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Carlo Santachiara

01 Gennaio 1937 - 2000

Scheda

Carlo Santachiara (1937-2000) nasce a Reggiolo in Provincia di Reggio Emilia; ben presto sorprende il suo talento per il disegno, e quindi nel 1952 la famiglia si trasferisce a Bologna per dargli la possibilità di frequentare il Liceo Artistico. Avrà come insegnanti i pittori Giacomelli e Ilario Rossi, lo scultore Cleto Tomba. Di quest’ultimo artista si trovano diversi lavori nei medesimi chiostri della Certosa in cui operava il nostro. Nel 1961 Santachiara si diploma all’Accademia delle Belle Arti di Bologna in scultura con Mastroianni. Infatti, a parte la sua grande mano da disegnatore e la sua passione per il fumetto è il lavoro dello scultore, del plasmare la terra, del dare forma alla materia, che lo prende e coinvolge.

Nel 1962, appena venticinquenne, comincia il suo percorso come insegnante al Liceo Artistico di Bologna, in principio come assistente alla cattedra di Figura e Ornato modellato degli scultori Enzo Pasqualini e nuovamente di Cleto Tomba. Di Pasqualini si trovano vari lavori importanti nel museo a cielo aperto quale è la Certosa e quindi la generazione successiva - quella di Santachiara - non sarà da meno. Ne nominiamo, tra i tanti attivi in quegli anni, solo alcuni che lui conosceva bene: Bruno Raspanti con cui per anni condivideva lo studio, Marco Marchesini, suo assistente alla cattedra nel Liceo Artistico, l’amico e bravissimo medaglista Bruno Bandoli. Per il giovane Santachiara, contestualmente all’impegno come insegnante, arrivano le prime commissioni: per la nuova Chiesa di SS. Francesco Saverio e Mamolo gli viene commissionato nel 1963 una Via Crucis in cemento, composta da 14 stazioni del Calvario di Cristo. E nel 1964 arrivano le prime opere da realizzare per la Certosa. Tre tombe nel Campo degli Ospedali, due Angeli oranti e un Cristo Risorto (Tomba Altan-Griffo, Cripta Cattaneo, Cripta Monti). I suoi lavori piacciono, piacciono ai marmisti, piacciono alle famiglie. Anche se con opere non sempre di facile accettazione, come i suoi angeli che sembrano appena estrapolati dal grumo informe della creta. E certe volte l’artista deve difendere la sua idea anche di fronte ai regolamenti della commissione: nelle carte della Certosa troviamo una sua lettera a proposito del suo Cristo sulla cripta Ferrari nel Chiostro III, in cui difende le dimensioni della scultura: “la scelta delle proporzioni è una scelta stilistica e quindi non discutibile anche nel figurativo”.

"La tomba dovrà essere ornata con opera di scultura”, così dettano i regolamenti della commissione della Certosa che deve approvare i progetti per le tombe del Chiostro III. Quindi un’opera fatta appositamente da un artista e non un oggetto seriale da catalogo. Erano di solito i marmisti - e lo sono tuttora - il tramite per l’artista, realizzando la tomba in base al progetto dell’architetto e cercando gli artisti disposti a creare la scultura tombale da proporre alle famiglie. Andavano all’Accademia delle Belle Arti di Bologna e cercavano tra i professori e chiedevano loro di indicargli chi tra i loro bravi allievi o ex allievi si potesse chiedere, per pochi soldi, la realizzazione dell’opera. Per questo si trovano le opere di professori e allievi a fianco a fianco nella Certosa: il gotha degli scultori che lavoravano e vivevano a Bologna nel dopoguerra.

Sotto il lungo portico che costeggia lo stadio e che accompagna fino all’ingresso nord-ovest della Certosa ci sono i fiorai e i marmisti. Tra questi operava Primo Tura, in quegli anni titolare della rinomata ditta di origini ottocentesche Davide Venturi & Figlio, oggi Sacilotto. Angela Zaccaria, la sua nipote ed erede di mestiere, racconta come “mio zio lo stimava molto, avrebbe voluto adottarlo, Carlo era molto espressivo, pronto. Nello stesso momento in cui lo zio gli parlava di una nuova commissione, lui cominciava a buttare giù i primi schizzi. Lo vedevi arrivare da lontano sotto il portico, a passo spedito, magro, barbuto, con chioma nera e intorno al collo le sue chilometriche sciarpe che svolazzavano, e i fiorai che lo vedevano passare dicevano: “chi è lu lé?” Lunghissime sciarpe di lana fatte dalle sue allieve. Delle volte veniva con qualche allievo, qualche allieva in bottega a far vedere il mestiere, a fargli prendere un blocchetto di marmo da lavorare”. Pensando ai suoi lavori per le tombe vengono in mente le parole che lui stesso aveva pronunciato in una presentazione di lavori di altri giovani artisti, suoi colleghi: “le ricette per fare dell’arte non esistono, i paternalismi non sono ben accetti, ci si arroga anche il diritto di correre rischi. Non esiste altra possibilità di aiutare i giovani se non questa: permettere loro di lavorare”.

Dal 1964 fino agli anni settanta realizzerà una trentina di sculture e altorilievi sepolcrali. Il maggior numero si trova in una delle parti più belle della Certosa, nel Chiostro III, il vasto campo attorniato dal portico cinquecentesco era stato lottizzato per nuove tombe negli anni 1965-1975, in cui era previsto il “vincolo di opera scultorea”. In quel periodo Santachiara realizza - solo per nominare qualche esempio significativo - il Cristo Crocefisso, solennemente umano nella sua scarna nudità, sulla cripta Ferrari (1968), la Crocefissione a bassorilievo della Cripta Silingardi (1969), come pure i quattro altorilievi della cripta Berselli (1970). Cosa si chiede all’opera d’arte per un sepolcro? Ci troviamo di fronte al passaggio dalla vita all’oltretomba, di fronte alla paura della morte, al lutto, al ricordo di chi se ne è andato, al richiamo della vita. Il cristianesimo ci dà tutta una serie di immagini che offrono risposte a queste domande: la crocefissione di Cristo, la sua deposizione, il compianto, infine la resurrezione del Cristo, il tutto accompagnato dagli angeli, con iconografie codificate nel corso dei secoli, stereotipate, nel peggiore dei casi ridotte a “santino”: e l’artista ogni volta dovrebbe ridarle vita e significato. “In Santachiara vive interiormente un bisogno… di confrontarsi in un gioco della verità che raramente è dato di incontrare e che emerge con intatta forza anche nelle opere di committenza che in questo senso e per questa ragione non sono mai quietamente decorative o devozionali.” Così si scrive nella guida della Certosa realizzata a cura di Giovanna Pesci nel 2001.

Dopo questo periodo Santachiara accetta di rado le commissioni funerarie, ha tante altre cose da fare, disegni, fumetti, le sue sculture di aerei, ballerine, catafalchi, donne, madonne, cavalli. E quindi negli anni a venire accetta semmai per amicizia, per particolarità del soggetto, come nei gruppo scultorei per la Cappella Venturi (cat. 175) o i due Angeli del sarcofago Fuzzi, realizzati rispettivamente nel 1980 e 1987. Nel 2002, a due anni dalla sua morte, il Comune di Bologna inaugura in Palazzo d’Accursio una mostra di tutta l’opera scultorea di Santachiara: “Sculture a Memoria”. E proprio partendo dalla scultura commemorativa in Certosa la mostra riesce a mettere in evidenza la straordinaria ricchezza di tutta la sua arte, la contaminazione tra i suoi stessi lavori, temi, generi, saperi ed umori, grazie alla “brillante facoltà dell’artista di creare in presa diretta, grazie all’energia e alle risorse di un codice genetico artistico complesso ed inesauribile”. Così il curatore della mostra, Adriano Baccilieri, ha saputo condurci attraverso l’opera di Santachiara sia con le sue parole nel catalogo, sia con l’allestimento.

Oggi come oggi, sarebbe immaginabile che un giovane scultore italiano potesse fare un simile percorso, ideare sculture per un camposanto ovvero essere chiamato a crearle? In un epoca in cui la gestione dei cimiteri come deposito temporaneo dei defunti ha neutralizzato, per non dire eliminato, il colloquio tra la vita e la morte? Questo non vuol dire che l’arte non si occupi più di questo tema centrale per l’uomo, ma certo non lo fa quasi più per il cimitero. Santachiara propone indifferentemente le sue figure femminili sia quali figure laiche sia come figure angeliche e, pur nella esibita sensualità, non si percepisce mai alcunché di voyeuristico. Con gli angelli della cappella Venturi alla Certosa prendono avvio le innumerevoli versioni delle ballerine, che in un circolo perfetto trovano la conclusione nella silente figura della Pace del monumento ai Caduti della Grande Guerra per la sua città natale che, come scrive lui stesso, rappresenta un paesaggio (veduto dall'alto) delle nostre campagne in estate, alle due del pomeriggio. Tutto è silenzioso. I grandi sono a riposare. In campagna, ben nascosti, ci sono solo i bambini. Il mondo è degli innocenti. Alta nel cielo la figura della pace, una ragazza normale, non divinizzata, sorveglia e sembra dire agli uomini “state buoni, non rovinate tutto”. Conclusione: questa opera vuole essere un augurio di pace.

L'altorilievo viene consegnato pochi mesi prima della morte, divenendo il suo testamento spirituale.

Bettina Duerr, Matilde Santachiara
Ottobre 2012

Bibliografia: G. Ruggeri, La morte, la carne e il Diabolik di Santachiara, Ed. Galleria Padania, Reggiolo, 1980; F. Canova (a cura di) Carlo Santachiara, nel Paese delle Meraviglie. Viaggio a fumetti nell'Emilia Romagna, catalogo della mostra, Comune di Reggiolo, 1995; A. Baccilieri, Carlo Santachiara, sculture a memoria, Bologna, Compositori, 2002; R. Martorelli (a cura di), La Certosa di Bologna, un libro aperto sulla storia, catalogo della mostra, Bologna Tipografia Moderna, 2009; B. Buscaroli, R. Martorelli (a cura di), Luce sulle Tenebre, tesori preziosi e nascosti dalla Certosa di Bologna,catalogo della mostra, Bologna, Bononia University Press, 2010.