Simoni Ignazio

Simoni Ignazio

15 Agosto 1826 - 7 Aprile 1862

Note sintetiche

Scheda

La famiglia di Ignazio Simoni possiede una conceria a Medicina. Con Tomaso (padre del garibaldino), l’attività entra in una crisi economica. La famiglia è così costretta a far sposare Tomaso con Marianna Modoni per riacquistare l’appartenenza ad un ceto benestante. Dall’unione nascono tredici figli, tra cui Ignazio, venuto alla luce il 15 agosto 1826. Ignazio trascorre la giovinezza respirando spirito rivoluzionario infuso dal padre che partecipa ai moti del 1830. Proprio con il padre, nel 1848, all’età di 22 anni, partecipa alla Campagna del Veneto nel battaglione “Alto Reno” con il grado di Caporal Maggiore. Sempre nello stesso anno entra a far parte della Giovine Italia.

Al termine della Campagna del Veneto torna con il padre a Medicina, dove però si ferma per poco tempo, in quanto decide di andare immediatamente in Valtellina, dove ha l’obiettivo di arruolarsi con Garibaldi. Durante il viaggio l’esercito regolare lo vede in divisa da volontario rivoluzionario e lo insegue costringendolo a rifugiarsi, in un primo momento, a Milano e poi a Genova. Quando scopre, al termine della Prima Guerra d’Indipendenza, che sia l’esercito di Carlo Alberto di Savoia sia quello di Garibaldi si stavano ritirando, decide di arruolarsi nel battaglione “Real Navi” (Marina Militare del Regno di Sardegna). Dopo qualche tempo teme di doversi scontrare con i suoi ex compagni rivoluzionari e decide così di disertare e di imbarcarsi per Livorno, da lì giunge a Bologna, dove in un primo momento viene arrestato ma, dimostrata la sua appartenenza allo Stato Pontificio, viene rilasciato. Decide di tornare a Medicina dove lavora come farmacista facendo riunire i patrioti nei locali della sua attività. Successivamente, con la proclamazione della Repubblica Romana, si reca a Roma dove combatte appoggiando la Repubblica. Al termine di quest’esperienza, con la ritirata di Garibaldi, ritorna a Bologna dove trova lavoro nella Farmacia Marchi Masini, di cui suo fratello Lorenzo è direttore (all’angolo con la chiesa di San Paolo Maggiore). A causa del suo passato come rivoluzionario, non è gradito all’interno dello Stato della Chiesa di cui Bologna fa parte, così fugge arrivando a Genova dove lavora in un primo momento in una fabbrica di ceralacca e di tortellini e successivamente per la Farmacia Nazionale. Suo malgrado viene riconosciuto anche in questa città come rivoluzionario e quindi espulso. A Genova, però, scoppia un’epidemia di colera che vede il governo locale costretto a promulgare un bando per la ricerca di farmacisti che possano aiutare nelle cure. Ignazio vince il concorso e vede la condanna sospesa. Al termine dell’epidemia, a causa dell’attentato che il suo amico Felice Orsini attua contro Napoleone III, egli è costretto ad andare in esilio a Tunisi. Qui apre una farmacia che si rivela poco redditizia. Sentendo dello scoppio dei moti ne approfitta per tornare a Genova, ma qui viene fermato dalla polizia e rimpatriato a Medicina.

Dopo aver salutato la famiglia, risale le valli romagnole per andare ad arruolarsi nel 2° Corpo d’Armata dell’Italia Centrale nel quale viene nominato Sottotenente per poi trasferirsi con lo stesso grado nell’esercito sardo. Qui si congeda a seguito di disaccordo con i suoi superiori, come lo stesso Simoni scrive al fratello Giuseppe: “Il 9 [aprile] feci l’istanza al Ministero della Guerra per la mia dimissione e con il 15 fu segnata dal re. Oggi soltanto [25 aprile] mi è stata comunicata, perché il Brigadiere, Piemontese, nuovo della nostra Brigata, non voleva, ma vedendo la mia insistenza me l’ha dovuta dare”. Giunto a Genova, desideroso di partecipare alla spedizione dei Mille, riesce ad arruolarsi nell’esercito di volontari garibaldini. Il 5 maggio, dal porto di Quarto, si imbarca sul piroscafo Lombardo. Ignazio, nelle sue lettere, dice che la prima tappa di questo viaggio è Talamone, in Toscana, dove un gruppo di trenta uomini lascia la spedizione per recarsi nelle Marche, per una dimostrazione. Finalmente giunti nella tanto desiderata meta, Marsala, i Mille sbarcano: “Il giorno 11 alle 2 ½ p[omeridiane] entrati nel porto a Marsala, si sbarcò; dopo mezz’ora giunsero i Vapori ed una Fregata napoletana, che cominciarono a bombardare la Città”. Di qui il battaglione si sposta, con l’obiettivo di raggiungere la terraferma, conquistando varie città siciliane, che puntualmente il Simoni elenca alla famiglia. La più importante di tutte queste città descritte è Palermo, conquistata il 30 maggio, di cui Ignazio ci dice che: “In 500 siamo entrati vittoriosi combattendo contro 12 mila uomini ed abbiamo fatti vari prigionieri. […] Non vi descriverò la Sicilia, perché bisognerebbe farvi un quadro del Paradiso Terrestre riguardo alla natura. […] Prima di imbarcarci dicevano tutti: «La Sicilia invita». Non era vero niente, grandi gridi, grandi evviva all’Italia, dicono loro a Santa Rosalia sua protettrice, ma non nei fatti, e fino adesso abbiamo dovuto fare tutto da noi”. A seguito dei danneggiamenti dovuti agli scontri tra l’Esercito Borbonico e quello di Garibaldi, Simoni dice di Palermo che “è una bellissima città, ma una quarta parte è stata atterrata dal bombardamento, ed una gran parte incendiata e derubata dalle truppe. A vederla sembra le rovine di Cartagine”.

I garibaldini, a questo punto, iniziano a fare paura ai personaggi di rilievo del Regno delle Due Sicilie, tant’è che molti chiedono di essere risparmiati. Viene concessa, da parte di Garibaldi, una tregua, al termine della quale, però, nessuno dei suoi volontari sa quale sarebbe stata la tappa successiva, poiché “il Generale non dice mai niente a nessuno”. In quest’occasione Ignazio viene promosso capitano; egli infatti per arruolarsi con l’esercito garibaldino aveva rinunciato a tutti i gradi precedentemente ottenuti nell’esercito regolare. Nonostante l’ardimento e l’impegno verso l’obiettivo della spedizione, in Ignazio non manca l’attenzione verso i suoi compaesani e le loro famiglie, per i quali ha un occhio di riguardo, anche da un punto di vista economico. “Raffaello [suo fratello Raffaele] e gli altri quattro di Medicina, sono nel mio Battaglione ed oggi o domani li fo sergenti […] Rossi e Marchi li fo comparire nella prima spedizione [perché si dice] che a tutte le famiglie dei morti, ed a tutti i rimasti di quella spedizione il Generale assegni 800 franchi annui di pensione ai primi, e 200 ai secondi e questo sarebbe un gran sollievo per molte famiglie.” Li aiuta inoltre a mantenere i contatti con i propri familiari ovviando all’impossibilità di inviare loro notizie: “Farete mille saluti alle famiglie di tutti i nostri compagni, e dite loro che appena avranno ricevuto qualche soldo, non si dimenticheranno di loro.” Nella lettera del 22 settembre 1860 Ignazio racconta delle ultime vicende della spedizione dei Mille; dell’obiettivo della conquista di Napoli da parte garibaldina e la risalita della Penisola verso la conquista di Roma (che verrà poi impedita dall’incontro di Teano tra il Generale e il re Vittorio Emanuele II), ma anche del successivo percorso verso la Venezia Giulia (se l’Incontro non ci fosse stato): “[Dopo gli scontri a Capua] anderemo a Gaeta, e di lì subito verso Roma, per portarci nel Veneto, pel quale viaggio spero di rivedervi.”

Con l’incontro di Teano si conclude la spedizione dei Mille volontari di Garibaldi, così Ignazio fa ritorno a Medicina. In questo luogo, per elogiare i compaesani arruolati, il Sindaco Tabellini redige un manifesto, il 3 marzo 1861, in cui è scritto: “Voi portaste onorato e splendido il nome del nostro Paese agli ultimi confini della Penisola sola. Voi segnaste la pagina la più bella della storia del nostro secolo. Gloria a tutti; in modo speciale poi all’eroico Maggiore Sig. Ignazio Simoni, che milite semplice seguiva Garibaldi nel prodigioso sbarco di Marsala, e per inaudite gesta raggiunse l’alta gerarchia militare.” Per essere fedele alla sua vocazione militare, Ignazio si arruola nell’Esercito Regio, mantenendo lo stesso grado ottenuto nelle imprese garibaldine; verrà messo di stanza a Novara dove morirà il 7 aprile 1862 in seguito a una caduta da cavallo. Attualmente, però, il luogo di sepoltura non è conosciuto. Il fratello Giuseppe, nella “Cronistoria del Comune di Medicina” racconta così la morte del fratello: “Cavalcava un focoso cavallo, sbalzato di sella e gettato al suolo vi rimaneva semivivo: trasportato alla propria abitazione senza dar segno d’intendimento, dopo poche ore spirò tra le braccia di amici”. Possiamo dire di lui che è stato un illustre compaesano e un valoroso combattente, che grazie ai suoi racconti epistolari (i cui originali oggi si trovano al Museo Civico del Risorgimento di Bologna) ci ha permesso di ricostruirne la sua vita.

Valentina Arbizzani, Simone Ghelli

Testo tratto da "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, n. 15, dicembre 2017.

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Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi, Associazione Pro Loco Medicina, n. 15, dicembre 2017. © Associazione Pro Loco Medicina.