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Massimiliano Putti

1809 - 1890

Scheda

Tra gli artisti attivi alla Certosa di Bologna nel XIX secolo si può annoverare tra i più importanti, per il numero e la qualità artistica delle opere, Massimiliano Putti. Egli nasce a Bologna nel 1809. Suo padre, Giovanni (1771-1847), importante scultore bolognese di età neoclassica, è sicuramente colui dal quale Massimiliano apprende i primi rudimenti artistici. All’età di dieci anni, nel 1819, viene iscritto all’Accademia di Belle Arti, ma solo nel 1824 accede alla Scuola di scultura. Infatti, per potersi iscrivere alle Scuole di Pittura, di Scultura, di Anatomia e del Nudo era indispensabile la frequenza di almeno due anni della Classe di Ornato o di Elementi di figura.

La formazione accademica di Massimiliano Putti avviene inizialmente sotto la guida del professore di Scultura Giacomo De Maria (1762-1838), il più noto esponente del Neoclassicismo bolognese e, più tardi, del suo successore Cincinnato Baruzzi (1790-1878) che in gioventù era stato allievo e collaboratore di Antonio Canova. Lo stile di M. Putti si conforma pienamente ai principi artistici del Neoclassicismo in voga a Bologna fin verso la metà del secolo. Il suo percorso artistico subisce infatti una fondamentale svolta in direzione purista solo negli anni Quaranta, probabilmente in concomitanza con un viaggio effettuato a Roma, dove ebbe l’opportunità di conoscere le opere di Pietro Tenerani (caposcuola del Purismo in scultura e firmatario del relativo manifesto).

Numerosi sono i riconoscimenti che vengono conferiti al Nostro durante gli anni di studio all’Accademia, in particolare il prestigioso premio Curlandese vinto nel 1840, grazie al bassorilievo marmoreo raffigurante Achille piange sopra il corpo di Patroclo (oggi conservato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna). Con quest’opera M. Putti afferma la propria opera a livello cittadino, tanto che, ne “Il Caffè Petronio”, il bassorilievo viene commentato con l’eloquente affermazione: “abbiamo ancora un buon scultore!”.
Negli stessi anni è impegnato, assieme al padre e ad altri scultori locali, alla realizzazione delle statue in terracotta dei Santi della Chiesa di San Giuseppe dei Cappuccini di Bologna, negli ornati di S. Giovanni Battista a Castenaso e nei cantieri del Duomo di San Marino. Altri tre interventi nelle chiese bolognesi sono documentati in S. Isaia (cappella maggiore), nella SS. Trinità (gloria d'angeli) e nel 1850 in S. Giuseppe e Ignazio (ornamenti degli altari minori). Inoltre, tra il 1844 e il 1845, è attivo al cantiere del Teatro Bonci di Cesena dove realizza undici bassorilievi in terracotta poi collocati sulla facciata e nel timpano. Ancora, suoi sono i due angioletti della nicchia del Crocifisso della Chiesa dell’Assunta di Medicina, e nella Chiesa della Beata Vergine della Cintura a S. Giovanni Persiceto in un nicchio a destra è la statua di Gesù Nazareno.

Tuttavia, il maggior numero di lavori realizzati da M. Putti si trovano dislocati nei vari ambienti del cimitero Comunale della Certosa di Bologna, trasformati in sepolcreti fin dai primi anni del XIX secolo. Sulla base dei pochi studi sull’opera di Massimiliano di cui ad oggi disponiamo e delle guide bolognesi dell’epoca, si possono contare una trentina di lavori funerari (medaglioni, busti ritratto, opere di ornato) e una decina di veri e propri monumenti realizzati alla Certosa. Nel 1847 egli viene nominato professore aggiunto di Scultura all’Accademia di Belle Arte di Bologna e negli anni Sessanta diviene titolare della cattedra di Plastica Ornamentale. Poche sono le opere datate e firmate dal nostro artista, tra queste vi è il monumento a Giuseppe e Gaetano Pepoli (datato 1868), ubicato nella cella di famiglia nella sala del Colombario della Certosa (tra i suoi monumenti che si distinguono per qualità artistica, questo è l’unico preso in considerazione nelle recenti pubblicazioni sul cimitero bolognese). L’opera, di chiara matrice purista, nello stile e nella scelta iconografica richiama in modo evidente il Cristo realizzato dal celebre scultore Bertel Thorvaldsen (danese ma attivo a Roma) nel 1821 per la Vor Frue Kirke di Copenaghen. Il Redentore è in atteggiamento di accoglienza e protezione verso le due anime raffigurate come sospese in aria sopra un sobrio sarcofago decorato con le effigi dei due marchesi e lo stemma di famiglia. L’effetto scenografico che caratterizza il monumento Pepoli traspare ancora di più nel grandioso monumento a Domenico Pallavicini, anch’esso datato 1868. Per questa tomba monumentale M. Putti realizza un enorme Angelo della Pace con in mano un ramoscello d’ulivo, colto nell’atto di innalzarsi verso il cielo. Esso è disposto tra due grandi sarcofagi nella sala del Colombario.

Già nel 1851 ca., l’artista utilizza la medesima figura per una commissione cimiteriale. Si tratta del monumento a Caterina Lipparini, collocato nel Chiostro Maggiore. In questo caso, però, l’Angelo della Pace, di qualità ben più modesta rispetto a quello del monumento Pallavicini, è rappresentato nell’antica posizione orante, sistemato sopra un alto piedistallo ottagonale, di cui si vedono solo tre angoli. La palma d’ulivo è andata distrutta, di essa rimane solo la base tenuta in mano dall’angelo. Il basamento è finemente decorato: al centro un grande medaglione riporta il sobrio ritratto di profilo di Caterina Lipparini caratterizzato da un’acconciatura di evidente derivazione canoviana; alle sue estremità due elementi simbolici: la Fenice, emblema di Risurrezione e la Lira, indicativa della passione per la musica della defunta. L’attenzione che M. Putti ha per la resa dei dettagli è evidente soprattutto nella realizzazione degli apparati ornamentali, in particolar modo nelle ghirlande e nei festoni di fiori, da considerarsi uno dei tratti peculiari dell’opera del nostro artista. La peculiare finezza decorativa dello scultore si può ammirare nelle diverse stanze di Palazzo Malvezzi de’ Medici (dal 1934 sede della Provincia di Bologna). Per descrivere questi ornamenti, eseguiti intorno agli anni Sessanta, si è parlato di “neobarocchismo”, evidente anche nel carattere scenografico di alcuni monumenti, in particolare nel vorticoso movimento della veste dell’Angelo della Pace svettante sulla tomba Pallavicini.

Due festoni di fiori decorano anche il monumento a Francesco Casalini, firmato e datato 1867, i quali ricadono lungo il perimetro delle due lastre marmoree costituenti il supporto dell’opera. Conservata nella Sala del Colombario, questa tomba rivela una vena purista e insieme naturalista: la scena di dolore della vedova seduta con il figlioletto appresso presenta una accentuata attenzione al vero e, al contempo, lo sguardo della donna rivolto in alto denota un atteggiamento di religioso abbandono. Le due figure, illuminate da una fiaccola accesa, sono allusive della vedovanza della donna, condizione evidenziata anche dall’epigrafe che, incisa nello zoccolo, rende nota la committenza dell’opera. Al vertice dell’arco marmoreo, in una nicchia circolare, è disposto il realistico busto-ritratto del defunto. Sempre nella Sala del Colombario, M. Putti realizza un altro dei suoi capolavori, ancora una volta firmato e datato 1868. Si tratta del suggestivo monumento a Giuseppe Gandolfi, la cui particolarità è nella figura di donna seduta sopra lo zoccolo, rappresentata nell’atto di scrivere una frase di ammonimento: “DAL FATTO IL DIR NON SIA DIVERSO”. La religiosità della figura femminile, coronata di foglie di quercia, è espressa anche dalla croce che tiene nella mano sinistra. Accanto a lei, disteso, riposa un leone di derivazione neoclassica, forse retaggio della produzione artistica del padre, autore dei due maestosi leoni disposti a capo portico del Chiostro Maggiore. In una nicchia circolare è disposto il busto-ritratto di Giuseppe Gandolfi, uomo arricchitosi lavorando nell’agricoltura, attività che viene qui rappresentata negli emblemi simbolici scolpiti a bassorilievo.

M. Putti collabora inoltre a due tra i più prestigiosi monumenti presenti alla Certosa eseguendone i basamenti. Il primo, in ordine di tempo, è quello per il monumento Malvezzi Angelelli, ubicato nel Colombario e sul cui basamento s’innalza la statua raffigurante Pallade e il Genio della Morte, scolpita tra il 1827 e il 1833 ca. dal celebre Lorenzo Bartolini (1770–1850). L’opera, originariamente rappresentante la Magnanimità che abbraccia il suo destino, fu eseguita per ricordare Elisa Bonaparte Baciocchi ed essere collocata nella cappella Marsigli Rossi in San Petronio. La statua, rimasta poi inutilizzata, viene acquistata dal marchese Massimiliano Malvezzi Angelelli, professore universitario di lettere all’università bolognese, e sistemata successivamente sulla sua tomba. Per il nuovo utilizzo vengono effettuati alcuni adattamenti alle figure, verosimilmente apportati da M. Putti, come l’elegante medaglione classicheggiante con l’effige di Angelelli in una delle otto facce del piedistallo. Nelle altre facce vi sono simboli funerari come la face rovesciata, ma anche stemmi di famiglia ed emblemi della professione del marchese. Il tutto è coronato da raffinati festoni floreali alternati a mascheroni. Più semplice è il basamento che sostiene la grande statua del generale Giuseppe Grabinski eseguita dallo scultore carrarese Carlo Chelli (1807–1877) nel 1861 e collocata in una delle celle sepolcrali del Chiostro Maggiore. Nel medesimo anno M. Putti termina il piedistallo, decorato da festoni di alloro legati con nastri trattenuti da artigli di aquile.

Altri due monumenti, di dimensioni più ridotte, sono il frutto di collaborazioni: nell’opera in memoria dei coniugi Vincenzo e Maria Brusa, databile attorno al 1871 ca., il solo ornato con gli emblemi delle scienze matematiche è da attribuire al Nostro, in quanto i medaglioni sono opera dello scultore bolognese Giuseppe Pacchioni (1819–1887). Di Carlo Berozzi, invece, sono le decorazioni disposte lungo la parete dell’arcata Anti, nel Chiostro Maggiore, per la quale il M. Putti esegue un medaglione neoclassico con il ritratto di Luigia Anti. La stele marmorea decorata lungo tutto il perimetro è fiancheggiata da due Piangenti sedute con le faci rovesciate in mano. Dietro ad esse pendono due festoni di fiori. L’opera è databile agli anni Quaranta. Anche per il monumento Kanestri realizzato nel 1862 ca. e ubicato nel Chiostro Maggiore, lo scultore ricorre al tema delle due Piangenti. Eseguite in bassorilievo in atteggiamento di preghiera, esse esprimono chiaramente l’adesione di M. Putti allo stile purista. Al di sopra della stele marmorea è disposta una lunetta raffigurante il Buon Pastore, soggetto derivato dal Vangelo di San Luca.

Il passaggio dal Neoclassicismo al Purismo può essere sottolineato anche dalla scelta iconografica dell’Angelo, preferito al Genio della Morte di derivazione classica. Quest’ultimo rappresentato nelle nudità di giovane efebo con la face rovesciata, è ripreso dal Nostro nel monumento al marchese Alessandro Paleotti, nel Chiostro Maggiore. Nel repertorio iconografico dell’artista la figura femminile assume diversi ruoli. Per il monumento a Gaetano Manini, collocato nella sala del Colombario, Putti progetta la realizzazione di due donne avvolte da manti che le coprono interamente e con in mano due urne cinerarie. La particolarità di quest’opera, databile intorno al 1865, sta nella tecnica esecutiva: fu infatti fusa in ferro dalla Fonderia di Castel Maggiore. In forma di donna è anche l’Anima del monumento a Angela Granello. Scolpita in bassorilievo, la figura femminile è rappresentata nell’atto di ascendere al cielo, come attratta da una stella raggiante di luce. Nel nastro, che tiene legate le due ghirlande di fiori, è incisa la frase: “CI RIVEDREMO IN PARADISO”. Le steli marmoree che Massimiliano Putti esegue nel corso della sua lunga carriera professionale, si possono suddividere in due filoni stilistici. Il primo comprende opere in stile neoclassico dove i ritratti appaiono come idealizzati e, a meno che non si tratti di un busto, presentati rigorosamente di profilo e pettinati come usava nel periodo napoleonico. Il secondo, caratterizzato da maggiore descrittivismo e naturalismo, comprende ritratti frontali o di tre quarti.

Sicuramente degno di nota è il monumento all’architetto Leandro Marconi, professore all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Esso è databile intorno agli anni Quaranta ed è situato nel Colombario. Più realistici, ma sempre dedicati alla memoria di colleghi professori dell’Accademia, sono i medaglioni dei pittori Napoleone Angiolini, del 1871 ca., e del milanese Carlo Arienti, del 1873 ca., rispettivamente collocati nel Chiostro Maggiore e nella sala del Colombario. Quest’ultimo comprende anche un ornato con gli emblemi dell’arte pittorica e, nello zoccolo, è ancora visibile lo spazio una volta occupato dal medaglione con il ritratto della moglie, oggi andato disperso.

Molti altri lavori potrebbero essere ricordati, tra quelli in stile neoclassico: il monumento ad Amedeo Levi; a Luigi Benfenati; ai coniugi Dalla Noce; ad Antonio Bertoloni; a Federico Sievert; a Gustavo Vecchietti; a Giulio Campagnoli e ad Antonio Cavara; ad Alessandro Fabbri; ad Antonio Ricciardi; a Lucio Barbani; a Valentino Amici. Infine, il particolare monumento a Filippo Neri, caratterizzato da un medaglione ricavato da un’alta piramide, disposta sopra uno zoccolo a forma di sarcofago. E ancora, tra quelli più naturalistici, il monumento ad Andrea Besteghi; ad Alessandro Morelli; a Giulio Negrini; a Pietro Faldi; a Giuseppe Sarti; ad Aldo Chiusoli Ghini; a Luigi Barbieri; ad Ulisse Bandera. Suoi sono anche due busti ritratto raffiguranti altrettanti Uomini Illustri, una volta collocati nel Pantheon bolognese alla Certosa. Il primo ritrae il matematico Giovanni Battista Magistrini di Novara e l’altro Antonio Giuseppe Testa, realizzato da M. Putti negli ultimi anni della sua vita. Dalla documentazione fotografica emerge come Massimiliano Putti operi con intenti realistici, tendenza testimoniata anche dal busto raffigurante Ugo Bassi, realizzato in gesso per l’esposizione regionale tenutasi a Bologna nel 1888. Quest’ultimo, dal 1893, è conservato presso il Museo del Risorgimento e recentemente è stato oggetto di un restauro.

Nel corso degli anni il gruppo di busti degli Uomini Illustri del Pantheon bolognese ha subito numerosi spostamenti: nel 1927 sono stati trasportati e sistemati lungo le pareti della Sala d’Ercole in Palazzo d’Accursio; nel 1935 li ritroviamo in Montagnola dove, dopo un lungo periodo di esposizione all’aperto, hanno subito gravi danneggiamenti provocati, oltre che da fattori atmosferici, anche da atti di vandalismo – come l’asportazione dei nasi – e da cause belliche. Dal 1998, dopo la catalogazione, questa serie dei busti è stata assegnata alla Galleria Comunale d’Arte Moderna e sono stati trasportati a Villa delle Rose dove a tutt’oggi sono conservati. Massimiliano Putti, dopo la morte avvenuta nel 1890, è stato sepolto nella tomba di famiglia ubicata nel Chiostro Maggiore, dove è indicato solo il nome di suo padre Giovanni, defunto nel 1847.

Federica Sternini