Partito socialista italiano (PSI)

Partito socialista italiano (PSI)

14 agosto 1892

Scheda

Il 14 agosto 1892 il PSI nacque a Genova, su iniziativa dei delegati delle sezioni del Partito operaio, delle leghe socialiste e di quelle sindacali che avevano abbandonato i lavori del congresso nazionale del Partito operaio all’interno del quale era prevalente la corrente anarchica. Riunitisi separatamente, diedero vita al Partito dei lavoratori italiani. L’anno seguente, al congresso di Reggio Emilia, il nome fu cambiato in Partito socialista dei lavoratori italiani e nel 1895, al congresso di Parma, in quello di Partito socialista italiano. Il distacco dei socialisti dagli anarchici segnò l’inizio di un nuovo corso politico. 

Sciolto dal governo nel 1894, durante la reazione crispina, il PSI si riorganizzò e, durante il nuovo tentativo reazionario del 1897-98, fu la forza politica che più si oppose ai provvedimenti legislativi liberticidi di Luigi Pelloux. Con l’inizio del nuovo secolo e la fine dei tentativi autoritari, il PSI diede un non piccolo contributo alla realizzazione del “decennio giolittiano”. In quegli anni fu diretto dal gruppo riformista, al quale si contrappose una minoranza sindacalista-rivoluzionaria. Ebbe un forte sviluppo politico-organizzativo, passando dai 15 deputati del 1897 ai 41 del 1909, da 135 mila voti a 341.387 e da 27.281 iscritti a 31.960. Il “decennio giolittiano” si concluse con la guerra di Libia, la quale provocò una grave crisi politico-economica che segnò l’inizio di un processo politico involutivo nel paese. Anche il PSI subì una profonda trasformazione. Al XIII congresso nazionale, svoltosi nel luglio 1913 a Reggio Emilia, prevalse l’ala rivoluzionaria su quella riformista, alcuni dirigenti della quale furono espulsi per non avere contrastato in parlamento - ma alcuni l’avevano addirittura approvata - la guerra di Libia. Gli espulsi fondarono il Partito socialista riformista. Grazie soprattutto alla riforma elettorale, nel 1913 il PSI conseguì un grande successo nelle politiche, conquistando 53 deputati e 961.703 voti. Il successo fu confermato, con un aumento di voti, nelle amministrative del giugno 1914, quando conquistò grandi città come Milano e Bologna, numerose amministrazioni comunali e provinciali e un migliaio di comuni. Il PSI non riuscì a trarre tutte le conseguenze politiche da quel duplice successo perché la guerra mondiale - nella quale l’Italia era stata coinvolta nel maggio 1915 - mutò radicalmente il quadro nazionale. A differenza dei cattolici e dei liberali giolittiani, il PSI si oppose alla guerra con la formula «Né aderire né sabotare». Senza rinnegare l’italianità di Trento e Trieste, il PSI sostenne che quella non era una “guerra democratica”, ma uno scontro tra opposti imperialismi.

Molti dirigenti furono internati e non pochi quelli che subirono la violenza degli interventisti. La censura ridusse al silenzio i giornali socialisti, mentre fu resa la vita difficile alle amministrazioni locali rette dal PSI. Nel dopoguerra il partito continuò a essere guidato dall’ala rivoluzionaria, che aveva assunto la denominazione di massimalista. Sull’onda del malcontento provocato dalla guerra e sfruttando l’entusiasmo che la rivoluzione russa aveva provocato, il PSI ebbe un grande sviluppo politico-organizzativo. Alle politiche del 1919 raddoppiò i voti del 1913 e triplicò i deputati. Con 81.463 iscritti, raccolse 1.834.792 voti, pari al 32 per cento, e mandò 156 deputati alla Camera. Quando la III Internazionale comunista - violando il principio delle autonomie nazionali - pose ai partiti operai europei l’alternativa di approvare i famosi 21 punti o essere espulsi dall’Internazionale, il PSI subì una grave scissione, dalla quale nacque il PCdI. Era il gennaio 1921, il momento della massima espansione dell’offensiva fascista. Anche se nelle elezioni del 15 maggio 1921, quattro mesi dopo la scissione, il PSI raccolse 1.628.753 voti, mandò alla camera 123 deputati e gli iscritti toccarono il tetto massimo di 216.327, la battaglia contro il fascismo era perduta. Nell’illusorio tentativo di far rientrare i comunisti nel partito, per avere il riconoscimento dell’Internazionale, i massimalisti cacciarono l’ala riformista al termine del XIX congresso nazionale, riunitosi a Roma nell’ottobre 1922, alla vigilia della “marcia su Roma”. Quella decisione contribuì a indebolire ulteriormente il fronte operaio: i riformisti diedero vita al PSUI e i comunisti non rientrarono nel PSI. Dopo lo scioglimento dei partiti e la soppressione della libertà, nel 1926, i principali dirigenti socialisti presero la strada dell’esilio e ricostituirono il PSI a Parigi. Qui fu pubblicato “Il Nuovo Avanti!”. A Parigi (Francia) il 19 e 20 luglio 1930 PSI e PSUI si riunificarono e il partito assunse il nome di PSI. I rapporti con il PCI furono di totale rottura e contrapposizione sino al 1934, quando il Comintern impose ai partiti comunisti d’Europa la linea politica dei fronti popolari. Il PCI, per quanto contrario, subì la nuova linea politica, cessò di accusare il PSI di «socialfascismo» e fu stretto il Patto d’unità d’azione. Anche se il nucleo dirigente principale era quello che operava in Francia, il PSI continuò a fare politica in Italia durante la dittatura, mentre migliaia di militanti subirono il carcere e il confino.

La lotta politica in Italia era diretta dal Centro socialista interno costituito nel 1934 a Milano. Nonostante fossero nati nuovi partiti affini, come il MUP e il PdA, la maggior parte dei socialisti italiani restarono fedeli al PSI. Il 25 agosto 1943 - durante il breve interregno badogliano - PSI e MUP si unirono dando vita al PSUP, divenuto PSIUP. Pochi giorni dopo, con l’inizio della Resistenza, il PSIUP diede questa direttiva ai socialisti italiani: «Per coloro che, smarriti nel caos della presente situazione, ci chiedono una mèta cui tendere, una parola d’ordine, una direttiva da seguire, non abbiamo che una risposta: combattere» [...] «il nemico è il tedesco nazista: non c’è contadino o soldato o lavoratore o intellettuale che non se ne renda conto senza la minima ombra di dubbio, e ciò non solo in Italia, ma in tutta Europa» (La nostra guerra in “Avanti!”, n.4, 26 settembre 1943, Edizione romana). Nei venti mesi della Resistenza, il PSIUP dedicò ogni energia alla lotta contro i nazifascisti. Furono decine le brgg Matteotti e centinaia i caduti socialisti.

A Bologna il PSI - nato nel 1892, dopo il congresso di Genova - cominciò ad essere una forza politica consistente all’inizio del secolo XX, dopo i tentativi autoritari, anche se non erano mancati successi parziali. Nel 1894 Andrea Costa fu eletto deputato a Budrio e Imola. Due deputati Costa e Leonida Bissolati - conquistò nel 1900. Quelle elezioni confermarono che la città era il punto debole del PSI per cui nelle politiche, come nelle amministrative furono ricercati accordi con i partiti di centro-sinistra, anche se “borghesi”. Nel 1902 l’Unione dei partiti popolari - un blocco elettorale guidato dalla massoneria e del quale facevano parte repubblicani, radicali e socialisti - conquistò Palazzo d’Accursio e 4 socialisti entrarono in Consiglio comunale. Francesco Zanardi fu eletto assessore. L’accordo con i partiti “borghesi” non durò e da allora il PSI non ricercò più alleanze elettorali. Fu nel novembre 1904 che il PSI da solo conquistò la maggioranza dei voti e 5 deputati su 8. Ottenne 15.424 voti contro i 13.890 dei candidati della destra e i 1.086 dei candidati di repubblicani e radicali. Elesse Costa a Bologna II, Genuzio Bentini a Castel Maggiore, Giacomo Ferri a S. Giovanni in Persiceto, Bissolati a Budrio e Costa a Imola. L’8 gennaio 1905, quando furono ripetute le elezioni nel collegio di Bologna II, perché Costa aveva optato per Imola, il PSI perse il seggio per pochi voti. Nelle elezioni del 1909 il PSI confermò la maggioranza con 21.870 voti contro 19.452 di tutti gli altri partiti. Furono eletti Alberto Calda a Bologna II, Guido Podrecca a Budrio, Bentini a Castel Maggiore, Costa a Imola e Ferri a S. Giovanni in Persiceto. In quelle del 1913 il PSI (dopo i ballottaggi) ebbe 47.473 voti quasi la metà dell’elettorato. Furono eletti Bentini a Castel Maggiore, G.E. Modigliani a Budrio, Claudio Treves a Bologna I, Calda a Bologna II e Antonio Graziadei a Imola. Ferri fu rieletto a S. Giovanni in Persiceto, ma con una candidatura personale. Nelle elezioni del 1913 il PSI conquistò, per la prima volta, la maggioranza nel capoluogo. Il voto fu riconfermato il 26 giugno 1914 quando il PSI conquistò il comune di Bologna (con 12.689 voti, contro 11.370 della destra), l’amministrazione provinciale e 36 comuni su 61. Il voto amministrativo fu riconfermato nell’ottobre 1920 quando riconquistò i consigli comunale e provinciale e 54 comuni su 61.

Il massimo della sua espansione elettorale il PSI lo raggiunse nelle politiche del 16 novembre 1919, quando ebbe 81.952 voti (68,6%) nell’intera provincia e 21.971 (62,9%) in città. Conquistò 7 deputati su 8: Bentini, Nicola Bombacci, Graziadei, Leonello Grossi, Anselmo Marabini, Vincenzo Vacirca e Francesco Zanardi. Nelle politiche del 15 maggio 1921 ebbe 19.614 voti nel comune di Bologna, 39.996 nella provincia di Bologna e 110.105 nella circoscrizione (BO, FE, FO e RA). Elesse Gaetano Zirardini, Bentini, Nullo Baldini, Andrea Ercolani, Luigi Fabbri da Luigi, E.T. Bogiankino e Zanardi. Nelle politiche del 6 aprile 1924 nella circoscrizione regionale ebbe 34.157 voti e 3 deputati Giovanni Bacci, Luigi Fabbri e Grossi. Nella provincia di Bologna raccolse 11.993 voti, dei quali 5.893 nel comune di Bologna. Sin dai primi anni del secolo XX la federazione bolognese fu controllata dall’ala riformista e solo negli anni prima guerra mondiale passò sotto il controllo di quella rivoluzionaria, poi chiamata massimalista. Antonio Valeri, l’ultimo segretario riformista, nel 1919 lasciò la segreteria a Pietro Venturi, quando i massimalisti vinsero il congresso con 2.192 voti contro 701 dei riformisti. Vittorio Martelli, pur non occupando la carica di segretario, fu il massimo dirigente del partito, sino al 21 novembre 1920 quando, a seguito della strage di Palazzo d’Accursio, si rifugiò nella Repubblica di S. Marino per non essere arrestato e quindi espatriò. Dopo la scissione comunista, la corrente massimalista restò maggioritaria nel partito. Uno degli ultimi segretari, sino a tutto il 1926, fu l’on. Luigi Fabbri. Da un rapporto del prefetto al ministro dell’Interno, in data 27 febbraio 1925, risulta che i massimi dirigenti del PSI erano Fabbri, Carmine Mancinelli, l’on. Grossi e Alberto Trebbi e che il partito aveva «discrete forze» (ASB, GP, 1925, b.1.418, cat.7, fas.1, “Partiti politici esistenti”). Durante la dittatura il PSI non ebbe un gruppo dirigente fisso. Il 3 o 6 agosto 1943, dopo l’unificazione tra PSI e MUP, il PSIUP elesse segretario provinciale Fernando Baroncini. Conservò la carica sino al febbraio-marzo 1944 quando, nominato dirigente della brg Toni Matteotti Montagna, lasciò la segreteria a Paolo Fabbri. In dicembre, quando Fabbri e Mario Guermani attraversarono la linea del fronte e si recarono a Roma per conferire con la direzione del partito, la segreteria provinciale fu assunta da Giuseppe Bentivogli. Fabbri e Bentivogli caddero nella Resistenza. Durante la lotta di liberazione caddero anche i tre comandanti delle brgg Matteotti bolognesi: Otello Bonvicini, Alfredo Calzolari e Antonio Giuriolo. Non si conosce il numero dei militanti sui quali il partito poteva contare, anche se fu fatto il tesseramento con la distribuzione di tessere, sia pure non intestate. [O]

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Documenti
Bologna combatte
Tipo: PDF Dimensione: 8.42 Mb

Nazario Sauro Onofri, Bologna combatte (1940-1945) - Dalla dittatura alla libertà, ed. Sapere 2000, 2003

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Documenti dei socialisti bolognesi sulla Resistenza. I diari delle 3 brigate Matteotti
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1969 Bologna ISB
La Resistenza a Bologna. Documenti e testimonianze vol. 3
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La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti: la stampa periodica clandesina vol. 2
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La ricostruzione del PSIUP a Bologna
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Per il socialismo, l'antifascismo, le autonomie
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