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Luigi Fabbri

21 febbraio 1888 - [?]

Scheda

Luigi Fabbri, da Luigi e Maria Tabanelli; nato il 21 febbraio 1888 a Conselice (RA). Bracciante. Iscritto al PSI dal 1908. Nacque bracciante e morì deputato, dopo avere interamente dedicato la sua vita alla causa della classe nella quale era nato. Sia da attivista di base, che da capolega o da deputato, si considerò sempre un militante del grande esercito del lavoro.
Per lui la lotta di classe era l'unica strada che i lavoratori potevano percorrere, per la propria emancipazione e per costruire uno stato libero, democratico e aperto a tutte le classi. Iniziò a lavorare giovanissimo e subito abbracciò gli ideali socialisti. Divenne attivista, poi capolega dei braccianti di Conselice (RA) e, infine, dirigente della Federterra di Ravenna.
All'esperienza politica, unì quella tecnica e amministrativa, necessarie per dirigere le cooperative agricole e di lavoro del ravennate. Alla vigilia della prima guerra mondiale, fu chiamato a reggere la segreteria della CdL di Budrio, uno dei principali centri agricoli e bracciantili del bolognese, ma fu quasi subito richiamato e spedito al fronte.
Solo nel 1919 potè riprendere il suo posto di «organizzatore» e rappresentò i braccianti e i mezzadri di Budrio ai numerosi congressi e convegni che si tennero in quell’anno per preparare la grande agitazione agraria del 1920. Sostenitore dell'unità tra mezzadri e braccianti, fu uno dei principali artefici della piattaforma unitaria che alla fine, con la firma del concordato Paglia-Calda, risultò vincente per il mondo contadino.
Con Giuseppe Bentivogli, Paolo Fabbri, Giovanni Goldoni, Mario Piazza e Renato Tega, fece parte del comitato d'agitazione che guidò la dura lotta di 80 mila contadini bolognesi, durata dall’1 gennaio 1920 al 25 ottobre 1920.
Per riprendersi quanto avevano perduto nella vertenza, gli agrari scatenarono le squadre fasciste nelle campagne, iniziando la più grande reazione anticontadina. I capilega furono le prime vittime designate: furono bastonati, arrestati e uccisi per «estorsione».
Una clausola del concordato Paglia-Calda prevedeva che gli agrari avrebbero dovuto rifondere ai coloni una parte dei danni subiti da questi ultimi durante l'agitazione.
Il pagamento di questi danni fu chiamato - dagli agrari - estorsione e la cifra versata divenne la «taglia». I capilega che avevano riscosso la «taglia» a nome dei coloni, furono arrestati e tra questi Fabbri, «avendo nel 1920 con minacce di grave danno alle persone e agli averi [...] rubato forti somme a vari proprietari di Budrio». L'arresto avvenne il 16 marzo 1921.
Nel maggio 1921, la federazione bolognese del PSI lo incluse nella lista elettorale, quale «candidato di protesta» per le elezioni politiche. Era stato candidato anche Andrea Ercolani, che si trovava in carcere per la lotta agraria. Furono entrambi eletti e liberati. Divenuto uno dei massimi dirigenti del PSI in Emilia-Romagna, il 30 dicembre 1923 fu arrestato mentre presiedeva una riunione regionale di partito, alla quale era intervenuto Pietro Nenni. Tutti i presenti, una quindicina, finirono in prigione.
Dal 1923 al 1926 fu segretario regionale del PSI e membro della direzione nazionale. Nell'aprile 1924 fu rieletto alla Camera e si battè contro la dittatura fascista.
Partecipò alla secessione dell'Aventino. L’1 maggio 1926 fu arrestato a Bologna, con Guido Armaroli, Secondo Fantuzzi, Gaetano Melotti, Dario Nanni e Oreste Scuranti, mentre stavano distribuendo volantini che inneggiavano alla festa del lavoro. Dichiarato decaduto da deputato il 9 novembre 1926 - come tutti gli altri parlamentari antifascisti - fu arrestato due giorni dopo perché trovato in possesso di un documento politico della federazione del PSI di Bologna. L'1 dicembre 1926 fu assegnato al confino per 5 anni e inviato a Favignana (TR). Fu poi trasferito a Ustica (PA) e infine a Ponza (LT). Mentre era al confino subì due arresti. Il 3 marzo 1927 fu condannato a tre mesi di reclusione. Nell'ottobre 1927 fu arrestato con altri 56 antifascisti - tra i quali i socialisti bolognesi Giuseppe Bentivogli, Carmine Pastore Mancinelli, Giuseppe Massarenti, Giulio Miceti, Erminio Minghetti, Marcellino Toschi e Amleto Villani - per «l'attività sovversiva da essi svolta nell'isola» e «ricostituzione di partiti disciolti, incitamento all'insurrezione e propaganda sovversiva». Dopo 10 mesi di carcere fu prosciolto dal Tribunale speciale, come tutti gli altri imputati, il 19 novembre 1928. Il 4 gennaio 1930 fu arrestato per «reati» commessi quando era deputato, come quello di avere distribuito dei volantini l'1 maggio 1926 a Castelfranco Emilia (MO). Liberato il 10 novembre 1931, tornò a Bologna, ma non potendo lavorare, nel 1933 si trasferì a Firenze e poi a Milano.
Per tutto il ventennio fascista fu sempre attentamente sorvegliato dalla polizia. Durante la Resistenza divenne presidente della IV zona del CVL di Como.
Il 30 aprile 1945, su designazione del CLN locale, fu nominato sindaco di Mirabello Comasco (CO). Fu anche nominato dirigente delle organizzazioni contadine della zona. Il PSI della Lombardia lo incaricò di rappresentarlo alla Consulta nazionale. [O]