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Santuario della Madonna di San Luca

Di rilevanza storica

Schede

Il colle sul quale si trova il santuario, celebre in tutta l’Emilia e la Romagna, sorge a breve distanza a sud-ovest della città ed è uno degli ultimi contrafforti apenninici facenti ala sulla sponda destra del Reno, sboccante dalla sua pittoresca e lunga valle nella pianura bolognese. Il colle della Guardia, dalle carte a dai Bolognesi detto pomposamente monte, è alto m. 286 sul livello del mare, e la sua posizione geografica è calcolata a 44°, 27’30” latitudine nord e 1°,9’20” longitudine ovest dal meridiano di Roma. Si hanno notizie di un eremo stabilito sul monte della Guardia, presso Bologna, fino dal 1100. Sembra che in quel torno vi si stabilisse un tale Eutimio eremita, venuto da Costantinopoli con una tavola di cedro sulla quale era dipinta, in istile bisantino arcaico, una immagine della Vergine. A Eutimio fu fatto credere, ed egli diffuse la voce fra i Bolognesi, che quella immagine fosse dipinta dall’evangelista San Luca. Ma nulla però documenta storicamente quella leggenda: che le ragioni artistiche sfatano poi completamente. Questa tavola appartiene al genere delle pitture dette dagli eruditi Aghiorite, e della quale furono principalmente diffonditori i monaci del monte Athos, pressochè i soli che, nei bassi tempi abbiano tenuto viva la tradizione della pittura e dell’arte musica. Più tardi, nel 1149, l’eremo di Eutimio passò a due pie sorelle, Azzolina e Bice, figlie di un tal Rampertino di Gherardi di Guezo, che entrate in possesso della preziosa immagine ampliarono l’eremo e vi chiamarono a coabitarlo altre fanciulle della città desiderose di darsi alla vita contemplativa e religiosa: così s’andò formando gradatamente quel monastero che sino all’ultimo anno del secolo scorso fu dei più importanti e ricchi di Bologna. Essendo vecchia, angusta e cadente l’antica chiesa, nel 1741 si diede, col consenso del Comune e di molti benefattori, principio alla costruzione dell’attuale maestoso santuario su disegno, per quanto baroccheggiante veramente riuscito, di Carlo Francesco Dotti. Nel 1757 il tempio era pressochè finito e si gettarono le fondamenta della maestosa facciata colle tribune laterali, con danaro per la maggior parte dato dal pontefice Benedetto XIV. La costruzione dell’edifizio, più volte interrotta ma sempre ripresa e condotta in varii periodi con molta alacrità, durò circa 90 anni, ed importò la spesa complessiva di 386.200 scudi romani, non comprendendo in questa le pitture, i marmi, le argenterie e le ricche suppellettili valutate pur queste ad alto prezzo. La sola cupola, eretta a spese dei serventi bolognesi d’ambo i sessi, costò circa 30.000 scudi romani. La chiesa ha pianta pressochè circolare con brevissimi bracci a croce greca, ha una sola amplissima e maestosa navata, l’effetto complessivo è reso imponente dal grandioso tamburo centrale del cupolone. Gli altari, non molti, che ornano l’interno del santuario hanno tutti eccellenti dipinti della scuola secentista e settecentista bolognese. Ve ne sono di Guido Reni, di Giovanni Viani, di Nicola Bertoni, di Francesco Pavana, del Bigari e di altri. Vi sono statue del Pio e del Cometti. L’altare maggiore, eretto nel 1815 su disegno del Venturoli, è ricchissimo per marmi e bronzi; il ciborio è completamente incrostato di pietre dure. Dietro all’altare maggiore, in una specie di tribuna alla quale si accede per scalette laterali è custodita in una nicchia di marmo, con ornamenti di bronzo dorato, la famosa tavola bisantina, che solo si scopre per le grandi solennità, ed un tempo era nel periodo delle Rogazioni portata processionalmente per la città. A questa immagine è continuo il pellegrinaggio do devoti, vegnenti non solo da Bologna, ma dalla Romagna e dall’Emilia, e da tutta la circostante regione apenninica. Nella sacristia, riccamente ornata dal, sono due grandi quadri del Piastrini esprimenti due dei miracoli più clamorosi attribuiti alla madonna di San Luca.

Dalla città si sale al santuario uscendo da porta Saragozza – riedificata nel 1859 in istile ispano-moresco del secolo XIII dall’architetto Brunetti – e seguendo il porticato che fiancheggia a nord la strada provinciale di Casalecchio e Vergato. Questo porticato dalla porta della città sale fino al santuario e consta di 635 archi per una lunghezza di circa 3 chilometri. Questo porticato, che è il più lungo di quanti si conoscano, fu costrutto tra il 1674 ed il 1739 coll’ingente spesa di 170.300 scudi romani, alla quale concorsero tutte le classi della cittadinanza bolognese, privati, confraternite, congregazioni, enti morali, corporazioni d’arti e mestieri, collegi di notari, di professioni e dottori, nobiltà, domestici e persino mendicanti. Il primo arco di fronte alla porta Saragozza ha proporzioni monumentali in bel barocco e fù disegnata da G.C.Monti nel 1675. Di questo porticato 306 arcate corrono in piano seguendo la strada provinciale; all’arco 170, in una nicchia, sta il colossale gruppo della Madonna col bambino, modellato nel secolo XVII dal Ferreri, con tutta la sovrabbondanza di linee che fu propria di tutti gli esageratori barocchi: tanto è che il popolino, sempre pronto e felice negli epiteti, battezzò e mise in proverbio questo gruppo coll’appellativo di “Madonna grassa”. All’arcata 307 il porticato fa angolo, e col monumentale arco del Meloncello, sovrapassando la via provinciale, comincia ad attaccare la salita del monte. L’arco del Meloncello, cosidetto da un torrentello vicino, fu eretto su disegno di F. Bibiena; ma venne più tardi riformato dal Dotti, mentre attendeva alla costruzione del nuovo santuario. I 329 archi della salita sono divisi in quindici rampe con tratti a scalinata e ripiani equidistanti, ad ognuno dei quali si trova una cappella con pitture assai deteriorate del secolo scorso rappresentanti i Misteri del Rosario. La salita al santuario per questo porticato è abbastanza agevole, e di buon passo da porta Saragozza si può compierla in meno di ¾ d’ora. Ed è, a parte anche l’interesse speciale o religioso che può destare il santuario, passeggiata piacevolissima a compiersi per i bellissimi panorami che offre, ora sulla sottostante città, ora sulla pianura, ora sulla linea delle colline sulla quale muore il versante settentrionale dell’Apennino.

Il monte della Guardia – così detto ab-antico perché vi fu sempre tenuto un corpo di milizie a guardia e difesa della città, ed ancora oggi fa parte delle opere avanzate delle fortificazioni di Bologna, con terrapieni, artiglierie, casematte e polveriere – è uno spiano quasi isolato, verso la pianura che permette perciò di abbracciare un vasto raggio di orizzonte da qualunque parte si guardi. Salendo, mediante la scala esterna al terrazzino della cupola del santuario, si ha a tempo sereno e limpido uno dei più interessanti panorami della regione emiliana. Ad oriente l’occhio abbraccia per una vasta distesa piani e colline fino alle ondulazioni dell’Imolese e del Ravennate e fino ai contrafforti che dividono le valli del Sillaro, del Santerno, del Senio, colle vette di monte Catone, monte Taverna, monte Battaglia, Sacro, Crociato, Cimone della Bastia, Carzolano ed altri, che s’accostano ai 1200 metri sul livello del mare. Più oltre le creste che s’incontrano a sud-sud-est colla massa calcarea biancastra del Canida (1161m.), le punte del monte Oggioli (1290 m.), il monte Beni (1257 m.), il monte Guerrino (1115 m.), ed accostandosi sempre più a Bologna il gruppo dei monti di Lojano, il monte Zena o delle Formiche ed altri frammenti staccati dalle antiche erosioni delle acque. A sud, l’occhio, dai colli di Paderno e di San Michele in Bosco, quasi alle porte della città, sale per un succedersi gradevole di contrafforti e catene secondarie sino al passo di Castro (871 m.) ed al passo della Futa (903 m.), spatiacque tra la Toscana e l’Emilia. – A sud-sud-ovest è un’altra sfilata di punte intersecantisi per la valle del Reno, che dalla rupe di Sasso va ai monti di Caprara e di Salvaro: il Catarello dalla forma acuminata a pan di zucchero, a monte di Lagaro, allo Sparvo, il monte Gatta (1159 m.), fino al gruppo alpestre di Stagno (1283 m.). – A sud-ovest, i monti che stanno tra Vergato e Porretta sulla sinistra del Reno, dal Granaglione (1383 m.) al Toccacielo (1797 m.), al Corno alle Scale (1945 m.), al Cimone (2163m.) che è la maggior vetta dell’Apennino emiliano. Guardando invece alla pianura, da ovest a nord, col sussidio di buoni cannocchiali si vede la torre della Ghirlandina di Modena, la bassura del Mantovano fino alle colline moreniche del Garda; le prealpi veronesi ed i colli Berici; la linea dei colli Euganei tra Padova e Rovigo; le città. Le borgate della bassa Padana, Cento, Ostiglia, Sermide, Ferrara, le lagune di Comacchio che si perdono nell’indefinita marina dell’Adriatico. Nei locali del soppresso convento delle monache di San Luca venne insediato il grande “Osservatorio meteorologico Malvasia” fondato per munifico lascito del conte Antonio Malvasia, colla condizione espressa che vi si collocassero anche istrumenti di sismologia sperimentale e che venissero fatte regolari e giornaliere osservazioni. L’osservatorio è insediato in sei locali non troppo vasti, ma assai bene adattati. Consta di un gabinetto magnetico per lo studio delle correnti magnetiche della terra col declinometro del Cecchi ed altri strumenti di precisione, e di due gabinetti sismici. Nel primo i movimenti del suolo sono denunciati da tre avvisatori ideati l’uno dal Malvasia stesso e gli altri dal padre Timoteo Bertelli; il microsismografo De Rossi ed il cronosismografo Campagnoli, con un orologio a pendolo ed a minuti secondi muniti di apparato elettrico comunicante cogli avvisatori, per arrestarlo nel momento di un terremoto. Nel secondo gabinetto sismico si trovano il completo sismografo Cecchi; l’ortosismometro e l’isosismometro del Bertelli, il termometro normale ed il microsismografo De Rossi. Questi apparati di singolare delicatezza e straordinaria precisione sono addossati ad un grosso muro dello spessore di oltre due metri. Il gabinetto meteorico possiede una serie completa di strumenti atti alla valutazione di ogni più leggero fenomeno meteorologico, come un psicrometro a ventilatore, termometri massimi e minimi, barometro, nefoscopio Cecchi, anemografo Denza, anemometroscopio Craveri, l’ozonoscopio, l’evaporimetro, il pluviometro, il nevometro, poi galvanometri, bussole, eliografi, cannocchiali, sonerie elettriche, opere, opuscoli, periodici, bollettini meteorologici di tutto il mondo, telefono, un orologio a pendolo a minuti secondi ed un cronometro regolatore di John-Poole di Londra, ecc., ecc. Questo importante istituto meteorologico è in continui rapporti scientifici con i principali istituti ed osservatorii meteorologici dello Stato e di tutta Europa. Testo tratto da “Provincia di Bologna”, collana “Geografia dell’Italia”, Torino Unione Tipografico Editrice, 1900. 

Da una miracolosissima immagine, la quale per tradizione si reputa dipinta da questo Evangelista, e qui da Costantinopoli nel 1160 da un Eremita per nome Eutimio trasportata, ove prima era una piccola Chiesa dedicata a S. Luca, ed abitata da una Vergine Bolognese per nome Angela. Verisimilmente del 1149 vi furono introdotte alcune Monache per servizio di questa Chiesa, e sino al 1799 esse hanno sempre prestato l’opera loro pel maggiore decoro di questo Santuario. Nel 1731 circa vi si fabbricò la presente Chiesa con architettura veramente ingegnosa di Carlo Francesco Dotti, sui disegni del quale furono nel 1759, li 28 Febbraio gettate le fondamenta della detta facciata col loggiato, e colle tribune per somme date da Benedetto XIV. Nei detti lavori furono spesi cento venticinque mila scudi romani, 50,000 dè quali importò la Cupola fatta a spese dei Serventi bolognesi d’ambo i sessi. In 90 anni adunque fu ideata, e compita questa grand’opera; la quale non compresi i marmi, le pitture, gli argenti, ed altre ricche suppellettili che adornano questo Santuario ha importato la cospicua somma di scudi romani 386,200.

Le due statue di marmo laterali all’esterno della Porta Maggiore sono di Bernardino Cometti. 1-Cappella S. Pio V a cui sta davanti un Ambasciatore Polacco è di Gio. Viani, e i due Santi laterali sono di Nicola Bertuzzi. 2-La Coronazione della B.V. coi tanti santi è delle ultime opere di Donato Creti. 3-La Madonna con S. Domenico, e i quindici Misteri del Rosario è uno de’ primi tentativi di Guido Reni. I laterali sono di Giuseppe Pedretti. 4-Maggiore. Il magnifico Altare innalzato con disegno di Angelo Venturoli nel 1815, e consacrato nell’anno stesso è di fini marmi, ed il Ciborio è di pietre dure. Nel 1760, fu dipinta questa Cappella d’ornato, quadratura, e figure elegantissimamente da Vittorio Bigari, con elemosine di varie classi di devoti Cittadini. La S. Immagine di M.V. in ornato di marmo, e bronzi dorati, sono dono di un Cardinal Pallavicini, è la già detta di sopra. Questa portasi nelle Rogazioni Minori in Città, e nelle circostanze più rilevanti di comuni bisogni, riportandone sempre singolari argomenti di benefica protezione; come accadde nel 1779 sempre memorabile e per la preservazione del minacciato flagello del terremoto, e per la pietà dimostrata nel devoto universale ricorso fatto alla medesima. Eguale protezione, e simile pietà ha veduto rinnovare la Città nostra ne’ passati anni di guerra, di mortalità, ecc. -L’Assunzione è di Francesco Pavona udinese, e i laterali del Bertuzzi. 6-La B. Vergine co’ Santi Protettori è del già detto Cav. Donato Creti. 7-Il Crocefisso colorito, con la Maddalena, e S. Giovanni laterali è di Angelo Piò, e il dipinto co’ soldati è del detto Bertuzzi, che dipinse pure i due Profeti laterali. Tutte le statue per la Chiesa, e per le Cappelle sono di Angelo Piò, toltene quelle della Cappella terza del Rosario, che sono di Gaetano Lollini. Nella Sagrestia, i due gran quadri rappresentanti il Pellegrino che consegna la S. Immagine, e i Mercanti veneziani, che la rubano sono di Gio. Domenico Piastrini come v’è scritto. Il S. Gregorio poi che prega Nostro Signore, e M. V. è di Gio. Girolamo Balzani.

Testo tratto da “Guida del Forestiere per la città di Bologna e suoi sobborghi” Bologna Tipografia di S. Tommaso D’Aquino – 1835. Trascrizioni a cura di Lorena Barchetti.