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L'occupazione squadrista di Bologna

30 Maggio 1922

Schede

A seguito del ferimento del vicecomandante della "Sempre pronti" Guido Oggioni, reduce da una spedizione punitiva alla Bolognina, e della misteriosa morte alla Barca del caposquadrista Celestino Cavedoni, i fascisti dichiarano guerra aperta ai loro avversari.
Prima di cedere il comando delle squadre a un comitato segreto, Arpinati proclama i fascisti "liberi da ogni vincolo di disciplina" nel duro confronto con gli esponenti dei cosiddetti "partiti sovversivi".
Tra il 27 maggio e il 2 giugno avviene una grande concentrazione di fascisti in armi a Bologna, comandati per l'occasione dai principali dirigenti nazionali e regionali: da Michele Bianchi, il segretario del PNF venuto appositamente da Milano, a Dino Grandi, da Italo Balbo a Leandro Arpinati.
E' bloccata la circolazione dei tram, una ventina di sedi "sovversive" sono prese d'assalto. Tra esse quelle dell'Ente autonomo dei consumi, della Federterra, del Circolo macchinisti e fuochisti di via del Borgo, la redazione dell'"Avanti", i locali del sindacato ferrovieri.
Le squadre, provenienti soprattutto dalla provincia di Ferrara (la cosiddetta "Colonna di Balbo"), occupano la città, bivaccando sotto i portici del Pavaglione, di via Farini e via Indipendenza, trasformati in veri e propri accampamenti con distese di paglia e coperte.
I fascisti assediano palazzo d'Accursio e scatenano la guerriglia urbana. Vengono lanciate bombe contro la prefettura, la questura e la Camera del Lavoro, si vuole impedire la diffusione dei giornali sovversivi incendiando le edicole e minacciando i gestori.

Non si contano le aggressioni individuali, tra cui quella a Clodoveo Bonazzi, segretario della vecchia CdL e al dott. Mario Santandrea, farmacista dei Garganelli.
Viene chiesta la destituzione del prefetto Cesare Mori, che ha impiegato la polizia per reprimere le azioni delle squadre durante le manifestazioni dei giorni precedenti. Per questo viene chiamato dai fascisti il "prefettissimo", il "vicerè asiatico" o il "lurido questurino di Cagoia" (Cagoia è il nomignolo dato da D'Annunzio al presidente del consiglio Nitti).
Gli si grida contro: "Mori, Mori, tu devi morire".
Il 28 maggio si tiene alla Sala Borsa una assemblea di industriali, commercianti e esercenti, che appoggiano l'iniziativa fascista e stigmatizzano la condotta di Mori.
Il 31 maggio le camicie nere mobilitate in città, suddivise in cinque compagnie, sono più di 10.000. Nel pomeriggio circa un migliaio di esse compiono una spedizione in grande stile nel quartiere operaio della Bolognina, incendiando alcune cooperative rosse e scontrandosi con la forza pubblica. Assalti e distruzioni avvengono anche in molti paesi della provincia: a Molinella, Budrio, Sant'Agata Bolognese, Castenaso tra gli altri.
Il primo giugno il potere è trasferito all'autorità militare: il generale Sani patteggia con i fascisti la fine delle dimostrazioni in cambio della promessa di prossima sostituzione del prefetto. Dopo cinque giorni l'agitazione è sospesa su ordine perentorio di Mussolini, soddisfatto per la "magnifica agitazione" guidata da Balbo. La determinazione di Mori nel tener testa agli squadristi sarà però evidentemente apprezzata da Mussolini, che lo invierà nel 1924 in Sicilia a debellare la mafia: passerà alla storia come "il prefetto di ferro".
Nel suo diario, Italo Balbo stimerà in circa 60.000 i fascisti impegnati a turno nell'occupazione di Bologna, definita "prova generale della rivoluzione", da ripetere con forze più vaste sul piano nazionale.

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