Savioli Ludovico

Savioli Ludovico

22 Agosto 1729 - 1 Settembre 1814

Note sintetiche

Scheda

Figlio del conte Giovanni Andrea e della contessa Paola Ludovica Barbieri Fontana era parte dell'aristocrazia senatoria bolognese. Studiò nel Collegio dei Nobili S. Francesco Saverio (Bologna) e si laurea il 4 settembre 1790. Sposò l'unica erede della "nobil casa" Bolognetti. Alquanto facoltoso, possedeva un palazzo e una villa, La Canonica, a Bologna. Nel 1796 viene nominato professore di Storia universale all'Università ed il 29 giugno compie una missione con Antonio Aldini presso il quartier generale di Napoleone in Toscana, per tentare di indurre il Generale a ridurre le contribuzioni. Nel 1800 fu membro del Collegio di giustizia civile e successivamente molte altre cariche pubbliche. Durante il suo soggiorno a Parigi nel 1796, strinse amicizia con Portal, Lalande e Lagrange. Poeta, drammaturgo, storico e amministratore, ha scritto una storia di Bologna (1799), ma è conosciuto soprattutto per la raccolta di poesie anacreontiche Amori (1765) e per gli Annali bolognesi (6 vol. pubblicati dal 1784 al 1795). Fece parte dell'Accademia clementina di Belle Arti (1752), dell'Accademia benedettina, dell'Arcadia romana, dell'Istituto nazionale (1802). Savioli aderì alle idee rivoluzionarie rinunciando a tutti i suoi titoli nobiliari e accettando cariche nei governi delle repubbliche cispadane e cisalpine. Condannò tuttavia gli eccessi giacobini e non subì ritorsioni durante la Reggenza austriaca. Nel 1802, due architetti milanesi, su richiesta del governatore cisalpino, avevano redatto un rapporto che consigliava di lasciare l'Archiginnasio e trasferire l'Università nel palazzo dell'Istituto, per poter sfruttare meglio i musei scientifici che vi si trovavano raccolti. Nel febbraio 1803, il prefetto del dipartimento chiese a Savioli di dirigere i lavori di una commissione incaricata di esaminare tale progetto. Mentre la maggior parte dei professori si opponeva al trasferimento, adducendo come motivo l'esiguità dei locali, Savioli era al contrario assai favorevole e la sua opinione costituì la garanzia di cui aveva bisogno Milano per imporre la propria volontà. È probabile che i colleghi gliene abbiano serbato rancore, tanto che a partire dal novembre 1803 non tenne una sola lezione alla nuova Università, adducendo come pretesto l'età e il cattivo stato di salute. Simili giustificazioni suscitarono l'indignazione del Consiglio dei decani, poiché era universalmente noto che l'anziano professore era abbastanza arzillo da partecipare ogni notte a convegni galanti. Malgrado le rimostranze di cui fu fatto oggetto, questo nobile libertino rifiutò di piegarsi alla nuova disciplina universitaria.

Così viene descritta la sua vita nella pubblicazione 'Serie di vite e ritratti de' famosi personaggi degli ultimi tempi', Milano, Batelli e Fanfani, 1818: "Dal conte Gio. Andrea Savioli e dalla contessa Paola Ludovica Barbieri Fontana nacque in Bologna Ludovico Vittorio il giorno ventidue di agosto dell’anno MDCCXXIX. A bene itruirlo nella morale e nelle lettere fu collocato nel nobile Collegio di S. Francesco Saverio di Bologna, sotto l’instituzione de’ Gesuiti, i quali in quei tempi ridondavano più che mai di soggetti chiarissimi per ogni genere di letteratura e di scienze. Seppero essi assai bene conoscere la vivacità ed eccellenza dell’ingegno del Savioli, ed avvedutamente lo istradarono ne’ retti elementi degli studi, di cui diede pubblici saggi, i quali servir sogliono per lo più d’incitamento alla lode ed all’amore del sapere; del quale acceso il Savioli, ritornato in seno della famiglia, proseguì a maggiormente perfezionarsi nella cognizione delle apprese discipline e nell’esercizio delle liberali arti disegnando lodevolmente di paese, e non mediocre intelligenza avendo delle bellezze della pittura; della quale arte non avvi, per così dire, Bolognese che non si creda tenuto di doverne dare giudizio. Nel proseguimento dell’applicazione alle filosofiche e matematiche scienze ebbe a consultare Francesco Maria Zonotti, il cui nome equivale ad un grand’elogio. Fu poscia suo precettore nella Legge Civile e Canonica il conte prevosto Vernizzi il quale, dottissimo in ambe le Leggi, con somma riputazione le esercitava in Bologna, col decoroso titolo di giudice e di avvocato di Camera. Corrispondeva il Savioli quant'altri giovani suoi condiscepoli in questi studi maravigliosamente al desiderio de’ suoi prccettori, ma sentendosi alla bella letteratura ed alla poetica facoltà più che ad altro dalla natura inclinato, trascelse a sicura guida e ad infallibili consiglieri in tutto che a buon gusto di letteratura facea mestieri, prima l’Ab. Domenico Fabri, uomo di fino e delicato senso del bello, e che sapea soavemente insillarlo ne’ giovani, per cui fu avvedutamente dal Senato Bolognese con somme onorificenze destinato alla cattedra delle umane lettere, ed in appresso Ferdinando Ghedini, il quale per aggiustatezza di giudizio, per finezza di discernimento, e per colto e robusto stile ed ingegnosa invenzione, e sostenuto verseggiare, può fra’ primi poeti facilmente annoverarsi; e le sue castigate ed eleganti composizioni serviranno sempre di securo esemplare ove sia chi conosca ed ami il vero bello. E agevole riferire quanto grande fosse il profitto che trasse il Savioli, nel modo nitidissimo di scrivere in prosa ed in verso, si in italiano, che in latino, sotto gl’insegnamenti di tanto uomo, il quale, sebbene fosse alquanto severo e difficile a lodare, pure sentiva certa affettuosa compiacenza della vivacità di ingegno e dell’acutezza di mente del Savioli. Seppe questi approfittare de’ lumi e delle istruzioni del Ghedini, senza copiarne servilmente le idee, e molto meno i sentimenti; tenendo egli per fermo che quanto è necessario attendere alle regole ed allo spirito de’ saggi istruttori e de’ buoni autori che si prendono per guida, altrettanto è inavveduto consiglio quello di coloro, i quali con grandissimo scrupolo tutto quanto vanno seguendo timorosamente che da altri autori trovasi scritto, col ricopiarne perfino le parole e forse talora gl’interi versi, né si curano gran fatto di evitare l’affettazione non passando quel termine che da altri è stato usato per sembrare imitatori fedeli. Ma egli, al contrario, di carattere vivo ed alieno dai vincoli di una servile imitazione, poich’ebbe le più perfette e singolari cose dal suo maestro e da’ libri apparato, presone già libero possesso, come ministre a sè sottoponendole, per tutto ove gli piacque le condusse, divenendo così eccellente scrittore ed ottimo in tutto quello che egli imprese a dire, o in prosa o in verso. Assai giovine ancora, più per accondiscendere ai voleri del padre ed assicurare gl’interessi di famiglia, che per proprio genio e piacere, menò per moglie una della nobilissima famiglia Bolognetti, ultima di suo casato; la quale se portò qualche ricchezza al Savioli, non potè però tanto interessare col suo spirito e colla sua bellezza colui che innamorato delle vaghissime Muse, troppo chiara e viva idea aveva nella fervida mente concepita delle grazie e del bello. Visse però sempre con lei rispettandola ed onorandola, quanto alla condizion sua, e n’ebbe diversi figli, segnatamente due femmine ed un maschio, per nome Aurelio, che pieno di cognizion di belle lettere e di arti, visse non pochi anni nella corte dell’Elettore Palatino, ove era stato ancora il nostro Ludovico, poi, ritornato alla patria, morì nel 1788 in età poco più di trentasette anni: le femmine furono accasate, la prima nella rispettabile famiglia Senatoria Davia, e l’altra a rinforzo della propria famiglia, in un figliuolo del conte Alessandro, fratello di Ludovico. Atteso che il Savioli, come ho detto poco fa, aveva maggiore disposizione alla poesia che a tutte le altre studiose arti, a quella più particolarmente si diede e con nuovo leggiadrissimo stile e con artificioso modo intrecciar seppe la Mitologia nelle composizioni sue, e non vi fu per avventura occasione luminosa, o di valente Sacro Oratore, o di nozze, o di lauree, o di monacazioni, in cui non fosse ricercato di versi, come rilevasi e dalle varie sue Canzoni vivacissime e da molti suoi Sonetti e da liriche altre poesie le quali fanno testimonio che eziandio ne’ comandati argomenti, in cui è vincolata la sacra libertà dè grandi ingegni, grandissima lode si meritò. Primeggiando quindi fra giovani suoi coetanei, coltivatori delle bluse, non vi fu accademia letteraria che nol volesse ascritto al suo numero, e segnatamente l’Arcadia di Roma l'acclamò fra’ suoi Pastori, il nome compartendogli di Lavinio Еginetico. Pubblicò egli da prima il Monte Liceo, opera composta nella sua prima giovanezzа ed intrecciata di culte prose e di vaghe poesie ad imitazione felicissima dell’Arcadia del Sannazzaro, dedicandola a Carlo Borbone re delle due Sicilie ed infante di Spagna, che di molto apprezzava i poeti di quella età. Quantunque il Savioli non aspirasse principalmente alla gloria del tragico coturno, volle però far prova quanto valesse il suo stile per questa sorte di componimenti, dando fuori nel 1761 una tragedia intitolata Achille, da lui composta alcuni anni addietro, e fatta recitare in sua domestica sala, non senza applauso. La dedicò egli alla marchesa Teresa Pepoli Spada, dama di singolare talento e della conversazione de’ letterati amantissima, con una spiritosissiina lettera, nella quale previene le accuse che potrebbero darsi alla sua tragedia, e si mostra assai bene istrutto del carattere e de’ pregi de’ migliori tragici, ed augura agli Italiani di sapere approfittare de’ lumi e delle fatiche de’ tragici inglesi e francesi, onde valendo tanto in ogni altro genere di poesia, non abbiano a rimanere indietro nel tragico; e prevede con saggio accorgimento che sorgerà in Italia un Genio per cui in questa parte ancora non dovrà cedere la trionfante poesia italiana alla francese. Il suo Achille non lascia di essere lavorato con artificio, verseggiato con grazia di stile, sentenzioso e purgato, e degno del suo genio sublime. Mostrossi inoltre il Savioli peritissimo nell’idioma del Lazio, e molte cose scrisse e in verso ed in prosa con pura e sentenziosa locuzione, come lo mostra, fra le altre cose, un suo Epigramma per sacro oratore, e la sua Orazione latina, da lui recitata nelle pubbliche scuole l’anno 1791 alla presenza della più scelta e colta adunanza di gravissimi e rispettabili letterati, in occasione di essere stato eletto a spiegare nelle università la profana Storia delle Genti ed i loro usi e rispettive prerogative. Amatore ch’egli era tenacissimo dello stile di Tacito, imprese a tradurre 1e Storie, e ne pubblicò nell’ultimo Inno del viver suo il primo libro coi tipi Bodoniani nel 1804, dedicandolo a Napoleone, che‚ in allora dominan la repubblica francese col titolo di Console, e l’italiana con quello di Presidente. Il quale, conscio che i Grandi hanno bisogno degli autori per vivere eterni nella memoria de’ posteri, di magnifico dono onorò l’Autore. ll Savioli, imbevuto fino da’ primi anni dell’assidua lettura di Tacito, formossi uno stile ad esso conforme nello scrivere gli Annali Bolognesi, che nel 1784 dedicò all’immortale Pontelice Pio VI, con succosissima Prefazione. Annali che per la concisa eleganza con cui sono scritti, contrastar potrebbero col grande esemplare ehe si era proposto ad imitare, se la gravità delle cose e la sublimità dell’impero romano paragonar si potesse colla picciolezza de’ fatti bolognesi, e colla umiltà di uno stato assai limitato. Ma la morte impedì al Savioli di condurre a termine questo suo lavoro, anzi l'opera tutta restò interrotta sul più bello, quando più interessante diveniva la Storia di Bologna e per i suoi pregi e per le strepitose vicende, alle quali andò soggetta, e per il veramente felice stato di civile libertà, pace e tranquillità, in cui fiorì fino all’ anno 1796. Ma l’opera nondimeno ch’è stata da tutti con fermo giudizio generalmente commendata, e che maggior gloria acquistò al Savioli, e che per comune parere a tutte le altre giustamente va innanzi, essendo piena di una originalità singolare, di una vivacità elegantissima e di una novità maravigliosa è quella che col titolo di Amori fu data in luce nel 1750, dedicata dall’abbate Giuseppe Taruffi al conte Gregorio Casali, dicendo egli di non voler differire a render pubblico si grazioso volume, sembrandogli che il leggiadrissimo poeta siasi in queste poesie proposto di offerire il più amabile sacrilicio alle Grazie, ammirandosi in esse soavità di stile, artificio di numeri, rima veramente spontanea, e soprattutto la moderna galanteria sparsa di fiori mitologici e condita di sapore antico.  Infinite edizioni ne furono fatte e segnatamente due nitidissime nella maravigliosa tipografia Bodoniana, una in 4° grande e l’altra in 8° piccolo, ambedue fregiate del ritratto assai somigliante dell’Autore. Tanta vivacità d’ingegno e tanta venustà e grazia dimostra in questa poesie, e con tanto artificio ordina e dispone le numerose favole e le soavi sentenze, che molto più di lui che di altro poeta in questo genere risuona il nome, e con gloria infinita e maggiore trasporto da ogni ingegnoso uomo ed intendente è ricordato e da tutti tenuto in fregio tale, che sono state in varie lingue avidamente tradotte. Per la qual cosa non sarà per avventura troppo malagevole trovare la cagione, per cui alcuni, per amore di far noto il loro nome col mordere con ingegnose critiche queste poesie, si studiarono a tutta possa di aguzzare il talento per far rilevare i più piccoli abbagli e le più minute mende che in esse si possono ritrovare, essendo assai più facile nelle opere d’ingegno notare alcuni difetti che saperne imitar le bellezze. Ed uno tra gli altri, che meno forse il dovea, e per la dignità e perspicacia sua, e per essere del Savioli concittadino, ben sapendo che la critica deve leggermente pungere, non traliggere, e più presto dilettare che offendere, onde volonterosamente e con piacere venga ascoltata eziandio da colui a cui è diretta; ciò nondimeno, amando forse di far conoscere che se l’arte maravigliosamente possedeva di salvare l’onore, la roba, la vita degli uomini contro la malignità e la calunnia, quella pure non gli sarebbe mancata di deprimere, colla più severa critica e colla satira la più ingegnosa, le opere più rinomate, e che dalla comune opinione erano per eccellenti considerate, si fece lecito di rilevare minutamente i più piccoli nei, le più tenui mende che in queste leggiadre poesie si possono dal più fino occhio vedere, ed ingrandendole, e nel più sinistro senso interpretandole, non risparmiò in conto alcuno l’Autore medesimo, del quale però tanta era la stima che intimamente egli pure sentiva, che volle in appresso fuor d'ogni scherzo tributargli il più giusto ed il miglior elogio che mai si possa, col pubblicare un succosissimo distico. Più volte però da altri estranei fu al Savioli apposto l’ingiurioso e maligno sospetto, essersi creduto da alcuno che queste Canzoni non siano parto della sua penna. Ed un celebre scrittore di questi ultimi tempi che ha compendiata la Storia de’ Letterati italiani, l'ha autorizzato d’avantaggio questa taccia, ma la maniera stessa con cui gli piace di esprimere la cosa, fa molto diminuire il suo giudizio: dice egli adunque credersi essere opera di persona da lui beneficiata e protetta, la quale ricambiavalo de’ ricevuti favori col sacrifìcio della propria gloria, ed egli poi pubblicandole col suo nome in fronte, tutto ne riportava l’onore. Non accorgendosi forse l’illustre compendiatore che chiamandosi indifferente a bene indagare e discutere tali imputazioni per riconoscerne la sussistenza o la falsità, non dovea conseguentemente nominare fra‘ suoi letterati il Savioli, mentre che se fossero vere, il da esso encomiato più non avrebbe diritto ad entrare in tal novero: ma non hanno pure a soffrirsi si fatte coutumelie da chi deve a tutto potere vendicarne la calunniue da chi sa essere certissimo dell’ autenticità della cosa.

Il senatore conte Gregorio Casali, della cui famigliare amicizia fui sempre, mentre ci visse, onorato, e di cui incontrò di buon grado l’occasione di far parole, assai dolendomi che sì colto ed erudito uomo e si elevato e leggiadro poeta, anche ne’ più astrusi filosofici argomenti, non sia collocato in quell’alto grado di celebrità che doverosamente gli compete, e si faccia luogo nelle memorie letterarie piuttosto che a lui, a tanti altri rimatori e sonettisti meno valenti: egli adunque mille volte mi ha asserito, in ragionando delle Canzonette del Savioli, e lo ha eziandio ripetuto nell’indice delle sue poesie, che contro ogni ragione si sospetta non essere parto del venustissimo ingegno del Savioli gli Amori. Mentre egli medesimo ne fu uno dei promotori, egli li vide, per cosi dire, comporre; narrando che giovinetti essendo ambidue, ed in compagnia di altri cultori di Apollo, loro cadde in animo di volgarizzare le Elegie degli Amori di Ovidio, usando dell’applaudito metro, in cui Angelo Michele Rota, facile e vivace poeta bolognese, aveva pubblicato un Epitalamio per le nozze del sig. conte Albicini di Forlì colla signora contessa Sanvitale di Parma, che incomincia: Indarno di papaveri, ecc. Erano tra questi giovani il medesimo Rota ed il Savioli ed il Casali che stampò fra le sue poesie la Parafrasi della Elogia XIII del libro primo degli Amori di Ovidio, ch’è quella ad Auroram ne properet, ma conoscendo che nella divisata traduzione inoltrar potevansi facilmente in troppo lubrica strada ed in cose laide, non convenienti a costumare i giovani, dopo averne chi una, chi un’altra delle meno pericolose tradotte, desisterono con saggio consiglio dalla impresa. Ed in allora Ludovico Savioli più degli altri animoso, e sentendosi dalla liberale natura favorito de’ suoi graziosissimi doni a tale lavoro opportunissimi, si esibì pronto a comporre nel metro stesso, e colle grazie seducenti del Sulmonese, senza però lordarsi nel fango delle indecenti sue lascivie, alcune originali Canzonette, avvisandosi di riportarne onore. E di fatti mantenne egli puntualmente la promessa, e fra non molte settimane lesse alla medesima adunanza de’ giovani le sue prime sei Canzonette, che furono ascoltate con istraordinario piacere di tutti, ed a pieni voti animato a proseguire una si lodevole fatica che tanto onore procacciò all’italiana poesia, e tanto nome ancora tra’ poeti al dotto e benemerito scrittore degli Annali bolognesi. Alla fronte di lui ingiustamente si vuol togliere il ben meritato alloro per fregiarne chi non ebbe giammai in pensiero di rapirglielo, e di cui ne colse egli si spesso in Pindo, e verdissimi e adulti e vecchi rami, ben degno di contrastare noll’ ultima età sua la palma ai Lamberti ed ai Monti, primari cigni dell’italica repubblica, che ne solennizzarono a gara la nazional pompa li 16 giugno 1803 con fervide ed energiche Odi, fra le quali per venustà e vivacità di fantasia e purità dello stile non è ultima quella del Savioli. Il quale essendo prima stato fra il numero degl’invitati a Parigi della appena nata che spenta cispadana repubblica, benchè vecchio, incitato ad improvvisare, con vivace e rinverdito estro tali strofette cantò, che non ismentiscono punto l’antico cantore degli Amori, per li quali assicuratosi per sempre il possesso dell’immortalità, ridendosi delle appuntature de’ maligni, non volle mai vendicarli dalle taecie ed imputazioni loro date, amando meglio di fare arrossire i suoi detrattori colla perfetta non curanza e pago di sentire egli stesso perdersi le deboli voci de’ pochi invidiosi fra‘ le acclamazioni e gli applausi di tutte le colte nazioni. Molti civili officj e dignitose cariche ebbe in patria il Savioli: Clemente XIV gli conferì nel 1770 il frado senatorio, che conservò fino alla cessazione del Senato, accaduta nel 1797. Nè di lieve momento era a que' di la dignità senatoria in Bologna, da cui tutta dipendeva la civile ed economica amministrazione della città e provincia, e che il governo tutto avvicendava col pontificio legato. Mostrò il Savioli in tutte le magistrature che coperse un nobile disinteresse, ed attività ed intelligenza ed un vero amor di patria; dal quale unicamente indotto, ancora quando la città, dalla francese seducente voce di maggior libertà animata, dovette abbracciare il nuovo ordine di stato, egli, sebbene pienamente ne vedesse la falsità, e negli esempi delle cose, e nelle cognizioni perfette delle storie addottrinato, ben sapesse che tutti i conquistatori e guerrieri hanno in ogni tempo ingannato i popoli occupati, colla fallace promessa di libertà, e di far loro del bene, nell’atto che di tutto spogliandoli, nella estrema miseria e nella più vile servitù li riducono; non per tanto stimando prudente consiglio di non contrariare al tempo e di adattarsi alle circostanze, anche perchè minor male ne avvenisse, si mostrò caldo di amore di libertà, discese con ilarità agli uffizi col resto del popolo, e li sostenne con decoro e con impegno, non mosso certamente dall’amore di guadagno, o di sordido interesse. Concentrate in un lampo le due infantili repubbliche Cispadana e Transpadana nella Cisalpina, e questa rinfusa nell’Italiana, fu ne’ comizi di Lione annoverato fra i duecento Elettori dotti. Organizzato in seguito per legge de’ 17 agosto del 1802 il nazionale lnstituto, in tre sezioni ripartito, la prima di fisica e matematica, la seconda di morale e poetica, la terza di bella letteratura, fu il Savioli nominato fra i componenti quest’ultima sezione. Ragguardevolissimo era un tale consesso, a cui quelli ch’erano ascritti riputavansi i più scienziati uomini dello stato; e per accrescerne il pregio ed a Bologna, l’antico nome, volle Napoleone che questa città ne fosse la residenza. Pervenuto era il Savioli al settantesimoquinto anno dell'età sua, essendo vissuto sempre sano e lieto, e perciò accettissimo nelle società tutte, e de’ dotti uomini, e delle festevoli persone, nelle quali sapeva, e colle grazie de’ motti, e coi sali più conditi, fare risplendere i lampi dell’ingegnoso suo spirito, abbellendo i discorsi più comuni con tali urbanità, che rendeva la conversazione sua amenissima. Cominciò però negli ultimi tempi a risentire i danni della vecchiaia, che alquanto affievolì ancora la sua mente; e colto in fine da malattia micidiale, malgrado i presidi dell'arte difficile medica, confortato da’ sacramenti della Chiesa, passò il giorno primo di settembre del 1804 a miglior vita. Fu tumulato fuori di città nel cimitero comunale, avendogli dipinto in un’arcata del gran Cortile un lodevole monumento il valente giovane Borletti.

In collaborazione con l'Archivio Storico dell'Università di Bologna

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Silvia Benati, Elenco dei senatori in carica a Bologna il 19 giugno 1796, in ordine alfabetico

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Bernardo Gasparini, Due notti alla Certosa di Bologna nel 1815, Bologna, Tipografia Governativa alla Volve, 1845. Collezione privata.

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