Schede
L’esecuzione del progetto fu commissionata a Golfarelli dalla contessa Maria Bertoccini a perenne memoria del marito Pietro Roverella e del suo lascito testamentario in favore dei poveri di Cesena. Una pia beneficenza, puramente laicale, per tutti quegli indigenti e miserabili che giunti all’ultima stagione della vita e privi dell’ausilio di qualsivoglia sussidio, fossero impossibilitati a procacciarsi la quotidiana sussistenza con il lavoro. Egli disponeva che con i redditi indicati nel testamento si erigesse, presso l’ex convento delle suore Santine, un ricovero cittadino per il sostegno di tutti i bisognosi, dove fornire vitto, alloggio e vestiario, secondo le forze economiche della beneficienza stessa. Golfarelli fu chiamato a progettare l’intero complesso architettonico della cella, compreso il busto della committente Maria Bertoccini, realizzato con lei ancora in vita. All’interno, sopra un elegante basamento, si erge il monumento funebre, eseguito a grandezza naturale, con accuratezza e sottile diligenza, dove l’Angelo della Carità, sorvolando lieve, rasente terra, si fa guida ad un povero vecchio, che tiene per mano, quasi animandolo al cammino. Il 7 e l’8 ottobre 1899, a pochi giorni dall’invio al cimitero di Cesena, Golfarelli espose il gruppo nel suo studio di Via degli Angeli n° 20 a Bologna, ottenendo un immediato riscontro di pubblico e critica.
Egli propone un gruppo armonico che può, a ragion veduta, considerarsi l’esito di un progetto artistico completo, dalla composizione armoniosa ed equilibrata in tutte le sue parti, in uno stile che, pur armonizzato con i suoi precedenti lavori, si impregna di quelle nuove influenze simboliste e liberty respirate e viste negli ambienti artistici bolognesi di fine secolo. La figura dell’angelo, soggetto che ciclicamente ritorna nell’arte di Golfarelli, appare dolce e greve allo stesso tempo. La pietà per l’anima dolente e affaticata, ben evocata dai delicati tratti del volto femmineo, permea tutto il gruppo di un sentimento di calma, serenità e gentilezza. Lo sbilanciamento del corpo verso sinistra, nel suo atto di soccorso al vecchio, è perfettamente funzionale alla resa di quell’atto, reso ancor più mosso dall’andamento della veste, che con felice studio e virtuosismo tecnico, sostiene l’angelo librato in alto. L’iconografia rimanda alla rappresentazione ideale dell’elevatio animae, con l’angelo ascendente nel ruolo di traghettatore ultraterreno. Golfarelli modella una figura dalle fattezze femminili che racchiude in sé l’immagine cristiana e nel contempo l’allusione simbolista al mistero. Nel canone rappresentativo adottato dallo scultore romagnolo non manca quell’evoluzione che tra Otto e Novecento porta alla sostituzione dell’angelo cristiano con un essere alato di sessualità incerta, o dai tratti dichiaratamente femminili, avvolto in morbidi veli e utile a trasmettere l’immagine di una morte bella. Le fattezze femminili dei suoi angeli rimangono però sempre fedeli alla sfera del pudore e fortemente legate ai canoni dell’immagine cristiana. I capelli lunghi e scomposti, le vesti fluttuanti e le grandi ali sono tutti elementi che evidenziano il carattere etereo dei suoi angeli, mai estranei al significato prettamente religioso che devono rappresentare, indipendentemente dal richiamo dello stile che li influenza. Più umana è la figura del vecchio beneficato. Curvo sotto il peso degli anni e delle sciagure, si regge a stento. I suoi dolori e la difficoltà nell’avanzare sono efficacemente resi dalla linea irregolare e audace della sua massa corporea, che si abbandona con un moto vibrato di fiducia nelle mani forti dell’angelo. Un movimento riprodotto con grande realismo che lascia a chi lo osserva, la percezione del dubbio tra l’imminente inginocchiarsi o l’avanzare rassicurato con il sostegno di chi lo soccorre. Lo sguardo acuto, bonario e ancor ricco di vita, mostra una consolata espressione di ringraziamento ed evoca perfettamente il sentimento di chi guarda alla morte con l’espressione speranzosa di chi crede. Il tutto contrasta fortemente con le cascanti e aggrinzite forme che solcano il suo volto ottuagenario.
Completano l’apparato decorativo i due candelabri in bronzo posti all’ingresso, finemente cesellati e fusi presso la ditta Bastianelli di Roma, insieme allo stemma gentilizio di casa Roverella, che capeggia nella parte alta della cella. Esempio di precisa e raffinata tecnica incisoria i due esemplari sono caratterizzati da un ricco e minuzioso simbolismo, incentrato sul concetto di Albero della vita, in una fusione armonizzata di più scuole, più maniere e più stili, che formano un insieme di elevato risultato artistico. Golfarelli annota queste parole sulle pagine del suo Album conservato nel Museo del Risorgimento di Bologna: “Volli uscire dalle solite forme tornite che si adoperavano e ancora se ne vedono eseguite da artisti moderni”. Elevati su piedistalli in marmo, i due candelabri propongono un’architettura speculare, pur rappresentando messaggi diversi. Alla base la Terra è simbolicamente evocata da quattro figure: la donna che allatta al seno il figlio, simbolo della procreazione e del rinnovarsi della vita; l’uomo che si riposa dopo le fatiche del giorno; il leone simbolo della forza bruta; il vecchio che suona la zampogna per cacciare la noia e dare sollievo allo spirito nel ricordo lontano della trascorsa gioventù e della vita allegra. In questa Terra pone le radici l’Albero della vita, cinto, a tutto tondo, da tre figure femminili con linee slanciate e corpi leggeri. Il tronco è completamente ricoperto di foglie d’edera, che nasce e muore sul tronco dell’albero così come “l’eternità del cammino umano nasce e muore sulla crosta terrestre”. Sui tre rami, funzionali a divenire i bracci del candelabro, trovano alloggio serie di bambini allegri e spensierati simbolo dell’innocenza e della purezza e non ancora condizionati dai sentimenti della gioia e del dolore. I manufatti si differenziano invece nell’iconografia con cui Golfarelli interpreta i due grandi misteri della vita e della morte. Quest’ultima è incarnata da Atropo, Cloto e Lachesi, le tre Parche, dispensatrici del fato che fissano per gli uomini il tempo dell’azione e della morte, predicono, scrivono e regolano il corso della vita. La consecutio temporum della loro disposizione ha come denominatore comune quel filo di lana che le unisce e ne scandisce il ruolo: Cloto fila lo strame della vita, Lachesi lo avvolge nel fuso e stabilisce quanto filo spetti ad ogni uomo, Atropo infine con lucide cesoie lo recide inesorabilmente. La vita è invece rappresentata sotto la forma di tre anime alate incarnate in fanciulle che si affacciano alla vita e sono cinte da una ghirlanda di rose: una di esse è calma e sicura; l’altra immaginosa e poetica; la terza, avvolta da un velo, misteriosa. Esse simboleggiano la varietà dei caratteri, delle abitudini, delle tendenze nella vita umana, o forse, esprimono l’azione, la poesia o l’idealità e la scienza, ossia le tre grandi forze che determinano la vita umana e la difficile salita che porta al progresso della civiltà.
Paolo Zanfini
Testo tratto dal volume di Silvia Bartoli e Paolo Zanfini "Tullo Golfarelli (1852 - 1928)", Minerva Edizioni, 2016
Testo tratto da 'Il Cittadino - giornale della domenica', Cesena, 29 ottobre 1899: A thing of beauty is a joy for ever: cosa bella è gioia per l'eternità – dice il poeta, l'ispirato e giovane poeta Keats; ma quando ad un'idea di suprema bellezza si associa quella del bene, allora la soddisfazione dell'animo è completa. Ecco qui, in questo stupendo monumento, che, diciamolo subito, potrebbe figurare con onore nei cimiteri monumentali di città maggiori. (...) I nomi di Pietro Roverella e Tullo Golfarelli sono oggi congiunti, e rimarranno, per la virtù divina dell'arte, che avvicina colui che fu capace di scolpire una magnifica opera a colui che per le sue civiche virtù fu degno gli venisse consacrata. (...) Il gruppo principale rappresentante la Carità, che, sotto le vesti di un'angela, fa scorta ad un povero vecchio tremante verso l'asilo ove potrà finire in pace gli ultimi suoi giorni, ricorda – diciamo ricorda, non imita – le cose più belle della cosidetta scuola classica, pur non mancandovi una nota di pensosità – ci si permetta il vocabolo – affatto moderna. La raffigurazione plastica dell'opera pia, fondata dal conte Roverella, è resa nel modo più semplice ed evidente insieme; è prodotta senza sforzo veruno, senza la più piccola astrusità, e ad un tempo con un aborrimento da qualsiasi volgarità, con una misura di eleganza parca e severa, che colpisce lo spettatore, lo affascina, e gli strappa il consenso e l'ammirazione. (...) I due candelabri di bronzo rappresentano invece quella che potrebbe dirsi scultura simbolica, ed a cui sembra riserbato l'avvenire. (...) Anche il significato simbolico è così ovvio, così giusto, che non ci vuole sforzo ad afferrarlo. I due candelabri rappresentano la vita umana: nell'uno le tre donne sono le parche, ed hanno attorno il filo della vita, che l'una d'esse trae dalla conocchia, un'altra fa scorrere, e una terza è in atto di recidere con le cesoie: ivi dunque è presente il pensiero della morte. Le tre fanciulle sono tre anime, che s'affacciano alla vita, e che sono cinte – invece del filo che avvolge le altre – da un serto di rose: una di esse è calma e sicura; l'altra immaginosa e poetica; la terza, avvolta da un velo, misteriosa: qui pertanto è riprodotta la varietà dei caratteri, delle attitudini, delle tendenze nella vita umana; o forse, potrebbe dirsi, sono espressi l'azione, la poesia o l'idealità e la scienza, che sono le tre grandi forze per cui la vita umana si svolge e scende per la difficile erta del progresso e della civiltà.