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Salmace

1822 | 1837

Schede

La statua della ninfa Salmace, colta nel momento in cui osserva non vista un bellissimo giovane e se ne innamora, è la prima opera creata in autonomia da Cincinnato Baruzzi durante il suo soggiorno romano. È possibile anticiparne la datazione al 1820, se si ritiene di identificarla con la statua di Ninfa grande al vero che Baruzzi paga Giovanni Malpieri per formare e gettare a forma perduta. In ogni caso la statua era stata terminata prima del 1822, quando lo scultore chiede all’Accademia di Belle Arti di Bologna, che sollecita l’invio delle opere dovute per l’alunnato romano, affinché gli conceda di tenerla ancora un poco in studio, visto che un ricco signore inglese sembra interessato a commissionarne la traduzione in marmo. Il committente inglese è da identificare con un misterioso lord Hineer per il quale venne realizzata la prima versione della statua. Quasi immediatamente Baruzzi riceve altre due richieste contemporanee da altri nobili touristes inglesi, lord Kinnaird e lord George Cavendish. Nel giro di un anno tre repliche della Salmace vengono inviate oltre la Manica e oggi risultano disperse (1821-23). Nel 1822 una versione in creta della statua viene inviata a Bologna come saggio del terzo anno dell’Alunnato romano. Dopo le rotture causate dal viaggio ai due gessi inviati in precedenza, Baruzzi scompone la scultura in creta in quattro pezzi, da rimontare all’arrivo. Anche di questa statua non rimangono tracce.

Nei successivi anni della gestione dello studio di Canova, Baruzzi si trova a replicare la Salmace, in formato ridotto per lord Morris e per un altro committente sconosciuto (1826-30) e due volte al naturale. Una Salmace di grande formato è una delle ultime realizzazioni prima della partenza per Bologna, destinata al nobile austriaco conte Heberstein di Graz che aveva richiesto a Baruzzi cinque sculture, tra opere originali e copie da Canova (1831). L’intera serie è stata distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale dalle truppe tedesche. Una ulteriore versione viene scolpita per un committente inglese, lord Towley Parker, e risulta attualmente dispersa (1831). La Salmace, sia in formato ridotto che in scala 1/1, compare tra le sculture che Baruzzi porta con sé a Bologna e da cui trarrà ancora delle repliche. La più celebre è quella inviata a Milano ed esposta a Brera nel 1837, assieme alla prima versione dell’Eva e alla Timpanista. Destinata al collezionista milanese Ambrogio Uboldo, ricco banchiere la cui collezione di armi antiche e opere d’arte contemporanea era celebre in città, la Salmace farà bella mostra di sé nella galleria del committente, assieme a due busti di ispirazione canoviana, anch’essi opera di Baruzzi, donati all’Uboldo in segno di amicizia e di stima. Uno di essi, raffigurante una testa ideale detta Beatrice o Bice, è attualmente esposto presso la Galleria d’Arte Moderna di Milano. La Salmace è forse l’opera di Baruzzi da cui Uboldo trae maggiore gioia. A pochi giorni dalla consegna scrive all’amico scultore che essa costituisce «il più bell’ornamento della piccola mia raccolta di arti belle» e aggiunge «Continuamente viene visitata e mezza Milano ne parla, e della bellezza della medesima, e del gentilissimo e generoso tratto da Lei usatomi…».

Dalle descrizioni del collezionista risulta che la scultura venne esposta in contrapposto con la Betsabea di Francesco Hayez. Dispersa alla morte del proprietario la collezione Uboldo, la Salmace non è identificabile con sicurezza, anche se potrebbe coincidere con la bella scultura venduta dalla casa d’asta Sotheby’s nel 1987, che secondo il catalogo riporta la scritta “BARUZZI FECE 1837”. La Salmace ottenne un grande successo all’esposizione di Brera, anche se non quanto l’Eva, che destò consensi e dissensi fortissimi. Le fu dedicata una scheda dell’Album Canadelli di quell’anno, una pubblicazione strenna che raccoglieva il meglio dell’esposizione, illustrata da incisioni a bulino e descrizioni letterarie firmate da illustri critici. Quella della Salmace si doveva a Giovanni Sacchi. In attesa che i marmi prodotti così numerosi dallo studio Baruzzi riemergano dall’ombra, restano, a testimoniare l’aspetto della scultura, oltre all’incisione dell’album Canadelli, due gessi. Il primo si conserva presso la villa che appartenne allo scultore e il secondo è attualmente di proprietà di un antiquario romano. La ninfa è seduta su una roccia ha posato una ghirlanda di fiori e le vesti, che ricadono a terra. Il movimento è dato dal rapido volgersi della fanciulla a sinistra, come sorpresa dal rumore del giovane che si avvicina al ruscello. Lo sguardo, sorpreso e rapito, sottolineato dalla bocca semiaperta, mostra l’innamoramento improvviso. Il corpo nudo, disposto su una diagonale che corre dalla punta del piede destro appoggiato a terra alla spalla sinistra, è rimarcata dall’intreccio delle gambe e dal braccio ripiegato, con la bella mano sospesa in un gesto aggraziato. L’acconciatura, pur richiamando le tipologie canoviane, introduce, come altri scultori della generazione successiva, una ghirlanda di fiori a coronare il capo, un motivo che, appena introdotto da Canova, si era mantenuto ai margini, tra le mani delle figure o appoggiato ad un supporto, mentre qui diviene parte dell’abbigliamento, arricchendo ed appesantendo la fisionomia e la gestualità della statua.

La Salmace è ispirata ad un passo delle Metamorfosi di Ovidio (lib. IV), noto a Baruzzi attraverso la traduzione cinquecentesca dell’Anguillara. All’esposizione di Brera i versi tratti da questa fonte erano collocati accanto alla statua e, come insinuano alcuni critici, erano necessari a renderla decifrabile iconograficamente, data la difficoltà di identificarne altrimenti il soggetto. Nel complesso si riconosceva l’abilità del maestro anche se alcuni, rimarcando un’osservazione delle recensioni degli anni precedenti, notavano anche in questo caso una tendenza a sottolineare la rotondità delle forme femminili, un limite di cui era stata accusata anche l’Eva.

Antonella Mampieri

Testo tratto dalla scheda realizzata dall'autrice per il volume 'Cincinnato Baruzzi (1796 - 1878)', secondo numero della Collana Scultori bolognesi dell'800 e del '900, Bononia University Press, Bologna, 2014.