Salta al contenuto principale Skip to footer content

Medicina

1943 | 1945

Insediamento

Schede

Sopraggiunto l'8 settembre, i soldati del disciolto esercito vennero generosamente aiutati dalla popolazione del comune. Mentre i patrioti cominciarono a raccogliere armi, fu dato l'assalto all'ammasso del grano, per salvare dalla rapina tedesca il prezioso alimento che fu distribuito tra i lavoratori. In ottobre sorse il CLN comunale. Il primo clamoroso episodio di lotta partigiana si ebbe nel comune la sera del 4 novembre 1943, allorché alcuni partigiani forlivesi della "banda Corbari", introdottisi nella casa di un gerarca, vennero attaccati da un gruppo di fascisti sopraggiunto improvvisamente. Si accese un violento combattimento, che si concluse con un partigiano ferito e quattro aggressori uccisi. Seguì un'ondata d'arresti e più decise scelte di campo furono operate dai giovani antifascisti, alcuni dei quali partirono per le montagne del Veneto, onde condurvi la lotta partigiana. (Nel giro di poche settimane non meno di 20 patrioti medicinesi e quasi un centinaio di volontari, bolognesi e ravennati, si portarono nella valle del Vajont e in altre zone della provincia di Belluno, dove diedero vita a piccole formazioni partigiane che, col concorso decisivo dei locali, diverranno poi grandi e prestigiose unità combattenti).

La partecipazione dei giovani medicinesi alla lotta partigiana si realizzò tanto nelle file della 7a Brigata GAP (che nel comune ebbe anche un proprio distaccamento) quanto in quelle della 36a Brigata "Garibaldi" operante sull'Appennino sopra Imola, e soprattutto nella 5a Brigata SAP. Lo sviluppo dell'attività partigiana in loco si intersecò con l'azione sociale dei lavoratori e con l'intervento popolare di massa. In concomitanza con lo sciopero generale operaio dell'1-8 marzo 1944 nelle fabbriche del "Triangolo industriale" e della provincia di Bologna ( v.), anche a Medicina, come in diversi altri comuni, vi fu una manifestazione davanti al Municipio in solidarietà con i lavoratori in lotta. Il 19 marzo, nel capoluogo, alle ore 11, un centinaio di donne, nella stragrande maggioranza lavoratrici dei campi, invase il palazzo municipale protestando vivacemente contro la precettazione d'operai da inviare in Germania ed avanzando richieste economico-sindacali urgenti. Richieste, queste ultime, che i fascisti della GNR, sensibili ai fatti locali, annotarono, così: “durante la dimostrazione venne affermato che quest'anno le mondine non lavoreranno qualora non siano adeguati i salari al costo attuale della vita e non vengano distribuiti i copertoni per bicicletta”. Due giorni dopo, il 21, all'incirca duecento braccianti e massaie dalle 9,30, raccoltisi sotto il porticato del municipio, tornarono a protestare contro la precettazione e reclamarono insistentemente "il miglioramento delle condizioni alimentari e di salario delle mondariso", tanto che alcune donne furono fermate e poi arrestate. Questa nuova protesta preoccupò particolarmente la Militar-kommandantur che, menzionandola esplicitamente in un rapporto del 14 aprile 1944, rilevò nel fatto che “in molte località di provincia si verificavano dimostrazioni di donne contro la convocazione degli uomini per l'impiego nel Reich... un sintomo significativo della crescente opposizione delle masse italiane al reclutamento per i tedeschi”. A distanza di poche settimane, le lotte sociali preannunciate si verificarono. Nelle risaie di Medicina, le mondine scioperarono per una settimana, fra il 15 e il 20 maggio (circa in 500 dal 15 e circa 1.200 il 19 e il 20); al termine della lotta ottennero: 250 grammi di pane in più della normale razione, 2 Kg. di riso in natura per giornata di lavoro, la minestra a mezzogiorno, 40 grammi giornalieri di marmellata, la distribuzione di circa 600 coperture per biciclette, l'impegno di nuove distribuzioni di coperture oltre che di un taglio di vestito.

Dal 12 al 21 giugno nei comuni con risaie della "bassa bolognese", si svolse, con vigore prorompente, lo sciopero generale di categoria delle mondine che investì tutti i comuni risicoli (v. Bentivoglio). Le 2.000 lavoratrici ingaggiate, medicinesi e "forestiere", si astennero dal lavoro il 12 ed il 13 di giugno ed ottennero dai padroni delle risaie l'accettazione delle rivendicazioni proposte. Il giorno successivo andarono al lavoro, ma dal 15 al 17 ripresero a scioperare per solidarietà con le mondine degli altri comuni. In questi ultimi giorni vennero affiancate dai mietitori di Medicina che iniziarono il taglio del frumento. In questo clima ardente le azioni partigiane si moltiplicarono. Con l'arrivo dell'estate, i braccianti, i mezzadri e i coltivatori diretti parteciparono in massa all'azione per ritardare la mietitura e la raccolta dei covoni di grano dai campi. D'intesa con i partigiani, i contadini fecero di tutto per procrastinare le operazioni di trebbiatura e impedire la razzia del grano progettata dai tedeschi.

In agosto, nel capoluogo e a Villa Fontana, i partigiani giustiziarono un ex podestà ed uccisero militi della RSI, spie dei tedeschi e due disertori della GNR che si spacciavano per partigiani. Sempre nel capoluogo, distrussero un'automobile tedesca e attaccarono un autocarro nemico, causando tre morti e vari feriti. Medicina, come diversi altri comuni della provincia di Bologna (v.), compì una manifestazione pre-insurrezionale il 10 settembre 1944, un giorno di domenica. Fin dalle 7 del mattino, dopo avere rese inservibili le linee telefoniche con Bologna e Ravenna, gruppi di sappisti della 5a Brigata, in collaborazione con i gappisti del distaccamento locale della 7a Brigata, si appostarono a presidio dell'abitato. Le strade d'accesso furono vigilate da uomini armati di mitra, fucili mitragliatori e moschetti e dotati di bombe a mano e di tritolo; così pure ogni presidio. Questi avevano il compito d'intervenire a difesa della popolazione manifestante, di prevenire e respingere l'attacco di forze nazifasciste dall'interno del paese e di impedire l'afflusso di rinforzi dall'esterno, specie da Bologna e da Budrio. Nonostante che alle 7,30 del mattino il partigiano Mario Melega (Mario), di Castel Maggiore, vicecomandante della zona militare, venuto a conflitto con il comandante il presidio della GNR locale, fosse stato ucciso nel tentativo di giustiziare la canaglia, la manifestazione, progettata da tempo, procedette. Verso le 8, alcuni gappisti e sappisti assaltarono la caserma della GNR. Piazzarono una macchina armata di fronte all'ingresso della caserma stessa e un gruppo di partigiani penetrò nel cortile. Furono sparati alcuni colpi di moschetto ed intimata la resa ai militi asserragliati all'interno, che poco dopo si arresero; svestirono la divisa e consegnano le armi ai partigiani e, vestitisi con abiti civili, scapparono alle loro case.

Alle 9 alcuni del Fronte della Gioventù e dei Gruppi di Difesa della Donna si affollarono nella piazza, sotto il palazzo comunale, recando cartelli inneggianti ai partigiani, al CLN e all'insurrezione nazionale. Accompagnarono e salvaguardarono a vista i manifestanti altri sappisti e i gappisti. Alla folla radunata parlò il comunista Spero Ghedini "Valdo" esaltando la recente lotta delle mondine, sottolineando la necessità dell'unità di tutto il popolo e incitando all'insurrezione nazionale. Gli astanti applaudirono calorosamente l'oratore. Subito dopo, i partigiani irruppero per le scale e gli uffici del Municipio, gettarono i registri di leva e un vessillo fascista dalla finestra che poi, sulla piazza, furono bruciati. Un busto di Mussolini fu scaraventato lungo le scale, rotolato nella polvere della piazza, poi spaccato. Sopraggiunsero i partigiani che avevano disarmato e messo in fuga i militi della RSI e sollevando in alto il bottino di armi e munizioni, gridarono alla folla: "Ora serviranno per difendervi e non massacrarvi!". L'entusiasmo crebbe tra i manifestanti e i partigiani furono acclamati ed abbracciati. Si formò d'improvviso un lungo corteo, sulla testa si portarono i cartelloni, si percorse la via principale e si sostò in piazza Garibaldi. "Valdo", comandante militare della piazza, riprese la parola e gridò slogan patriottici. Il corteo riprese a sfilare: i dimostranti sventolarono bandiere, intonarono l'Inno di Mameli, "Va fuori d'Italia, va fuori stranieri..." e acclamarono. Il corteo sostò davanti alla caserma, che venne saccheggiata. La folla, con alla testa i Gap, assaltò l'esattoria e i ruoli delle tasse, raccolti sulla piazza, furono dati alle fiamme. Alcuni gappisti e sappisti entrarono nell'ospedale e giustiziarono il comandante della GNR che era stato ferito da Melega nel conflitto del mattino e un altro milite. Dopo oltre tre ore l'agitazione insurrezionale ebbe termine; nel pomeriggio giunsero le brigate nere ed il giovane patriota Aldo Cuppini venne freddato a tradimento, mentre un altro cittadino fu assassinato in mezzo a un campo. Nel comune la formazione sappista si rafforzò con nuovi aderenti; le organizzazioni del CLN, del Fronte della Gioventù e dei Gruppi di Difesa della Donna, i partiti clandestini e gli organismi sindacali si consolidarono e la loro attività unitaria divenne più larga tra le masse popolari. Il 23 settembre, a Portonovo, i partigiani assaltarono la caserma della polizia ausiliaria; il 26 seguente, nel capoluogo, attaccarono un autocarro tedesco provocando due morti e un ferito e il 27 disarmarono ed uccisero un milite. Il 30 settembre 1944, sotto gli occhi dei paesani radunati con la forza nella piazza antistante la chiesa di S. Mamante, i fascisti fucilarono il fittavolo Licurgo Fava, che all'inizio della lotta di Liberazione aveva messo la sua casa a disposizione dei partigiani ed era poi divenuto commissario politico di compagnia. Lo avevano arrestato cinque giorni prima i nazifascisti, che, nel suo podere, avevano trovato un deposito di armi e lo avevano torturato per quattro giorni dentro la cosiddetta "Villa triste". Agli inizi di ottobre i Comitati di difesa contadini di Medicina e Castel Guelfo (v.), che già avevano promosso e diretto l'azione dei mesi precedenti, elaborarono nuovi contratti agricoli per i compartecipanti e per i mezzadri. Il nuovo patto mezzadrile, ispirato alle conquiste realizzate nel corso della lotta agraria del 1920 e denominato Patto colonico dei contadini di Medicina e Castel Guelfo, diventò piattaforma sindacale per i mezzadri dell'intera provincia di Bologna, sulla quale si stabilirono prima della Liberazione nuovi rapporti economici tra concedenti e conduttori nel medicinese e in altri comuni. Il 23 ottobre 1944, davanti alla sede del comando tedesco, vicino alla stazione della ferrovia "Veneta", vennero fucilati 8 partigiani rastrellati assieme ad altri civili dopo uno scontro con i tedeschi, avvenuto sul podere in via Mazzacavallo a Vigorso di Budrio (v.). Tutti i rastrellati furono radunati per assistere all'esecuzione. I partigiani dovevano essere fucilati con l'onore delle armi, perché catturati in battaglia. I tedeschi aprirono l'uscio di uno stanzone e fecero uscire otto uomini ridotti nelle più orribili condizioni da torture bestiali. Prima della raffica qualcuno dei partigiani sputò in faccia ai carnefici.

Diversi gappisti e sappisti medicinesi, trasferitisi a Bologna attuando una direttiva del CUMER, parteciparono alla battaglia di Porta Lame del 7 novembre 1944. Nella stessa giornata, a Portonovo, i partigiani rinviarono alle loro stalle una mandria di bovini destinata ad un raduno di bestiame indetto dai tedeschi. Il 10 novembre successivo la 5a Brigata ricevette dal CUMER l'ordine di decentrare nel migliore dei modi tutti gli uomini e di nascondere parte delle armi, eccettuata qualche piccola squadra di punta da tenere a disposizione, cessando ogni azione su larga scala. II 3 febbraio 1945 una delegazione di 15 donne si portò presso il municipio rivendicando generi alimentari. Ancora in febbraio, nella frazione S. Antonio, i partigiani recuperarono da un automezzo tedesco in sosta 4.000 proiettili, un fucile e 8 bombe a mano (il 7) e sabotarono le linee telefoniche tedesche, oltre ad asportare tutta la segnaletica stradale (il 20); a Villa Fontana fecero saltare 50 Kg. di tritolo (il 28). Intanto il 20 febbraio la Brigata aveva ricevuto dal CUMER l'ordine di riprendere su larga scala la sua attività operativa. Il 15 marzo, a Fiorentina, i partigiani fecero saltare la casa di un fascista e distrussero due camion e 5 carrette che trasportavano coperte militari. Due giorni dopo a S.Antonio incendiarono un deposito di carburante tedesco. Con l'inizio della primavera i lavoratori della terra parteciparono di slancio all'attuazione delle direttive dei CLN per le semine (contro l'abbandono delle coltivazioni da parte degli agrari), per garantire la disponibilità di cereali e di altri prodotti necessari alla popolazione nell'immediato dopo-guerra.

Medicina fu liberata il 17 aprile 1945, con l'attivo concorso dei suoi gappisti e sappisti, che nei giorni successivi concorsero alle operazioni per la liberazione di Bologna. Il 18 fu giorno di battaglie lungo il corso basso e alto della Gaiana; battaglie brevi ma intense e di grande importanza militare. Qui il 1° Corpo paracadutisti, uno dei corpi militari tedeschi più efficienti e politicizzati, sceso in Italia quale baluardo del nazismo, fu definitivamente sconfitto e i Gruppi di combattimento italiani, i reggimenti polacchi, inglesi e indiani ebbero via libera al raggiungimento dei rispettivi obiettivi. Il 20 aprile 1945, nella civica residenza, su designazione del CLN ed alla presenza del Governatore militare alleato, venne nominata la Giunta comunale ed il sindaco nella persona di Marcello Bragaglia, il quale venne sostituito da Orlando Argentesi al suo ritorno a Medicina, il 28 aprile successivo.

Per approfondire la storia di Medicina dal Settecento alla Grande Guerra cliccare qui.

Fonte: L. Arbizzani, Antifascismo e lotta di Liberazione nel Bolognese, Comune per Comune, Bologna, ANPI, 1998