Schede
Nella piazza principale del paese la domenica si svolgeva il mercato, e si correva tutti, noi bambini, a curiosare ma soprattutto ad ascoltare il cantastorie Marino Piazza. Era un ometto magro con un cappello rigido sul cui nastro stavano infilati tanti figurini (carte da gioco?). Apriva su un cavalletto un cartellone con tanti piccoli riquadri, nei quali erano ritratti, a forti tinte, i personaggi di storie dolorose, quasi sempre, o paurose. Raccontava, cantando sul ritmo di uno stornello sempre uguale, e indicava con una bacchetta, quasi magica, le varie immagini delle vicende. Noi ragazzini, ma anche molti adulti, ascoltavamo a bocca aperta, in silenzio, con gli occhi pieni di meraviglia e col fiato sospeso per non perdere una sola delle sue parole! Spesso erano storie truci di amore e di morte, di duelli dei Paladini o dei Tre Moschettieri, ed era come veder svolazzare i loro mantelli e udire il sibilo delle lame delle spade. Finita la canzone, la “zirudela”, che l’ometto ripeteva più volte, perché il pubblico cambiava, si tirava un sospiro di sollievo ma, spesso, si restava ad ascoltarla una seconda volta con maggior rilassatezza.
Dopo si andava ad assistere ad un altro spettacolo, richiamati da qualcuno che gridava più alto degli altri venditori. Sopra il ‘cassone’ di un grosso furgone, riparato da una tenda, un uomo grosso e rubicondo vendeva biancheria per la casa e tegami e piatti per la cucina, e gridava a squarciagola: “Gente! Gente! Donne belle! Venite qui, c’è la cuccagna! Guardate quanta bella roba, e non costa niente! Fidatevi di me!”. Di fronte a lui si accalcava una moltitudine variopinta, e innumerevoli braccia si allungavano per accaparrarsi asciugamani o tegami, per soppesarli e provarne la consistenza, e lui diceva con forza: “Per 100 lire ecco due asciugamani bellissimi, e non basta! Più questo a righe e questo a fiori, ma ancora, sempre per 100 lire anche questi due asciugapiatti!! Sono gli ultimi, correte, perché ci saranno solo per i primi”. Era proprio un affarone!? Venduta un po’ di biancheria, l’omone scendeva al banco dei tegami, di alluminio brillante o di smalto porcellanato, e delle padelle di ferro. Batteva sul loro fondo con un grosso cucchiaio di legno o un mestolo di metallo, e quel suono rimbombante catturava l’attenzione e l’interesse di chi si aggirava nella piazza alla ricerca dell’occasione. Si aprivano i borsellini e, con tutta la soddisfazione per essere arrivati primi e poter godere di quella cuccagna, le massaie e anche qualche padre di famiglia si allontanavano felici con gli acquisti. “Questa padella costerebbe 100 lire, ma sarebbe troppo per voi e la pagherete solo 95, anzi 93, ancora di meno, 92 lire: se non li avete spiccioli, ‘spécc’, mi darete 100 lire e vi regalerò un bel cucchiaio di legno per la polenta… per 105 lire vi darò anche un piatto di plastica a fiori!” e così la tiritera continuava all’infinito: noi bambini affascinati pendevamo dalle sue labbra e non perdevamo un particolare di quella performance. La gente, la maggior parte, si convinceva a partecipare a quella che era una festa e rinnovava con quelle piccole e modeste cose il povero corredo di casa: si sarebbe potuto vedere successivamente, su quasi tutte le tavole, le stesse tovagliette di cotone leggero e le stesse insalatiere di plastica a fiori, ma… “era stato un affare, un afèri!” e nessuno si pentiva dell’acquisto!
Francesca Mirri
Testo tratto da "QUEI CARI PERSONAGGI DEL VECCHIO MERCATO" in "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, n. 6, dicembre 2008.