patrioti più pronti all’azione. Noto per le tendenze repubblicane dei suoi componenti e per le gesta compiute sui campi di battaglia del Veneto è il gruppo che si raccolse attorno al conte Livio Zambeccari e che prese il nome di Cacciatori dell’Alto Reno. Molti i bolognesi che accorsero tra le sue fila. Tra di essi anche Angelo Masini, che di lì a poco andò a formare quel piccolo corpo di cavalleria che da lui prese il nome e che tanto si distinse alla difesa della Repubblica Romana nel 1849 dove il Masini cadde fulminato da una palla francese mentre caricava alla testa di un drappello dei suoi cavalieri. Molti i soldati volontari nati nei comuni della bassa bolognese che entrarono nel corpo dei Cacciatori del Basso Reno formatosi a Cento per marciare alla volta di Ferrara e del Veneto, e altrettanti ancora quelli inquadrati nel Bersaglieri del Reno organizzati a Bologna dal marchese Pietro Pietramellara che combatterono a Vicenza nel 1848 e poi a Roma nel 1849. E come dimenticare ancora i tanti bolognesi della Legione Civica che partirono per difendere Venezia al comando del milanese Carlo Bignami e di Carlo Berti Pichat. Per approfondire le biografie di questi bolognesi che assunsero il comando dei corpi volontari, noti se non altro per aver dato il loro nome ai viali di circonvallazione di Bologna, rimando alle schede biografiche presenti nel volume.

E i garibaldini? Quanti bolognesi salparono da Quarto nella notte del 5 maggio del 1860? Quanti li seguirono nelle successive spedizioni di soccorso? I bolognesi nella schiera dei Mille furono quattro, più uno d’adozione (Paolo Bovi Campeggi, i budriesi Giuseppe Magistris e Giuseppe Colli, Ignazio Simoni di Medicina e Guglielmo Cenni nato a Comacchio da una famiglia originaria di Imola), mentre circa quattrocento i bolognesi documentati nelle spedizioni successive. Tra questi quaranta gli ufficiali, magari ex sottufficiali promossi nel grado in virtù di precedenti esperienze militari nei reggimenti volontari del 1848-49. Molti i bolognesi che presero parte alla spedizione Pianciani, inizialmente destinata all’invasione delle Marche e dell’Umbria per sollevare le provincie dello Stato Pontificio poi dirottata in Sicilia per l’ostilità del Cavour, inquadrati nella brigata Bologna comandata dal colonnello Puppi di Siena. Il primo battaglione di questa brigata ebbe nome di Cacciatori di Bologna proprio per la forte presenza di bolognesi al suo interno. Venne posto al comando del maggiore Cattabeni di Senigallia (evidentemente Bologna non era in grado di fornire ufficiali superiori per il comando), mandato allo sbaraglio dall’imperizia del generale Türr e quindi decimato nello scontro con i borbonici nel fatto d’armi di Caiazzo sul Volturno, l’unico che vide i garibaldini soccombere. I nomi dei dieci bolognesi caduti in questo combattimento e nelle altre campagne militari del nostro Risorgimento sono incisi sulla grande lapide che ricorda i “Bolognesi morti combattendo per la libertà d’Italia” che venne posta sulla facciata del Palazzo Comunale nel 1875 in occasione del ventisettesimo anniversario dell’8 agosto 1848. Infine, una citazione per gli unici due colonnelli garibaldini bolognesi, il conte Livio Zambeccari del quale abbiamo già accennato e il nobile Francesco Pigozzi anch’egli già ufficiale superiore nei corpi volontari a Venezia e Roma nel 1848-49. Entrambi mazziniani, raggiunsero Garibaldi a Napoli ed entrarono nel suo Stato Maggiore. Il primo ebbe incarico di colonnello ispettore dell’esercito, il secondo di colonnello ispettore degli ospedali e dei quartieri. Terminata la campagna dell’Italia meridionale vennero ammessi nell’esercito regolare nonostante la pregiudiziale mazziniana. Zambeccari non ci rimase per molto: venne destituito per aver aderito al tentativo di Sarnico nel 1862; Pigozzi invece, pur non andando oltre il grado riconosciuto di colonnello, arrivò a comandare il Distretto militare di Bologna. In conclusione di questa veloce carrellata sui bolognesi che hanno indossato una divisa diremo che, se è vero che Bologna non ha dato i natali a grandi condottieri o a famosi generali, è altrettanto vero che ha comunque dato alle armi tanti giovani volontari, ed è indubbio che il volontarismo costituisce l’anima vera e profonda del Risorgimento Italiano. E in questo anche Bologna ha fatto la sua parte.

Luca Giovannini

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