Sfinge

Sfinge

Scheda

Con l’obelisco e la piramide, la sfinge è certamente l’elemento della cultura egiziana antica più rappresentato al mondo, dall’epoca romana ai giorni nostri. Componente essenziale dell’egittomania, essa è sospesa in un equilibrio precario tra il potere filologico dell’originale archeologico e l’influenza artistica delle innumerevoli copie e varianti che si sono succedute nei secoli. La sfinge viene quindi a collocarsi tra egittologia ed egittomania, senza che la nascita dell’una faccia regredire l’altra. Nell’Antico Egitto è guardiana dei templi, delle necropoli e delle porte della città. Ha corpo leonino e testa umana spesso coperta dal nèmés, il copricapo di stoffa a righe tipico del faraone. Legata al mito d’Edipo, in molte rappresentazioni artistiche di epoca greco-romana la sfinge è femminilizzata e così sarà spesso rappresentata anche nei secoli successivi: con i seni, con un viso e una capigliatura femminile, e in alcune varianti è dotata d’ali. Con la classicità, acquista un valore enigmatico e di creatura crudele, e il suo sguardo sembra avere “qualche cosa di feroce nell’estasi che esprime”. Poco rappresentata in generale nell’arte medievale, nel XVI secolo la sfinge inizierà a fare la sua comparsa nei monumenti funerari d’Europa, per divenire un elemento diffuso nei cimiteri d’occidente del XIX e del XX secolo. Legata ad una civiltà come quella egizia, la sfinge è percepita dalla cultura occidentale come fortemente legata al culto dei morti. E attraverso il mito classico viene associata alle età dell’uomo, al suo percorso vitale e al tempo che scorre. Gli esempi e le varianti di questa presenza in ambito cimiteriale sono innumerevoli: può essere sola o associata ad altri elementi di derivazione egizia come la piramide, i telamoni, il sole alato, etc. Inoltre questa creatura mezza umana è un elemento esoterico molto frequente nella simbologia massonica, caratterizzata da un grande sincretismo, nel quale un posto importante è riservato alla cultura figurativa egizia.

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Gian Marco Vidor

"Mostro favoloso delle mitologie indiana, egizia e greca, rappresentato in varie guise: con volto di donna e più raramente di uomo, con corpo di cane e zampe di leone, con ali o senza, coda di dragone, davanti mammoso e dietro testicolato, sempre giacente sulla parte anteriore del corpo e con le zampe protese. Alla sua esistenza prestarono fede Plinio e Alberto Magno che seriamente ne dissertarono. La più famosa sfinge della favola è quella inviata alle porte di Tebe da Giunone, adirata perché Alcmena aveva accondisceso alle voglie di Giove. Essa obbligava i viandanti a sciogliere l’enigma, così tradotto liberamente dall’illustre codognese Antonio Zoncada: Quadrupede cammino / Nel mio primo mattino; / Uso due gambe sole / Allor ch’è alto il Sole; / Ma di altra gamba, dopo / Che il Sol discese, ho d’uopo.

Chi non indovinava perdeva la vita sotto la strozzatura del terribile mostro, Edipo sciolse l’enigma, rispondendo essere l’uomo l’animale che fanciullo cammina carpone, aiutandosi con mani e piedi, adulto con due piedi soltanto, vecchio aggiunge l’appoggio del bastone. La sfinge vinta si fracassò il capo contro la rupe ed Edipo entrò trionfalmente in Tebe, dove ebbe il trono e la mano di Giocasta. Gli eumeristi invece vorrebbero spiegare il mito dando il nome di Sfinge ad una figliuola di Laio, re di Tebe, la quale – sdegnata con il padre – si associò ad una masnada di assassini che infestavano le strade; e gli artigli attribuiti al mostro indicano la crudeltà di lei, il corpo di cane i suoi disordini, le ali la sua prontezza e accortezza nella difesa, gli enigmi le insidie e le imboscate. Parimenti in questa interpretazione greca, il mito della sfinge contiene il significato di costringere con la forza terribile dell’arcano e dell’agguato, come direbbe l’etimologia stessa del nome; e le argute menti che si dilettano di costrurre ed interpretare velati giochi di parole con forma letteraria – e tali furono in antico Cleobulo, Archiloco, Simonide, Bione, Teocrito, Mosco, Saffo, Cicerone, Apuleio, Virgilio – hanno giustamente prescelto la sfinge quale mezzo rappresentativo della enigmistica, per il fascino e la seduzione dell’ignoto che vuole essere svelato. Tale significazione doveva avere la statua di Minerva pungente la sfinge con la punta della lancia, eretta in Atene (Plinio). Altre volte Minerva era armata di un giavellotto con la testa della sfinge, e indicava acutezza di ingegno. Differente è il simbolismo sfingico nelle colossali moli che i rossi e tenaci egiziani tagliarono nel granito. Le loro sfingi sono bisessuali (Winkelman). Il leone corroso dalle sabbie, giacente presso la piramide di Cheope – con la testa umana rialzata, “coperta di un pezzo di stoffa rigata, copricapo per proteggere la calotta craniale che gli Egiziani radevano per ragione di pulizia” (Carotti), con le potenti zampe distese – e tra esse è un piccolo sacello – è simbolo di difesa dei feraci terreni della valle contro la cocente sabbia del fulvo deserto che contempla. Non affermazione di paura, ma di forza intelligente, di sapienza vigile e silenziosa, di vita fattiva; affermazione di ieratica solennità che si tramandò pure nell’architettonica cristiana dei secoli bassi, la quale pose la sfinge sulle porte dei tempi, come sostegni e basi alle colonne del pronao. Augusto portava nel proprio sigillo l’impronta della sfinge, quale segno della inviolabilità del secreto nei reggitori di popoli. I virtuosi esseni ebbero parimenti tra i propri simboli la sfinge. L’isola di Chio l’ebbe per emblema. Nel monumento a Bismarck eretto a Berlino (scultore Begas è simboleggiata la Sapienza sedente sul dorso di una sfinge. Due sfingi modernissime (1913) decorano la scalea esterna della università di Napoli: una di esse (scultore Ferrer) ha la grandiosità ieratica del mito egizio; l’altra (scultore Pellegrino) ha nel fine volto greco e nel composto movimento delle linee l’espressione della classica bellezza. La sfinge di forme umane domina, con la fissità dello sguardo e la rigidità della espressione, il sepolcro Besenzanica, nel cimitero monumentale di Milano (scultore Butti), e rappresenta il mistero della Morte. La sfinge fu la impresa di Amedeo BI di Savoia, il conte Verde (1373), con il capo coperto da un elmo bialato, la visiera abbassata e il corpo leonino, e calpestante una biscia, emblema dei nemici Visconti di Milano. La sfinge dell’evo medio – che si ripete in vari monumenti sabaudi – si osserva nel monumento a Carlo Alberto del palazzo comunale di Torino, con il motto “J’attends non astre”. (scultore Cauda)."

Testo tratto da: Giovanni Cairo, "Dizionario ragionato dei simboli", Ulrico Hoepli, Milano, 1922 (febbraio 2022). Per approfondire il tema della simbologia funeraria ottocentesca cliccare qui.

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