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Giulio Giordani

31 Marzo 1878 - 21 Novembre 1920

Scheda

Nato a Bologna il 31 marzo 1878 da Giuseppe e Raffaella Spisani, dopo la licenza liceale conseguita al Galvani nel 1896 si iscrisse alla Facoltà di Legge dell'Università di Bologna. In contemporanea con il suo percorso di studi, che lo portò a laurearsi con lode con una tesi su “I titoli di credito nell'Antichità classica” nel 1898-1899, prestò servizio militare come allievo ufficiale presso il 4° Reggimento Bersaglieri di stanza nel capoluogo emiliano. La sua carriera di avvocato ebbe inizio presso lo studio di Gaspare Ghillini, per poi passare dapprima alle dipendenze di Enrico Garagnani ed infine a quelle di Leone Magni. Di simpatie democratiche ed aderente al Partito radicale, Giordani era favorevole all'entrata in guerra dell'Italia: assistette il 13 ottobre 1914 al comizio tenuto da Cesare Battisti presso la palestra della “Virtus”, attigua all'antica chiesa di Santa Lucia, e partecipò alle riunioni che gli interventisti bolognesi tenevano presso l'Hotel Baglioni di via Indipendenza. Nel maggio 1915 Giordani fu richiamato alle armi, come Sottotenente del 6° Reggimento Bersaglieri. Asceso al grado di Tenente, il 28 ottobre 1915 rimase ferito ad una gamba mentre – al comando di una compagnia – guidava l'assalto alla Trincea delle Frasche, sul fronte isontino: colpito dal fuoco di una mitragliatrice, per questa sua azione gli fu conferita una Medaglia d'Argento al Valor Militare, in quanto «Preso in mezzo al reticolato, continuava ad animare ed incitare i bersaglieri, benché ripetutamente ferito, finché, colpito ad una gamba, cadde riverso sul reticolato stesso». Sopravvissuto all'assalto, Giordani fu ritrovato dopo molte ore: trasportato all'ospedale di Palmanova, dovette subire l'amputazione della gamba. A dispetto dell'annuncio della sua morte fatto da alcuni giornali, tra i quali “Il Secolo” di Milano, Giordani sopravvisse all'intervento e, trasferito a Bologna, fu ricoverato presso l'Istituto Ortopedico Rizzoli (IOR). 

Ristabilitosi, Giordani fu tra i fondatori del locale Comitato d'Azione dei Mutilati di guerra, che condusse per una tutta la provincia di Bologna una campagna propagandistica in favore del conflitto: scopo precipuo del Comitato era quello di «rendere consapevole il soldato delle ragioni e delle necessità di questa […] guerra, affinché egli adempisse con convinzione ai propri doveri di cittadino e di soldato». Il Comitato provvedeva inoltre a commemorare date ed eventi «gloriosi», organizzava incontri per discutere i problemi del conflitto, consegnava onorificenze e pubblicizzava il «prestito della vittoria», avvicinando inoltre «le reclute che si predisponevano al giuramento» ed ammonendo infine «i partenti a compiere il proprio dovere». Nel gennaio 1918, al fine di non “disperdere” «energie fattive […] col conseguimento della vittoria», sorse la sezione felsinea dell'ANMIG (Associazione Nazionale fra i Mutilati e gli Invalidi di Guerra, fondata ufficialmente il 5 febbraio successivo, con Giordani che entrò nel Consiglio direttivo come semplice consigliere) la quale si insediò in alcuni locali di via Barberia 4. Per la consegna del vessillo sociale fu designato il direttore del “Popolo d'Italia”, Benito Mussolini: la cerimonia si tenne il 19 maggio 1918 al Teatro Comunale, alla presenza delle vedove di Cesare Battisti e Giacomo Venezian. In seguito, un corteo sfilò per le vie del centro cittadino fino a Palazzo d'Accursio. Al termine del conflitto mondiale Giordani riprese la carriera forense, senza abbandonare però l'attività pubblica: nel 1919 si candidò alle elezioni politiche nelle liste dei Combattenti, non risultando eletto (anche se con quasi duemila preferenze fu il più votato del suo raggruppamento). Al contrario, in occasione delle elezioni amministrative dell'anno successivo, entrò in Consiglio comunale nella quota della minoranza, conquistata dal blocco denominato “Pace, libertà, lavoro” composto da nazionalisti, combattenti, qualche sparuto liberale di destra e fascisti (che però non ebbero nessun rappresentante eletto), il quale aveva avuto la meglio sul Partito popolare per oltre tremila voti.

Il 21 novembre 1920, giorno dell'insediamento della nuova amministrazione cittadina social-comunista, Giordani rimase ucciso dopo essere stato colpito da quattro o cinque proiettili sparati nella sala del Consiglio comunale. Ancora oggi – come già sostenne Nazario Sauro Onofri – non è possibile affermare quale fu l'esatta scansione degli eventi all'interno dell'aula consiliare: «L'unica cosa certa, sulla quale convennero tutti i presenti, è che a sparare fu una persona sola entrata nell'aula dalla parte del pubblico […]. Scaricata la rivoltella, l'assassino si allontanò indisturbato grazie alla confusione». Colpito al ventre, Giordani – mentre all'esterno i fascisti provocavano il panico che precorse la strage di lavoratori colpiti dalle bombe delle “guardie rosse” – fu vanamente soccorso dal medico socialista Ettore Bidone (assessore uscente della giunta Zanardi), spirando mentre veniva trasportato a braccio all'ospedale Maggiore di via Riva di Reno. Giordani lasciò la moglie Cesarina Buldrini, incinta della loro seconda figlia – poi battezzata Giulia – ed il primogenito Guido, dell'età di un anno. Subito egli assurse nella retorica del nascente regime a primo «martire» del fascismo bolognese: valga, per tutte le biografie più o meno agiografiche che gli furono dedicate nel corso del Ventennio, quanto affermato da Carlo Delcroix, che lo dipinse come «la vittima propiziatoria delle nuove fortune, l'olocausto che i mutilati hanno offerto alla pace dopo il grande martirio della guerra perché ancora una volta rinascesse dal sangue l'aurora della speranza bagnata da tutte le rugiade de l'anima». Il reduce della Grande guerra divenne così «il simbolo di una causa che era del tutto estranea al Giordani vivo […] anche se il suo nome [venne, NdA] messo di “diritto” tra gli iscritti al Fascio del 1919, mentre non aveva aderito neppure al secondo, quello di Arpinati della fine del 1920» (N. S. Onofri 1966, pp. 284-285).

La salma di Giordani venne esposta in un'aula del Tribunale, vegliata da picchetti di fascisti armati di fucili, mentre il corteo funebre del 23 novembre – sempre nel giudizio di Onofri – si trasformò in una «grande manifestazione antisocialista, anche perché il feretro era accompagnato dal Gonfalone del comune portato dai fascisti». Sepolto nella Certosa di Bologna, la sua salma fu traslata nel 1932 nel Monumento ai Martiri della Rivoluzione Fascista del Chiostro VI (posto alle spalle del sacrario ai Caduti della Grande Guerra). Diversi furono i modi in cui, subito dopo l'assassinio e poi nel corso del Ventennio, venne commemorata la memoria di Giordani: oltre alla piazza di fronte al Tribunale (con decreto del commissario prefettizio Ferrero in data 20 gennaio 1922), a lui fu intitolata una scuola in via Libia (che ancora oggi porta il suo nome), mentre il 21 novembre 1921 venne inaugurata nell'atrio del Palazzo di Giustizia – per volontà del locale Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e Procuratori – una targa commemorativa con busto realizzata dallo scultore Silverio Montaguti, raffigurante Giordani in vesti militari. Sotto il busto in bronzo dell'avvocato fu posta quest'iscrizione: «A GIVLIO GIORDANI / AVVOCATO E SOLDATO / MVTILATO DELLA GRANDE GVERRA / VITTIMA DI FEROCE ODIO DI PARTE». Qualche anno dopo, il 22 novembre 1925, furono inaugurati nella sala del Consiglio Comunale – con un discorso del cugino Ferdinando, allora assessore all'economato – un busto ad opera di Guido Calori ed una lapide, che riportava la seguente epigrafe: «GIULIO GIORDANI / DUE VOLTE COMBATTENTE E DUE VOLTE MARTIRE / DEL DESTINO D'ITALIA / MUTILATO DI GUERRA / VINDICE DELLA SANTA VITTORIA / FU COLPITO IN QUEST'AULA CONSIGLIARE DEL COMUNE / MA RISORSE NEL CIELO DELLA PATRIA / PER BENEDIRE ALLA RISCOSSA DELLA ROMANA VIRTÙ / PER VIVERE ETERNO NELLA LUCE DELLA SUA GLORIA». Una lapide fu poi murata in corrispondenza della sua abitazione in via Guerrazzi, recante una semplice iscrizione: «QUI ABITÒ / NEL DOLCE AMORE DEI SUOI / GIULIO GIORDANI / IL MARTIRE. / DI QUI USCÌ ALL'ULTIMO SACRIFICIO / XXI NOVEMBRE MCMXX».

In occasione del sesto anniversario dalla scomparsa, la vedova Cesarina (detta “Rina”) fece dono al Museo Civico del Risorgimento di alcuni oggetti appartenuti al defunto, che furono subito organizzati in una vetrina apposita: la giubba grigioverde da bersagliere fregiata, tra le altre, dalla Medaglia d'Argento al Valor Militare e dalla Croce al Merito di guerra; la maglia di lana indossata durante l'assalto alla Trincea delle Frasche; il berretto da capitano dei bersaglieri; la sciabola con cinturino da ufficiale; un suo ritratto in divisa; la protesi della gamba amputata. Si segnala infine che nel 1934 la Heimwehr, un gruppo paramilitare di estrema destra austriaco, decise di rinominare la sua sede di Vienna, sita in un edificio popolare di proprietà del Comune, da “Matteottihof” a “Giordanihof”, murando quindi una lapide che recitava: «GEMEINDE- / DEPUTIERTER / ADVOKAT / GIULIO / GIORDANI / SCHWERINVALIDE / IST IM GEMEINDERAT / IN BOLOGNA AM / 21. NOVEMBER 1921 [sic] / VON MARXISTEN / ERSCHOSSEN WORDEN» (trad. it.: «Consigliere comunale / avvocato / Giulio / Giordani / grande invalido / nel Comune di Bologna / il 21 novembre 1921 [sic] / fu ucciso / dai marxisti / a colpi d'arma da fuoco»).

Andrea Spicciarelli