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Il lavoro femminile durante la Grande Guerra

1915 | 1918

Schede

Con l’accendersi del conflitto e il richiamo della popolazione maschile in età da lavoro ai doveri di guerra, le esigenze di fabbriche e uffici, ma anche le necessità delle famiglie, portarono lentamente ad un incremento del numero delle donne nelle attività lavorative al di fuori delle mura domestiche. Nelle regioni come l’Emilia Romagna, in cui l’impegno lavorativo femminile era già diffuso prima della guerra, soprattutto nelle attività agricole, tale presenza fu più estesa rispetto alle regioni meridionali e alle isole. In quelle che erano le aziende agricole a conduzione familiare, ad esempio, le mogli di mezzadri e piccoli proprietari terrieri si trovarono per la prima volta costrette a sostituire i mariti nella direzione dell’azienda.

In fabbrica invece, nonostante la propaganda e le leggi dello Stato mirate all’assunzione di manodopera femminile in sostituzione degli uomini partiti per il fronte, l’impiego delle donne, anche a differenza di quanto andava accadendo in altri stati europei, non fu senza riserve: le donne, infatti, non sostituirono gli uomini nei ruoli specializzati, ma vennero ampiamente impiegate soprattutto come operaie generiche. Anche nei trasporti urbani, per la prima volta in Italia come altrove, si fece ricorso all’occupazione femminile in maniera rilevante. La sostituzione fu provvisoria e legata solo agli anni del conflitto, ma questa figura defemminilizzata che, spesso prossima alla soglia della povertà, necessitava di mantenere se stessa e i figli, fu ampiamente elogiata dallo Stato per lo spirito patriottico e per la fedeltà dimostrate.

In realtà, l’eccessiva visibilità sociale di questa professione trasformò tale ruolo femminile in un’attività moralmente sconveniente e poco decorosa. Nel campo impiegatizio e dei servizi del terziario, invece, la figura femminile invase professionalmente il campo, venendo lentamente a costituire un ceto medio femminile che divenne l’anello di congiunzione tra le classi operaie e quelle borghesi. Lo stato di guerra giustificava la presenza femminile all’interno di un austero ufficio di banca e rendeva meno “sconveniente” che una giovane donna borghese svolgesse un’attività extradomestica retribuita. Il loro impiego era pagato giornalmente e assolutamente provvisorio: soprattutto nelle banche, per favorire il controllo delle carriere, anche il semplice cambiamento di stato civile dovuto al matrimonio costituiva causa di licenziamento. Con la fine del conflitto iniziò lo smantellamento delle strutture di guerra e la riconversione alla produzione di pace.

Il primo effetto fu il licenziamento di molte delle donne che erano state assunte nelle fabbriche belliche ora in via di riconversione e che furono, a questo punto, spronate dallo Stato affinché contribuissero a ripopolare l’Italia. Solo le donne impiegate nelle strutture tipizzate come l’industria tessile o le impiegate, mantennero stabile la posizione lavorativa acquisita nel periodo bellico e rappresentarono l’unica conquista tangibile ottenuta dal sostegno femminile all’economia di guerra. Esse, però, come osservava Donna Paola, seppur in minoranza, stabilirono gli standard di modernità sia a livello economico, sia sul piano delle relazioni industriali, sia a livello comportamentale e sociale, generando molti processi imitativi inter­generazionali. Esse rappresentarono la più significativa innovazione che l’esperienza della prima guerra mondiale ebbe sul complesso della società italiana.

Elisa Erioli