Schede
Segnalato nel 1913 da Luigi Rasi in un articolo sulla rivista “La lettura”(Rasi 1913, pp. 166-171), presso la collezione del pittore conte Raffaele De Courten, il teatrino del Museo Davia Bargellini, dotato di una ricca collezione di marionette settecentesche veneziane, giunse a Bologna nel 1922 dopo essere stato acquistato dall’antiquario veneziano Dino Barozzi dal Ministero della Pubblica Istruzione, su proposta del Consiglio Superiore per le Belle Arti e della soprintendenza veneziana, sostenuta dal parere di Francesco Malaguzzi Valeri, artefice della sua destinazione bolognese. Infatti l’allora direttore e soprintendente alle Gallerie di Bologna e Romagna perorava fortemente l’acquisizione dell’opera, giustificata dall’indubbia attribuzione bibienesca dei fondali scenici, realizzati secondo le vedute “d’angolo”, che caratterizzano la produzione artistica della famiglia dei famosi architetti teatrali.
La provenienza emiliano romagnola dell’opera è stata ulteriormente confermata dall’identificazione dello stemma dipinto sul prospetto, che raffigura il cervo rampante di azzurro uscente da un bosco su campo oro, appartenuto alla nobile famiglia forlivese degli Albicini, come già identificato dall’anonimo estensore della nota informativa pubblicata sul «Bollettino d’Arte» del 1922 (Un teatrino bolognese 1922, pp. 392-394), ipotesi avvalorata dal restauro del 1979 (Ghirardi 1980, pp. 132-133 e Lenzi 1987, pp. 174-175). Destinato in primo momento da Malaguzzi Valeri nella sala che doveva essere allestita nella Regia Pinacoteca di Bologna in onore dei grandi scenografi bolognesi, il teatrino nel 1929 fu donato in deposito dal nuovo direttore della Regia Pinacoteca, Enrico Mauceri, al Museo d’Arte Industriale, fondato nel 1920 proprio da Francesco Malaguzzi Valeri (D’Apuzzo 2019, p. 20). Come ha già evidenziato Mark Gregory D’Apuzzo, la scelta di Mauceri fu probabilmente dettata dalla tipologia di allestimento del Museo Davia Bargellini che segue il criterio di museo d’ambientazione, permettendo una maggiore valorizzazione del teatrino, in qualità di oggetto d’uso domestico e aristocratico (D’Apuzzo 2019, p. 20), confermata da antiche testimonianze che attestano la rappresentazione di spettacoli di burattini nel teatro dei Bargellini (Amilcarelli Scalisi 1980, p. 48). Il complesso si presenta composito e “frutto di manipolazioni, aggiunte e ricomposizioni di carattere collezionistico e antiquariale all’evidenza eterogenee” (Tumidei 2000, p. 344), come spesso accade alle opere provenienti dal mondo effimero del teatro. Come ha già sottolineato Deanna Lenzi nel suo studio sull’opera, il teatrino “ha subito trasformazioni perdite ed integrazioni che è difficile e forse impossibile, ricostruirlo compiutamente” (Lenzi 1987, pp. 174). Fatta eccezione del boccascena dipinto, sono perdute la struttura e la macchina scenotecnica e neppure si è conservato tutto l’imponente corredo di palcoscenici, quinte e fondali con cui l’opera giunse in Pinacoteca, come ha notato Stefano Tumidei in un suo contributo scritto nel 2000 in occasione della mostra sui Bibiena (Tumidei 2000, p. 344).
Oltre al fondale con Atrio magnifico, esposto nel teatrino, si conservano altri quattro scenografie raffiguranti un Cortile di Palazzo, ritenuto dalla critica espressione della tradizione bibenesca, un Giardino, una Sala, un Padiglione; ciascuna scenografia è dotata di due quinte dipinte da artisti del XVIII – XIX secolo. Inoltre a corredo possiamo trovare quattro quinte prive dei corrispettivi fondali e una Galleria degli specchi con le relative due coppie di quinte; quest’ultimo gruppo, eseguito su cartone e qualitativamente inferiore rispetto agli altri, è invece riferibile al XIX secolo. Inizialmente attribuito da Francesco Malaguzzi Valeri all’arte di Francesco Bibiena, attivo però in date troppo precoci rispetto “all’inflessione già più controllata e composta” (D’Apuzzo2019, p. 29) presente nelle scenografie e nel boccascena, il teatrino è stato poi accostato alla produzione di Antonio Galli Bibiena da Deanna Lenzi, ipotesi confermato da Stefano Tumidei per la “normalizzazione in senso classicista” (Tumidei 2000, p. 345) delle parti più antiche dell’opera. Si può infatti ritenere che l’anonimo artista, autore del teatrino e delle parti sceniche Settecentesche, abbia fatto parte dell’entourage romagnolo di Antonio Bibiena, attivo nel corso del settimo decennio a Forlì per i progetti del Teatro e del Palazzo Comunale, come di Forlì era la nobile famiglia degli Albicini che fece realizzare l’opera. All’interno teatrino e in deposito si conservano settantaquattro marionette, nove cavalli ed una scimmia, appartenenti alla collezione De Courten che costituiscono, assieme a quella del Museo di Casa Goldoni di Venezia (già Casa Grimani ai Servi), una delle raccolte più importanti di questo genere. Grazie al restauro del 1979 e agli studi successivi è emersa la provenienza veneziana e l’incredibile eterogeneità per materiali, tecniche, costumi, trucchi e marchingegni, come ad esempio i personaggi capaci di trasformarsi in altre figure (Melloni 1987, p. 176).
Anonimo bibienesco, Teatrino per marionette, 1770 ca. Boccascena: legno dipinto; cm. 130 x 218. Fondale: tempera su tela; cm 82 x 172. Coppia di quinte: tempera su tela; cm 81 x 34,5. Coppia di quinte: tempera su tela; cm 81 x 25,1. Bologna, Museo Davia Bargellini, inv. 701, inv. 1556, inv. 1569, inv. 1570, inv. 1557, inv. 1558.
Ilaria Negretti
Testo tratto da: Le plaisir de vivre: arte e moda del Settecento veneziano dalla Fondazione Musei Civici di Venezia, catalogo a cura di Mark Gregory D'Apuzzo, Massimo Medica, Cinisello Balsamo, 2020. Bibliografia essenziale: «Bollettino d’Arte» 1922, pp. 392-394; Ghirardi in L’arte del Settecento 1980, n. 192, pp. 132-133; Lenzi Melloni in Museo Civico d’Arte Industriale 1987, pp. 174-180; Adami 1993, p. 208, fig. 34; Tumidei in I Bibiena una famiglia Europea 2000, pp. 344-345, D’Apuzzo 2019, pp. 19-31.