Serpente | Schlange

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Scheda

Simbolo tra i più complessi e diffusi in molte culture ed epoche storiche, ha una gamma enorme di significati, molto difficile da ripercorrere anche solo per la cultura occidentale. Nel mondo classico il serpente è detentore di conoscenze occulte, guardiano di tesori e, particolarmente nell’antica Grecia, è legato alla divinazione e alla Pizia. Già nell’antichità, le essenze vitali contenute nel suo corpo sono considerate come rimedi per malattie e come ingrediente di pozioni. Attributo di Esculapio, che porta un bastone con un serpente attorcigliato, è divenuto emblema della medicina e della farmacia. Nel mondo cristiano è legato alla tentazione di Eva, ma nell’iconografia funeraria questa scena della genesi è raramente rappresentata (la Certosa di Bologna ne conserva però un bel esempio di questa nel monumento Baruzzi, nella Sala delle Catacombe). Inoltre, con il rospo, questo rettile è legato alla rappresentazione della Lussuria e alla Morte. Se si esclude il caduceo, simbolo molto usato nell’arte del XIX secolo, (vedi la voce Caduceo), il serpente nell’iconografia funeraria occidentale è essenzialmente legato alla scienza medica e chimico-farmaceutica.

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Gian Marco Vidor

"Il serpente – come se fosse la trascendente incarnazione d'un mistico e impenetrabile arcano – suscitò sempre nella fantasia mitopeica dell'umanità l'avvertimento di vivaci e svariati rapporti mentali. Dei “serpenti di varie sorti, de' quali hanno gli antichi e moderni avuto contezza maggiore” dissertò l'Astolfi (Officina istorica – 1605), con l'asseverazione propria dell'epoca sua, nella quale non era ammesso dubitare dell'esistenza di animali singolari e inverosimili. Egli – sulla scorta dei vecchi autori – annovera: l'aspide di Cleopatra, nemica dell'icneumone, astuta e venerata dagli egizi; l'emoroida sanguigna e pigra; la cerasta fraudolenta dalle quattro corna; l'antefisebene velenosissima con un altro capo nella coda; la salpinga assomigliante ad una tromba; la vipera, che rimane gestante e vedova insieme e muore diventando madre: l'icneumone niliaco; l'idro, dal veleno stravagantemente odorante, che toglie prima la memoria e la vista, poi lentamente la vita; lo stellone, vivente di rugiada e che istupidisce con il suo morso; la salamandra; la cecilia, che accieca; il chersidro anfibio; il chersidro dal fiato fumigante; la piccola dipsa; il faria, che cammina sui due piedi, col corpo dritto; il prester e il leps, terribili; la boa, che inghiotte i putti interi, i cencri; gli iacoli; gli scinci; lo scitale lusingatoria; il dragone; il beto astuto, nequitoso e pestifero; ed altri serpenti che sono in Calicut “grandi e grossi come gran porci, benché con la testa molto maggiore e più del porco orribile, e hanno quattro piedi, e sono lunghi quattro braccia. (Cfr.: Inf. XXIV – 85).
Il più perfetto esame della scienza ha provato che non tutti i serpenti sono dotati di potenza venefica. Nei nostri paesi ne è dotata soltanto la vipera; ed essi non lanciano il loro veleno, ma lo fanno penetrare col mezzo di uncini speciali situati sotto la lingua; ed è mirabile di esattezza zoologica il passo della Biblia (Salmi CXXXIX – 3). L'incantagione dei serpenti – praticata da naturalisti, da furbi sacerdoti e da ciurmadori di piazza – è null'altro che l'estirpazione preventiva degli uncinetti velenosi dell'animale, che per tale operazione diventa inoffensivo. E' pure un pregiudizio quello del fascino dello sguardo dei serpenti; vero è, invece, che alcuni di essi, come quello detto a sonagli, ha un alito fetido che impregna l'aria a distanza e fa cadere gli uccelli asfissiati.
La fisionomia fisica e – per così dire – morale del serpente ha quindi reso facile in esso una entificazione simbolica delle più usate e più suggestive. Essa ebbe il sacro carattere totemistico presso i persi, gli irani, i fenici, i greci, gli ebrei, i celti, i galli, i marsi, i romani. L'essere supremo nel sistema religioso degli egizi era Cnef – simbolo della bontà divina – preesistente alla creazione del mondo, e rappresentato a volte sotto forma di serpe formante cerchio di sé stesso (Plutarco), ed a volte con ali e con testa di sparviero. Gli ofiogeni di Frigia vantavano le proprie origini da un serpente eroe. E' obietto di cieca credenza il serpente presso gli ebrei, davanti ai quali Mosè converte in serpente la propria verga che divora gli altri serpenti (Esodo – VII – 9.12); ed inalza quello di bronzo come signacolo di sanità (Numeri XXI – 9); e in questo simbolo ricordato nell'opera mosaica sarà poi raffigurata la redenzione umana, secondo le parole di Giovanni: “Nella guisa che Mosè eresse il serpente del deserto, fa d'uopo si a innalzato il Figliuolo dell'Uomo” (III – 14).
La ipostasi rappresentativa del serpente – vero Proteo del simbolo – è, però, geneticamente elaborata e identificata nella idea trascendentale del male. Nel mito vedico Ahi o Vetra è il cattivo serpente che tiene incatenate le acque nelle nuvole e nelle montagne, cui darà libertà Indra, il nobile dio bellicoso. Midgard è il serpe figlio di Loke, genio del male, nel mito scandinavo. Nel mito persiano Arimane – il capo degli spiriti cattivi, il signore delle tenebre e della morte, il principio della distruzione – assume le spoglie del serpente Meschia per corrompere la prima coppia umana, nata dall'albero Reivas. Angat è il serpe sanguinario e crudele che simboleggia il male per gli abitanti del Madagascar. Così nella cosmogonia biblica il seprente è la prima tangibile forma di Satana, che induce l'uomo al “fallo primo”, e sarà poi vinto ai piedi della croce, e più tardi conculcato dalla Immacolata concetta. Nel museo Kicheriano di Roma si ammira una scriscia tessuta a piume policrome, rappresentante il serpente adorato, in forma di S, dagli antichi messicani, ai quali i missionari dicevano che quel disegno era l'iniziale del nome di Satana.
Carlo Hagenbeck – il noto domatore di belve – afferma che l'intelligenza dei serpenti è molto limitata; egli cita parecchi episodi a conferma del suo giudizio: un serpente scambia per cibo la coperta ond'è ravvolto; frequente è il caso in cui due serpenti, contendendosi la preda di un coniglio, comincino placidamente a inghiottirlo, uno dalla testa, l'altro dalla coda, e giunti con le bocche ad incontrarsi, si divorano a vicenda (Io e le bestie). Sarebbe errato – quindi – il concetto zoobiologico della Biblia, la quale dice astuto il serpente (Genesi. III), che “diede ad Eva il cibo amaro” (Purg. - VIII. 99) e fu conseguentemente tenuto l'appropriato simbolo del peccato, della malizia, della perfidia, dell'inganno (“latet anguis in herba – Virg. Ecl. III); di frode, comè descritta dal Boccaccio (Genealogia degli Dei), con un corpo di serpe dalla pelle variegata, natante nelle acque di Cocito, d'onde trae il veleno, e solo sporgente la testa, ch'è quella d'un uomo da bene; di tradimento (“tradimento, maledetta serpe” - T. Moore); di tentazione e di seduzione, ed è forse per questo che il serpente tentatore è spesso raffigurato nell'arte con la testa di donna; es.: nell'Eva di Cristoforo Solaro, nel duomo di Milano. Alcuni opinano che tale figurazione sia una specie di metatesi della testa serpentina della Medusa pagana; altri – secondo una tradizione talmudica, che il viso muliebre dato al serpente sia quello di Lilith, vera e prima compagna di Adamo, in una unione non benedetta da Geova, e da cui nacque uno stuolo di demoni; Lilith si sarebbe poi separata dal compagno, e Geova avrebbe da una costola di lui creata la vera madre dell'umanità, Eva, per consolare Adamo dell'abbandono; ma Lilith, invidiosa della felicità loro, indusse la rivale a disobbedire ai voleri divini (Portigliotti), Lilith è anche creduta uno spettro notturno ostile ai parti e scongiurato dagli ebrei (Calmat). Da questa – che può essere una delle molte illustrazioni dell'enigma figurativo – si deduce un altro carattere del simbolo del serpente, quello dell'invidia, confermato ancora dalle sacre carte (Sap. II. 24 – Apoc. XII. 9 e XX. 2), e ricorrente costantemente nelle arti e nella letteratura; es.: Falconet scolpì Pietro il Grande, a Pietroburgo, sopra un cavallo che schiaccia i serpenti dell'Invidia; Poussin dipinse il livido peccato con la capellatura serpentina. E l'Alciato:

Squallid viperes manducans foemina carnes, / Cuique dolent oculi, quaeque; suum cor edit, / Quam macies et pallor habeat, spinosaque gestat / Tela manu; talis pingitur Invidia (Embl. LXXI)

Per analogia, e per il modo orale con cui il serpe inocula il veleno, l'immagina del serpe è pure attributo della maldicenza e della calunnia, naturali concomitanti dell'invidia (cfr. i modi comuni: lingua viperina, morso della calunnia e simili); Giotto ritrasse l'Invidia con una sepre ch'esce dalle sua labbra (cappella degli Scrovegni, Padova). Ed ancora per logica illazione il serpente partecipa del corredo iconografico della discordia (cfr. le descrizioni di Virgilio e di Petronio); e della vendetta: Nemesi, la “veemens dea” (Catullo), rappresentavasi alata, con in mano serpenti e fiaccole, ed erano anguicrinite le Furie ed altri ctonici mostri.
L’avarizia ha il suo singrafo in una vipera con il motto: “Offende viva, risana morta” (Pozzoli). Il Michetti aveva proposto per una serie di francobolli italiani (1907) l’immagine dell’Italia avvinghiata da un groviglio di serpenti, e da cui fugge uno stuolo di rondini: voleva – con significato profondamente sibolico – significare che il buono se ne va con la emigrazione dei lavoratori e restano l’ingordigia e il pregiudizio.
Descritta la “mala striscia” delle tristi attribuzioni date dalla convenzione esperimentale al rettile spaventoso, dobbiamo rilevare il decorso parallelo di altre sue e non secondarie appartenenze simboliche, che lo esaltano come animale di buona natura:

Fallit enim vitium specie virtutis et umbra… (Giovenale)

Troviamo, infatti, una sepre, immancabilmente, al fianco di Esculapio, il filantropo per definizione, e di Igiea – moglie e figlia di lui – avvolta intorno al “baculum agreste” ricordato da Ovidio (Metam. XV), simbolo della forza vitale e della salute. Se ne ha un classico esempio nella bella statua nel museo di Napoli. Anche l’Artemide arcaica, tiene due serpenti, (es.: nella statua del museo Vaticano) e così la Medicina, come è rappresentata – secondo la tradizionale allegoria – nel tempio malatestiano di Rimini.

Il serpe avvolto / All’arbor fortunato, e il vital vase / Della florida Igia, nota il felice / Dall’arti salutare industre alunno. (Arici – Il camposanto di Brescia)

Plinio adduce molte ragioni di questa onorevole attribuzione, servendo il serpente – secondo il grande erudito comense – a molti rimedi e dimostrando egli la vigilanza indispensabile al medico, ed anche perché si rinnova mutando la pelle, come la medicina rinnova l’organismo dell’uomo. La prerogativa di alcune utilità medicali era però soltanto di certi serpi gialli di Epidauria (Pausania), d’onde il culto ad Esculapio venne importato a Roma (T. Livio) allor che i romani – afflitti da pestilenza feroce – deputarono ambasciatori presso i sacerdoti del dio taumaturgo, e nelle vicinanze del suo tempio in Epidauro ravvisarono in un serpente il dio stesso. Tornarono gli ambasciatori con il serpente divino, ed approdati solennemente all’isoletta del Tevere, lo lasciarono libero. Il serpente andò ad appiattarsi fra un canneto, e parve quello il luogo prescelto da lui per sua dimora. Ivi gli si edificò un magnifico tempio (291 a. C.). Con i serpenti gialli peloponesiaci le baccanti attortigliavano i tirsi ed i mistici canestri delle orgie. Gli egizi frammischiavano il serpe – preferibilmente l’aspide – con le proprie divinità, ed anche i loro dei – in particolare Serapide – rappresentavano serpentiformi. Ma poiché presso di loro mancava una mitologia eroica, e confondevansi gli dei con le gerarchie umane (Erodoto), in quell’arte religiosa, piene di simmetrica maestà, ma pure di eloquente artifizio, si vede attribuito il serpe ai re come alla divinità. Il re d’Egitto – anche morto – era parificato al sole cadente che discende dall’emisfero inferiore, fra le tenebre, per risorgere nella luce vivificatrice; come il sole, il re continuava le sue trasmigrazioni dal mondo celeste a quello terrestre. La regalità era quindi l’eternità; ed il serpe (ureus) che ponevasi sulla corona (pscent), simboleggiava e l’una e l’altra insieme, ed era il serpe alzantesi obliquamente in arco. I sacerdoti etiopi lo portavano, nelle cerimonie, attorcigliato alle bende del capo. Non si rinviene però, nei geroglifici egiziani, il serpe a cerchio che si imbocca la coda, e che è il più usato simbolo dell’eternità, come – ad esempio – nella medaglia di Faustina e nel modernissimo quadro di L. Meeser. Il serpente era anche ordinario simbolo del sole (Macrobio).
“Siate prudenti come i serpenti” ripetono le sacre carte (Matteo X – 16); e sembra strano poiché per esse il rettile inviso rappresenta l’empietà, ed a lui – come bruto – non è ammissibile rivendicare l’uso della ragione. Non est hic locus di commenti filosofici, e rimandiamo il lettore alle esegesi di Tommaso e di Agostino (De tentatione primorum parentum). Certo è che la torva guardatura, lo strisciare per terra, il mimetismo, l’insidia per procacciarsi il cibo, sono caratteristiche di così pronto rilievo che suggerirono anche alle genti antiche di simboleggiare nel serpe quella virtù che Socrate definì “l’ornamento dell’anima”, la prudenza. Così forse pensarono gli scaldi nell’esaltare la circospezione di Odino, che, tramutandosi in angue, rapisce il nettare divino alla gigantesca nemica; e pensarono i greci, attribuendo a Minerva – dea della saggezza – il serpente, come appare dall’episodio di Laocoonte (Eneide II. 200); dal bassorilievo di Jacopo della Quercia, nella fonte Gaia (Siena), e dallo splendido fresco iconico della Sapienza condotto dal Tiepolo, nella cappella Colleoni (Bergamo). Così ancora il serpente è dato dagli araldisti come simbolo della riflessione e della prudenza.
La Chiesa lo dedicò a san Giovanni evangelista ed a san Vittore; e in tale dedicazione si riscontra un altro traslato dalla materialità della natura alla concezione astratta e spirituale. Credevasi che il serpente invecchiato venisse ad un punto della sua esistenza nel quale digiunava per quaranta giorni e quaranta notti, così che la sua pelle ne fosse screpolata; indi sguisciasse attraverso la stretta fenditura della roccia, e vi rimanesse fin che una nuova pella non lo ricoprisse del tutto.

E tal di vaga gioventù ritorna / Lieto il serpente, e di nov’or s’adorna (Ger. Lib. XVIII – 16)

Come angue si rinfrasca / Dopo l’orrida bruma, e cangia spoglie (F. Benedetti – All’Italia)

In tale guisa il rettile si prestava ad interpretare simbolicamente la rigenerazione, ed il Physiologus ammonisce: “Così tu, o figlio dell’uomo, se vuoi spogliarti del tuo vecchio Adamo ed essere rigenerato, devi passare per la angusta porta che conduce alla vita” (White). Con significato presso che eguale rilevarono il serpente i gnostici ofiti, dandogli parte singolare nelle iniziazioni e nelle agapi; e da essi proviene, probabilmente, l’adozione del serpe nella emblematica massonica. Ancora come simbolo della rigenerazione l’accademia romana dei Rinnovati prese per emblema tre serpi intrecciati, con il motto “Quos bruma tegebat”. La tribù dei Bulonge (Uganda) è forse l’unico gruppo di popolazione che abbia mantenuto anche ai nostri giorni il culto del serpente vivo (Roscoe). Solevansi dipingere i serpenti nei luoghi pubblici “che volevansi mondi d’ogni bruttura, onde gli adulti per reverenza, i fanciulli per paura non vi accostassero a far puzza” (Monte – Comento a Persio. I).
Il duplice serpente era l’insegna dell’Asia. Gli egizi accoppiavano la vipera alla murena per simboleggiare l’adulterio. Nell’alfabeto segreto della camorra il serpe significa pubblico ministero (Guyot). La festa dei serpenti, che si celebra ogni anno, nel primo giovedì di maggio, a Cocullo (Abruzzi), è una delle grandi sagre italiche di origine pagana e di spirito cristiano non ancora travolta dall’onda della modernità. Vi accorrono le donne di Scanno, dalla bellezza esuberante ed altera, nei loro pittoreschi abbigliamenti, e uomini e ragazzi, con una quantità di serpentelli...sdentati, attorcigliati alle braccia, al collo, alle gambe nude. Si porta in processione un dente di san Domenico da Foligno, il quale avrebbe la virtù prodigiosa di guarire, solamente nel riguardarlo, i morsi delle vipere. Ci richiama la tipica, impressionante figura scolpita da Gabriele d’Annunzio, il “serparo” della fiacoclo sotto il moggio:

Edia Fura / Sono, nato di Forco, che serviva / il santuario prima di me. E prima / di lui c’era Carpesso, della nostra progenie, che forniva la cisterna / santa. E nel territorio / di Luco, e in tutto il popolo dei Marsi / non v’è novero delle geniture / di vostro ceppo ch’ebber la virtù.

La “cisterna santa” è quella di Cucullo, nella cui valle i marsi antichi professavano il culto totemico del serpente."

Testo tratto da: Giovanni Cairo, "Dizionario ragionato dei simboli", Ulrico Hoepli, Milano, 1922 (febbraio 2022). Per approfondire il tema della simbologia funeraria ottocentesca cliccare qui.

Die Schlange. In der Antike, besonders im antiken Griechenland, stand die Schlange für okkultes Wissen, Weissagungen beim Orakel von Delphi und der dort lebenden Priesterin „Pythia“. Die Schlange wurde als Grundlage für Heilmittel bei Krankheiten betrachtet. Asklepios, der einen Stab mit einer Schlange hält, ist zum Sinnbild der Medizin und Pharmazie geworden. In der christlichen Deutung ist dieses Bild mit Evas Versuchung verbunden. Genauso wie die Kröte wird auch die Schlange mit Luxus und Tod verbunden. In der abendländlichen Ikonographie steht sie für die medizinische Wissenschaft.

Traduzione del testo di Gian Marco Vidor a cura della classe 5 H del Liceo Scientifico “Augusto Righi” di Bologna, nell'ambito del progetto di scambio culturale con il Liceo "Europaschule" di Bornheim, Germania, maggio-ottobre 2014

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