Salta al contenuto principale Skip to footer content

Antonio Roasio detto/a Paolo Silvati

6 novembre 1902 - [?]

Scheda

Antonio Roasio, «Paolo Silvati», da Giuseppe e Caterina Lesca; nato il 6 novembre 1902 a Vercelli. Nel 1943 residente a Bologna. Operaio tessile.
Attivista sindacale e iscritto al PCI dal 1921.
Fu arrestato e condannato a seguito dagli scontri sociali che originarono il fascismo. Espatriò nel 1926 clandestinamente in Francia e lavorò al «centro» del PCI di Parigi.
Alla fine del settembre 1936 entrò in Spagna, per combattere al fianco delle forze repubblicane contro i rivoltosi capeggiati dal generale Francisco Franco. Appartenne al battaglione Garibaldi di cui fu il primo commissario politico. Restò ferito il 21 novembre 1936 a Casa de Campo (Madrid).
Ritornò in Francia nel 1937 e fu chiamato a far parte della segreteria del PCI.
Rientrò in Italia, alla fine del gennaio 1943, in qualità di componente della direzione del PCI. Per meglio operare nel paese a contatto con i militanti attivi, venne ad installarsi a Bologna col compito di dirigere le organizzazioni della regione e, inoltre, della Toscana e delle Tre Venezie.
Era la prima decade di febbraio e prese residenza in via San Vitale, presso Vito Casadei. Sotto lo pseudonimo di «Paolo Silvati» prese contatti con moltissimi compagni attivi nelle varie province (Leonida Roncagli, Mario Peloni, Leonildo Tarozzi, Dalife Mazza, Umberto Ghini a Bologna; Ilio Bosi a Ferrara; Ennio Cervellati, a Ravenna; Alfeo Corassori a Modena; Desiderio Cugini e Aldo Magnani a Reggio Emilia; Dante Gorreri, Remo Polizzi e Primo Savani, a Parma; Amerigo Clochiatti di Piacenza, e vari altri) e contribuì alla riattivazione ed accentuazione dell'organizzazione clandestina e dell'azione, rinnovandone strutture ed obiettivi. Ricorda Aldo Magnani, che suoi indirizzi erano «di allacciare rapporti con altre forze politiche, mettersi alla testa di un movimento per la pace, accelerare la caduta del fascismo ormai isolato nel paese». Proprio a Reggio Emilia, in quei mesi si potè dar vita ad una tipografia clandestina per la stampa de "l'Unità", dopo che si era resa inagibile la tipografia di Milano.
A maggio, scrisse una lettera alle organizzazioni comuniste, firmata «segreteria del PCI» dove già si dava la direttiva di formare «gruppi di azione dei patrioti» capaci di stroncare la violenza fascista con la lotta armata. In previsione della caduta del fascismo a Ferrara, avvenne un contatto fra esponenti antifascisti (tra i quali il professor Concetto Marchesi, comunista) e il generale Raffaele Cadorna, comandante della divisione Ariete, per raggiungere un'intesa che unisse esercito e masse popolari nell'azione per abbattere il fascismo.
Dopo il 25 luglio 1943, per i comunisti diresse l'azione verso il governo Badoglio e tra la gente. Così ha ricordato uno di quei momenti: «Durante il periodo badogliano, [...] ricordo di avere svolto a Bologna una importante riunione, presenti una trentina di compagni [...] e diversi socialisti, fra cui Grazia e Trebbi; nella riunione si fece una analisi profonda della situazione creatasi con la caduta del fascismo, si studiarono nuove forme di lotta, e la necessità di utilizzare tutte le possibilità - anche legali, come la costituzione dei commissari sindacali - per allargare la nostra azione, anche alla luce del sole, per stabilire numerosi nuovi contatti e per allargare il fronte di lotta per la pace e la libertà! !».

All'indomani dell'8 settembre 1943 fece immediatamente parte del Comando generale delle brigata Garibaldi. Continuò la sua permanenza a Bologna per breve tempo e qualche contatto fino al maggio 1944. Successivamente fece parte del Triunvirato insurrezionale del PCI per la Toscana.
Riconosciuto partigiano, con il grado di tenente colonnello.
Ha pubblicato: Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977, pp.368.[AR] Testimonianza in REI.