Salta al contenuto principale Skip to footer content

Alberto Bergamini

01 giugno 1871 - [?]

Scheda

Alberto Bergamini, da Luigi e Gaetana Ansaloni; nato l’1 giugno 1871 a San Giovanni in Persiceto. Giornalista. Monarchico e liberale. Ancora studente, diresse il periodico «L'Eco di Persiceto»; dal 1888 iniziò a collaborare a «il Resto del Carlino» e dal 1899 al «Bologna», due quotidiani di orientamento democratico e radicale.
Raggiunse presto grande prestigio professionale, per cui nel 1890 fu assunto dal «Corriere del Polesine», il quotidiano di Rovigo, del quale divenne direttore nel 1893.
Lasciò quel giornale nel 1898 quando si trasferì a Roma nella redazione del «Corriere della sera». Spostatosi su posizioni politiche conservatrici, venne incaricato da Sidney Sonnino di dare vita a un quotidiano di destra che vide la luce alla fine del 1901 con il nome di «Giornale d'Italia». Il nuovo quotidiano, assunse presto un ruolo molto importante nel mondo politico e fu sempre conservatore e antigiolittiano. Il giornale divenne famoso anche per la «terza pagina», presto imitata da altri fogli.
Nel 1906 si presentò candidato per i conservatori nel collegio di San Giovanni in Persiceto, ma venne battuto dal socialista Giacomo Ferri, il quale lo sconfisse anche nelle elezioni del 1909. Fu interventista e nel dopoguerra - venne nominato senatore nel 1920 - appoggiò decisamente il nascente movimento fascista. Sostenne che liberali e fascisti «sono identici e noi liberali possiamo rivendicare di essere stati, per così dire, prefascisti, quando era di gran moda essere democratici». Dei fascisti, quando cercarono di egemonizzare il PLI, scrisse: siamo «alleati, non vassalli». Si accorse del grave errore politico compiuto nel 1923 e cominciò a spostarsi, sia pure lentamente, su posizioni di opposizione al regime. Fu eletto presidente della Federazione nazionale della stampa, battendo il candidato fascista, ma il 9 dicembre 1923 dovette abbandonare la direzione del giornale.
Il 26 febbraio 1924 una squadra di fascisti lo aggredì e lo pugnalò per la strada e il mese dopo fu costretto a lasciare la presidenza della Federazione della stampa. Si isolò dal mondo politico antifascista e nel 1925 non firmò il manifesto preparato da Croce contro il regime dittatoriale.
Proseguì la sua battaglia politica in difesa della democrazia al Senato, anche se era sempre più isolato, dopo essere stato espulso dall'albo dei giornalisti nel 1926. In quell'anno parlò contro l'istituzione del Tribunale speciale e la pena di morte; nel 1928 contro la legge elettorale e nel 1929 contro i Patti lateranensi. Il discorso contro la conciliazione tra stato e chiesa fu il suo ultimo atto politico. All'inizio degli anni trenta lasciò Roma e si trasferì a Gubbio (PG) dove rimase, in volontario esilio, sino al 1942.
Ritornò nella capitale nel 1942 e nel 1943 fu, con Benedetto Croce e altri, uno dei promotori del Movimento di ricostruzione liberale.
Con la caduta del fascismo, gli fu affidata nuovamente la direzione del «Giornale d'Italia» che conservò sino all'8 settembre 1943. Nello stesso periodo ricoprì la carica di vice presidente della Federazione nazionale della stampa.
Arrestato dai fascisti l'1 novembre 1943, restò in carcere sino al 27 gennaio 1944 quando fu liberato assieme ad altri, da un'ardimentosa azione dei patrioti.
Il 7 giugno 1944, dopo la liberazione di Roma, fu eletto presidente della Federazione della stampa, ma dovette lasciare quella carica qualche tempo dopo, perché accusato di avere sostenuto il fascismo nel primo dopoguerra. Non gli venne riaffidata la direzione del «Giornale d'Italia», perché i nuovi proprietari, gli posero delle condizioni politiche che ritenne inaccettabili. Nell'ottobre 1944 fu tra i fondatori della Concentrazione nazionale democratico-liberale che poi confluì nel PLI. Fu sempre fedele alla monarchia e nel 1945 rappresentò il PLI alla Consulta.
Il suo nome è stato dato a una strada di Bologna e a una piazza di San Giovanni in Persiceto. Ha pubblicato: Lettere di Alberto Bergamini dal carcere e dalla clandestinità a Marcella Manfroni, a cura di M. Gandini, in "Strada maestra", n.9, 1976, pp.135-48. [O]