Schede
Le esecuzioni di partigiani sul ciglio del calanco di Sabbiuno, lungi dal poter essere interpretate come episodi isolati o manifestazioni estreme della ferocia nazista, consolidano di fatto un nuovo corso della politica repressiva messa in atto dai tedeschi dal novembre 1944, quando il comando SS del capoluogo - l'Aussenkommando Bologna, distaccamento della centrale veronese della Polizia di Sicurezza e Servizio di sicurezza, in altre parole la polizia politica e il servizio segreto delle SS, comprendente anche la sezione della Gestapo - adottò la pratica di silenzioso sterminio dei partigiani catturati (i loro presunti simpatizzanti o fiancheggiatori venivano invece destinati alla deportazione verso i lager di Bolzano e Mauthausen).
Il fatto che la regìa e l'esecuzione degli eccidi di detenuti fossero tedesche non deve però far dimenticare il ruolo fondamentale svolto dalle autorità di polizia della RSI (Repubblica Sociale Italiana) nella fase di arresto e interrogatorio delle future vittime, che ad un certo punto della detenzione venivano poi trasferite sotto autorità SS.
Particolarmente attivi nella repressione anti-partigiana dell'ultimo inverno di guerra in città - e responsabili dell'arresto di parte dei fucilati a San Ruffillo - furono il RAP (Reparto d'Assalto della Polizia) della Questura, la Brigata Nera, e l'UPI (Ufficio Politico Investigativo) della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), che aveva preso sede nei locali della facoltà di Ingegneria, presso porta Saragozza, dove i prigionieri venivano trattenuti in apposite celle in attesa di essere interrogati spesso sotto tortura. Delatori e reparti fascisti furono poi coinvolti nelle azioni di rastrellamento operate nelle aree pianeggianti della provincia che portarono alla cattura di altri partigiani e antifascisti uccisi a San Ruffillo.
All'inizio del 1945, ancora in piena occupazione tedesca di Bologna, la piccola stazione di San Ruffillo era abbandonata, danneggiata dai numerosi bombardamenti alleati che avevano prodotto nel terreno circostante ampi crateri.
Furono quelle buche a divenire fosse comuni per i corpi degli oltre novanta 90 detenuti politici che sul bordo di esse, fra il febbraio e il marzo 1945, vennero segretamente fucilati dalle SS tedesche.
Si trattava di partigiani prelevati dal carcere giudiziario di San Giovanni in Monte, dove si trovavano perché arrestati o rastrellati a causa del loro impegno antifascista, della loro resistenza armata all'occupante nazista e al suo alleato di Salò. Provenivano sia dalle fila dalle brigate cittadine, sia dalle formazioni operanti in varie località della provincia, fra cui Castelfranco Emilia, Malalbergo, Anzola, Sala Bolognese, Imola.
I carnefici avevano lasciato intendere ai detenuti ed ai loro parenti che sarebbero stati deportati o condotti a lavorare al fronte. Lo stesso inganno era stato usato con altri cinquantotto 58 partigiani uccisi in modo analogo sui colli di Sabbiuno di Paderno nel dicembre 1944, quando era iniziata da parte del comando SS bolognese la pratica di silenziosa eliminazione degli oppositori catturati.
Un primo gruppo di oltre cinquanta 50 detenuti fu prelevato e ucciso il 10 febbraio 1945. Fu, quella del 10 febbraio 1945, una delle maggiori stragi di detenuti politici fra quelle avvenute durante l'intero periodo di occupazione tedesca in Italia, preceduta per entità solo da quella delle Fosse Ardeatine, da quella di 67 internati di Fossoli compiuta al poligono di tiro di Cibeno, e da quella di 59 detenuti genovesi al Passo del Turchino. Con una differenza sostanziale: mentre in quei casi i tedeschi avevano dato pubblico annuncio delle esecuzioni quali rappresaglie in risposta ad azioni ostili contro di loro, le uccisioni a San Ruffillo seguirono la logica del puro sistematico sterminio segreto dei partigiani catturati e identificati.
L'esecuzione del 10 febbraio fu solo la prima fra quelle che ebbero come teatro la piccola stazione di periferia, come documenta la preziosa fonte dei registri del carcere bolognese.
Altre esecuzioni avvennero il 20 febbraio, poi l'1, il 2, il 16 e il 21 marzo, per un totale di novantaquattro 94 vittime.
Anche nel corso del mese di aprile, in tre date, complessivamente altri trentanove 39 detenuti provenienti da arresti compiuti nella provincia di Bologna e a Bondeno, nel Ferrarese, furono prelevati per essere uccisi nello stesso modo ma in un'altra località, forse Rastignano di Pianoro, e risultano a tutt'oggi dispersi. Anche alla loro memoria, dunque, va intesa qualsiasi iniziativa che ricordi le vittime di Sabbiuno e San Ruffillo. L'eccidio di San Ruffillo venne invece scoperto nei primi giorni del maggio 1945, quando casualmente furono rinvenuti alcuni corpi affioranti dal terreno smosso da altre esplosioni.
Solo pochi giorni prima, il 21 aprile, Bologna era stata finalmente liberata, e i suoi cittadini avevano potuto incamminarsi, grazie anche al sacrificio di quegli uomini, sulla strada della libertà e della democrazia.
Alla memoria delle vittime dell'eccidio è stato dedicato il monumento che si trova oggi in piazza Caduti di San Ruffillo, a breve distanza dalla stazione.
[Andrea Ferrari, Paolo Nannetti]