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Riti e costumanze di maggio

1614 | 1937

Schede

Quando, negli scorsi secoli, il mese di maggio serbavasi fedele alla sua gioiosa tradizione, ed in luogo d'alternare il sole alla pioggia e l'aria tiepida al vento ghiacciato, come fa troppo spesso ai nostri giorni, compiva brillantemente la sua benefica funzione di risvegliatore delle più liete speranze nel cuore dell'uomo, usavasi, nella vecchia Bologna, di festeggiarne il ritorno con particolari cerimonie e curiose costumanze. La mattina del primo maggio infatti, mentre era in tutta la città gran movimento per l'ingresso solenne del nuovo Gonfaloniere per il terzo bimestre dell'anno, i cavalleggeri della Guardia di Palazzo uscivano fuor dalle mura e, strappato un grosso ramo da qualche albero fronzuto, si recavano alla casa del nuovo Gonfaloniere a presentargli il Maglio tradizionale ed erano regalati di molte ciambelle. Contemporaneamente le compagnie degli Svizzeri marciavano in bell'ordine al suono dei tamburi e dei pifferi, e sparando per allegrezza gli archibugi, salivano al Convento di San Michele in Bosco, ove da quei frati Olivetani ricevevano una lauta colazione e due magli colossali, che essi, seguendo la consuetudine, portavano al Palazzo pubblico e alla casa del nuovo Magistrato cittadino. Quest'usanza di rendere omaggio con la presentazione di rami d'albero, trovava poi fra la rustica popolazione una più gentile applicazione, giacchè i nostri giovani contadini innamorati, a somiglianza di quelli della Toscana, della Romagna, del Modenese, ecc. solevano piantar maggio, lasciando i bei rami fioriti davanti alle case delle beltà predilette, e cantando in loro onore le maggiolate piene di cortesia e di passione.

Ma in città il saluto al bel mese primaverile era dato anche con la elezione delle contesse di maggio, e a questo proposito uno scrittore secentesco c'informa che le fanciulle del popolo collocavano una delle loro compagne sopra un'alta sedia, quasi in trono come una regina, la rivestivano ed adornavano di fronde e di fiori e poscia, trasportatala sotto i portici o alle porte della città, chiedevano per lei, ai passanti, l'obolo dovuto alla gioventù e alla bellezza, porgendo un piatto od un bacile per raccogliere le monete. E nessuno poteva sottrarsi al pagamento del tributo, perchè le fanciulle s'attaccavano, petulanti, ai panni dei cittadini o, attraversando la strada con una corda stesa dall'uno all'altro muro, costringevano la gente a fermarsi e a sottostare, volente o nolente, a quella nuova specie di pedaggio. Queste contese teoricamente poetiche, ma praticamente un po' pitocche, continuarono ad essere elette fin verso il primo trentennio del seicento, e furono poi sostituite da piccoli altari improvvisati, con immagini sacre e candele accese, ma con la stessa richiesta di elemosina. La trasformazione, pur di modesta importanza, fu senza dubbio effetto della controriforma la quale, seguendo la sua implacabile battaglia, volle togliere di mezzo anche quell'innocuo gioco fanciullesco che dicevasi derivato dalle feste floreali della Roma pagana. Dopo così pittoresche manifestazioni, la vita cittadina riprendeva tosto il suo ritmo consueto, contrassegnata però da speciali caratteristiche che vale la pena di ricordare.

Nel secondo giorno di maggio, ad esempio, quasi a far nuovo onore al dolce mese, cominciavano le lezioni sulle erbe medicinali nel Giardino dei semplici, situato nel luogo ove sorge ora la Borsa di commercio, e poco appresso il mercato degli erbaggi e dei commestibili veniva trasportato nella piazza del Nettuno, ove svolgevasi fino al novembre, due volte al giorno, salvo le parentesi settimanali del venerdì e del sabato in cui aveva luogo nella piazza maggiore. Seguiva poscia il periodico trambusto dei traslochi, con relativa esposizione di mobili e carabattole d'ogni specie e d'ogni genere, nel giorno che l'arguzia popolare diceva appunto destinato a dár aria al pòls, ma l'usanza viva anche al presente, e chiamata da Giulio Cesare Croce, dello sbagagliamento ovvero mutar massaritie alla data dell'otto maggio, non risaliva che al 1547. Prima di quell'anno i bolognesi cambiavano di casa il 29 settembre e il detto comune di far San Michele, ebbe allora origine, perchè lo stesso giorno era dedicato, dalla Chiesa, alla festa di San Michele Arcangelo. Tornata la calma poi ed assestate le case, solennizzavasi il dì 13 in San Petronio, con l'intervento di tutte le autorità politiche, amministrative e religiose, l'anniversario della elevazione al soglio pontificio del bolognese Ugo Boncompagni, che fu papa col nome di Gregorio XIII e diventò celebre per la riforma del calendario; e alla sera correvasi, in via Galliera da cavalli barberi, un palio con premio di trenta braccia di velluto cremesino, che fino dal giorno innanzi era esposto alla ringhiera del pubblico Palazzo. Papa Gregorio però non era il solo pontefice caro alla memoria dei bolognesi, perchè il 16 e il 29 maggio essi festeggiavano al mattino, con la messa cantata in San Petronio e alla sera con spari d'artiglieria e altre allegrezze in piazza maggiore, anche la nomina e l'incoronazione di Paolo V.

A variare le cerimonie, fra l'una e l'altra rievocazione papale e ad offrire al popolo uno spettacolo di carattere marziale, aveva luogo inoltre, alla metà del mese, la generale rassegna delle milizie del contado, la quale tenevasi a volte nel campo di Sant'Antonio (ora via Castelfidardo), e a volte nella piazza del Mercato (ora Otto Agosto). Tali milizie, formate con arruolamenti volontari, si componevano di diecimila fanti e di mille cavalli, obbedivano agli ordini del Cardinale Legato di Bologna, loro generale, ed erano del tutto separate dalle altre soldatesche dello Stato pontificio. Ma fra così svariati avvenimenti le feste religiose tenevano, ben si comprende, il primo posto. Non passava giorno che nelle chiese, nei conventi e negli oratorii non si celebrasse la memoria o le virtù miracolose di qualche santo o di qualche beato e le sagre e le processioni si succedevano e si moltiplicavano con una continuità divenuta ormai abitudinaria. Nel maggio 1614, stando a ciò che l'Alidosi segna nel suo Diario, il numero di tali feste raggiunse quasi il centinaio. Gran parte di esse tuttavia non aveva particolari attributi o speciali attrattive, e solo poche si distinguevano per gli importanti privilegi che traevano con sè. Di questi privilegi il massimo era quello di liberar carcerati e di ottener grazia per condannati a morte. E così, ad esempio, l'opera dell'Ospedale di San Bartolomeo di Reno toglieva dalla prigione, il 10 maggio, per la festa di Santa Cristina, un povero, carcerato per debiti, poi coi fanciulli dell'Orfanotrofio, portanti un ramo di lauro per ciascuno, si recava ad ascoltar messa nella chiesa di detta Santa. E così era concessa la grazia a un condannato a morte per la festa della Confraternita di Santa Maria del Paradiso e di San Carlo nella via nuova di Reno, per la celebrazione, già ricordata, dell'elezione di Paolo V, e per la festa nella Chiesa della Compagnia della Trinità la quale, alla vigilia, andava processionalmente a prendere il condannato alle carceri e lo conduceva alla propria chiesa in via Santo Stefano, vestito di rosso, con una ghirlanda in capo, una torcia accesa in mano e con accompagnamento di suoni e canti. Ad oscurare però l'importanza e la popolarità d'ogni celebrazione religiosa, giungeva nei giorni detti delle Rogazioni minori, la Madonna di San Luca, e la sua permanenza fra noi traeva alla città in gran folla gli abitanti del contado, i quali suddivisi in isquadre, a seconda del Comune di residenza, portavano nelle strade una insolita nota di animazione e di movimento. La Madonna di San Luca, trasferita per la prima volta a Bologna nel 1302, cominciò regolarmente i suoi viaggi annuali solo nel 1434 e seguì per vari secoli un lungo itinerario, percorrendo ogni volta e, a diverse riprese, quasi l'intera città.

Nel seicento, tale itinerario era stabilito in precedenza dalla Arciconfraternita dell'Ospedale della Morte, la quale coi trombetti ed i frati Gesuati, si recava la sera del sabato avanti l'Ascensione, a prendere la sacra Immagine sul monte della Guardia. Alla mattina della domenica, a buon'ora, essa la trasportava a porta Saragozza, ed ivi andavano ad incontrarla le principali autorità cittadine, poi l'intera processione proseguiva fino in via Sant'Isaia, alla Chiesa del Convento delle monache di San Mattia (ora magazzino militare), ove la Madonna veniva collocata sull'altare, mentre dalle mura tuonavano le artiglierie e tutte le campane suonavano a distesa. Il giorno dopo, con l'intervento del Legato, del Vice-Legato, del Gonfaloniere, degli Anziani e di tutti gli altri Magistrati e col seguito delle Compagnie spirituali e temporali e di alcune Regole di Frati, la Madonna veniva tolta da San Mattia e portata in processione attraverso le strade prestabilite, già riccamente addobbate per la circostanza. Cantata poscia una messa solenne dinnanzi a lei in una Chiesa precedentemente designata, la sacra Immagine compiva la sua ultima tappa alla Chiesa dell'Arciconfraternita dell'Ospedale della Morte, situata all'angolo fra il portico del Pavaglione e il portico della Morte, ed ivi permaneva fino alla mattina veniente. Il lungo giro ripetevasi per altre strade e per diverse chiese, tanto il martedi che il mercoledì successivi, ma in quest'ultimo giorno, nelle ore del pomeriggio, la Madonna era di nuovo tolta dalla Chiesa della Morte e trasportata con gran pompa, dapprima in San Petronio per la tradizionale benedizione nella piazza maggiore, che avveniva fra le salve di gioia dell'artiglieria, e poscia nuovamente alla Chiesa di San Mattia. Infine nel giovedi dell'Ascensione, uscita da detta Chiesa, la Madonna di San Luca riprendeva la via per far ritorno al suo celebre santuario.

Ma mentre si conchiudeva così la festività delle Rogazioni minori, nella Chiesa del convento di Sant'Antonio Abate in via San Mamolo aveva luogo, per strana ed antica usanza, una copiosa distribuzione di vino santo al popolo. È facile immaginare come i devoti del Dio Bacco accorressero in gran numero a fare onore ai frati dispensatori di quella dolce bevanda, ma nel corso degli anni, forse perchè il buon vino cristiano sconvolgeva i cervelli di quegli impenitenti adoratori di una deità pagana, avvennero tali e tanti disordini che i frati, per aver maggior cura delle anime del prossimo, soppressero la troppo desiderata distribuzione, e donarono il vino alle vicine monache della Santa, che certamente ne fecero un uso più discreto. Ora, di tutte queste costumanze caratteristiche, profane e religiose, non sono sopravvissute che la consuetudine dei traslochi e le feste alla Madonna di San Luca. Il quinto mese dell'anno ha quindi perduto i suoi pittoreschi attributi e non si distingue gran che dagli altri suoi undici confratelli. Da questo quinto mese, i petroniani del tempo presente, in ben gravi faccende affacendati più dei loro avi lontani, non attendono ormai che la grazia di un po' di sole, di un po' di azzurro, di un po' di primavera genuina, non dispensata in pillole, ma donata a piene mani, con signorile munificenza.

BIBLIOGRAFIA. ALIDOSI GIO. NICOLO: Diario overo Raccolta delle cose che nella città di Bologna giornalmente occorrono per l'anno 1614. In Bologna, 1614. MASINI ANTONIO: Bologna perlustrata. Ivi, 1666. Testo tratto da Oreste Trebbi, Cronache della vecchia Bologna, Compositori, Bologna, 1937.