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Ugo Foscolo e Bologna

1797 | 1813

Schede

1797. Un giovane poeta nativo di Zante, fervente propugnatore degli ideali rivoluzionari francesi giunge a Bologna. Il primo impatto non fu dei migliori. Così Ugo Foscolo (1778 - 1827) scrive in una lettera rivolta a Dionigi Strocchi di Faenza: "Mille disavventure mi hanno forzato a lasciare Milano e a cercare in Bologna salute e tranquillità. Ad onta delle tue raccomandazioni e di quelle di Paradisi, non ho potuto ottenere mai il minimo impiego: non ho potuto ottenerlo ad onta della mia somma prudenza, con la quale ho tentato di compensare in questi ultimi tempi gli errori di un anno addietro. «Nè in questo paese la fortuna mi arride. Credeva che Bologna fosse, come prima, amica alle lettere, e che io potessi per mezzo di qualche stampatore, provvedere alla necessità: – tutto vano." Foscolo è uno dei principali letterati italiani della cultura classica e preromantica, ed in realtà il suo rapporto con la città felsinea non fu terribile, meglio si può dire che fu tra luci e ombre: "onorato già di un brevetto di tenente, più che per merito di servizio, in premio dell'Ode a Buonaparte, da Milano si condusse a Bologna ove, unitosi alla Guardia nazionale come volontario, senza paga da prima, si narra che, per poca agiatezza, dormisse sulla nuda paglia fra soldati negli spedali, e da Bologna passò in Toscana e a Firenze (1799)."

La città fu per Foscolo luogo di scrittura e di conoscenze politiche e letterarie. E' qui che nel mese di aprile, mentre è impiegato come aiutante del Cancelliere e segretario presso il Tribunale, incontra Vincenzo Monti, ed è a Bologna che scrive l'ode A Bonaparte liberatore, che venne diffusa dal Municipio di Reggio Emilia, ed è sempre in città che si arruola come tenente onorario dei Cacciatori a cavallo della Repubblica Cispadana. Nell'ode il generale francese è esaltato come l'eroe che ha affrancato i popoli da antiche servitù e si è fatto garante della loro libertà. Di lì a pochi mesi, con il trattato di Campoformio (18 ottobre 1797), Napoleone cederà la Repubblica di Venezia all'Austria. Foscolo esprimerà allora il suo disincanto nel sonetto A Venezia.

Nell'anno successivo, il 1798, il libraio Jacopo Marsigli, stampatore del “Quotidiano”, proprietario di una tipografia in via Barbaziana presso San Salvatore e di una libreria ai Celestini, comincia alla fine del 1798 a pubblicare un romanzo epistolare di Ugo Foscolo, ancora senza titolo definitivo (nel suo Piano di studi è indicato come Laura, lettere), mentre lo scrittore si trova in città. Si tratta di un insieme di lettere inviate da Jacopo Ortis all'amico Lorenzo F. La partenza del poeta nell'aprile 1799, arruolato nella Guardia Nazionale, interrompe la stampa alla lettera XLV e lascia l'opera senza conclusione. Non volendo rinunciare al progetto, Marsili affida il completamento del romanzo al bolognese Angelo Sassoli (pseudonimo di Pietro Brighenti), il quale, pur ispirandosi ai temi e allo stile di Foscolo, scrive un testo molto diverso dal suo. L'editore lo pubblica comunque, all'insaputa di Foscolo, in due volumetti, con il titolo Vera storia di due amanti infelici, ossia Ultime lettere di Jacopo Ortis e vi aggiunge alcune Annotazioni, che mirano ad eludere la censura austriaca. Foscolo sconfesserà l'operazione del Marsili, pubblicando il suo netto rifiuto il 3 gennaio 1801 sulla "Gazzetta di Firenze" e il 17 marzo sul "Monitore di Bologna", parlando della revisione del Sassoli come di un "centone di follie romanzesche, di frasi adulterate e di annotazioni vigliacche". La prima edizione completa di suo pugno, contenente alcune sostanziali modifiche, vedrà la luce a Milano nell'ottobre 1802 presso la stamperia del "Genio Tipografico".

Dal 23 settembre al 13 ottobre 1798 esce il giornale “Genio Democratico”, erede del “Giornale dé Patrioti del Dipartimento del Reno e della Repubblica Cisalpina”. E' pubblicato dallo stampatore Floriano Canetoli - che pubblica altri due periodici giacobini dalla vita effimera - due volte alla settimana ed è diviso in quattro parti: notizie estere, notizie nazionali e leggi della Repubblica, istruzioni politico-morali, notizie bibliografiche. Le istruzioni politico-morali, scritti finalizzati all'educazione del popolo, sono redatte dal Foscolo, riparato a Bologna da Venezia dopo il trattato di Campoformio. Assieme a lui collabora il fratello Gian Dioniso. Ugo comincia a scrivere la sua rubrica dal terzo numero, con un articolo sul tema dell'indipendenza nazionale. L'impegnativo saggio continuerà nei numeri successivi del “Genio” e in alcuni del “Monitore”, rivelando l'evoluzione del suo pensiero verso un'idea italiana unitaria. In novembre il poeta otterrà un impiego alla Sezione criminale del Dipartimento del Reno e sarà nominato aiutante del Cancelliere del Tribunale di Bologna.

Il 17 aprile 1799 gli “insorgenti” di Renazzo, Alberone e Casumaro occupano Cento in nome dell'Imperatore d'Austria. Il 19 aprile novecento guardie nazionali provenienti da Bologna, al comando dell'Aiutante Fripoult, rioccupano la cittadina dopo aver sconfitto gli insorti nei pressi del fiume Reno e dopo aver assalito i terrapieni e aperto a forza le porte. Tra i feriti nello scontro c'è anche Foscolo, capitano della Guardia Nazionale e luogotenente del generale francese. Nei giorni successivi i ribelli tenteranno più volte di sorprendere i Civici, ma saranno sempre respinti. A Malalbergo, però, il 21 aprile la guarnigione locale sarà costretta alla fuga e dovrà rifugiarsi a Bologna. Cento sarà comunque conquistata il 3 maggio dalle truppe austriache del generale Klenau, nel corso dell'offensiva che porterà gli Imperiali a Ferrara. I patrioti si ritireranno in fretta verso Bologna, che diventerà l'asilo dei liberali emiliani e romagnoli. Foscolo sarà tra coloro che preferiranno rifugiarsi sulle colline intorno alla città. Dopo una sosta a Calcara nella villa dei conti Turrini Rossi, riparerà a Monteveglio, dove trascorrerà venti giorni di vita monastica, sotto il nome di Lorenzo Aldighieri. Durante una fuga con Teresa Minelli, sorella del comandante della Guardia Nazionale, sarà arrestato come sospetto agente austriaco. Rimarrà alcuni giorni prigioniero nella torre nonantolana della Rocca di Vignola e quindi sarà trasferito a Modena. Verrà rimesso in libertà il 12 giugno, all'arrivo del generale francese Mac Donald e parteciperà, aggregato a un reggimento di ussari cisalpini, alla battaglia della Trebbia.

1813. Per invito del conte Cesare Bianchetti, Ugo Foscolo tiene una conferenza di musica nella sala dell'Accademia Filarmonica, lodando la benemerita istituzione. Nei Principi di critica poetica, egli ha già illustrato una sua vaga concezione dell'armonia: "Esiste nel mondo una universale secreta armonia, che l'uomo anela di ritrovare come necessaria a ristorare le fatiche e i dolori della sua esistenza". In città si tiene la prima della Ricciarda che "fu recitata in via d'esperimento la prima volta a Bologna dalla compagnia Reale (quella stessa, credo, che rappresentò l'Ajace) li 17 settembre 1813, quando l'autore vi transitò al ritorno di una corsa data da Firenze a Milano; ma prima che ne fosse concesso il permesso c'era voluto del buono. I revisori, a cui non era ancora uscita di corpo la paura pel fatto dell'Ajace, si sgomentarono alla sola vista del manoscritto; ed immaginando altre chi sa quali allusioni, che l'autore non avea neppur sognate, la cassarono con un colpo di penna; ond'egli intercesse presso i ministri del Vicerè che la permisero. L'esito ne fu incerto per un cumulo di circostanze contrarie, estranee al merito della produzione. «Colui che fra comici dovea far la parte di Guido ammalò di pleurite, e chi lo supplì ammalò di tonsille, ed il terzo che per disperazione s'assunse la parte è più infermo degli altri. È vero che costui et mangia, et beve, et dorme, et veste panni, et fa cose da sano altre parecchie, ma alla stretta de'conti è infermissimo, perchè ha il cervello fatto naturalmente di fibra cornea." La rappresentazione finisce nel peggiore dei modi ed è lo stesso Foscolo a descriverla: "Ma la mia modestia fu dall'uditorio ascritta a superbia: non volle più ascoltare col primo silenzio i tre atti seguenti, e il mio prematuro alloro mi si è sfrondato ad un tratto. I comici smarrirono anche quel po' di buon senso e di coraggio che avevano; e il terzo e quarto atto furono recitati, ch'io non ho mai visto recitar peggio. Il mormorio della platea andava peraltro acquetandosi; e il quint'atto fu solennemente udito ed inteso, perchè Guelfo gridava anche troppo, ma rieccitava l'attenzione de' nostri spettatori, i quali vogliono essere percossi dagli urli. (...) Ma quanto all'ultima scena, nè il popolo, nè i comici stessi sanno come la sia finita, perchè il Diavolo ci messe nuovamente la coda. Avvenne che mentre Averardo e Corrado prorompevano sulla scena con armati e con fiaccole (io ne rido ed ella riderà certamente leggendo) avvenne che una di quelle torcie diè fuoco alla barba di crino d'una comparsa (le comparse erano una trentina di Tedeschi-Turchi di certo reggimento anfibio di guarnigione in Bologna) e il fuoco da una barba si appiccò alle altre, e al ridere successe il terrore, perchè l'acqua-ragia delle fiaccole, cadendo su le assi della scena, le ardeva; e frattanto gli spettatori erano divisi con l'attenzione all'accidente funestamente ridicolo ma reale, ed alla catastrofe immaginaria dell'infelice Ricciarda. Tuttavia il pubblico, con mia grandissima maraviglia, si contenne decentemente, e la mia Ricciarda, benchè recitata, non fu recitata nè per me nè per gli altri. Chi la lodasse o la biasimasse dopo questa recita, sarebbe ingiusto e impostore. Io frattanto rimasi incantucciato nel mio palchetto e imperterrito, come quel turco fatalista, che mentre gli crollava addosso la casa, continuava a fumare la sua pipa e a sorseggiare il caffè."

Ugo Foscolo intrattiene in città anche rapporti con diverse dame, tra tutte è con la contessa Cornelia Rossi Martinetti (1781-1867) che ha una fitta corrispondenza. L'aveva conosciuta a Milano alla corte del Beauharnais e frequentata a Bologna nel 1813. Con lei tenta un approccio amoroso, ma viene respinto. Tra i due rimane solo una tenera amicizia. Foscolo, che nelle Grazie la ritrae come Polinnia, la musa della lirica, la giudicherà "la donna più pericolosa" da lui mai conosciuta. Foscolo "nomina sacerdotesse dell'ara tre bellissime donne italiane: di Firenze la prima, rappresentante l'azione e gli effetti dell'armonia; la seconda di Milano che figura la beltà corporale; di Bologna la terza per significare con essa l'amabilità dell'ingegno; perciò divide l'inno in tre parti. «Tre vaghissime Donne, a cui le trecce / Infiora di felici itale rose / Giovinezza, e per cui splende più bello / Sul lor sembiante il giorno, all'ara vostra / Sacerdotesse, o care Grazie, io guido.» Conosciute le aderenze del poeta con le donne allora viventi, non è difficile indovinare che queste tre erano Eleonora Nencini, Elena Bignami e Cornelia Martinetti."

In collaborazione con Cronologia di Bologna della Biblioteca Sala Borsa.