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Corpi di spedizione italiani durante la guerra civile russa 1918-1920

1 Agosto 1918

Schede

L'uscita dal conflitto della Russia a seguito della rivoluzione d'ottobre fu un evento scioccante all'interno del panorama militare e politico della Grande Guerra. L'uscita immediata dal conflitto della nuova Russia bolscevica era uno dei punti fermi del programma politico di Lenin che vedeva giustamente più urgente l'assestamento politico interno al neonato governo e l'annientamento delle forze "bianche" d'opposizione rispetto ad un prosieguo della guerra che nessuno, esercito in primis, voleva continuare. Nonostante la presenza di Trotsky al tavolo di pace  a Brest Litovsk (gennaio-marzo 1917), le condizioni imposte dagli Imperi centrali alla Russia furono pesantissime ma vennero, almeno inizialmente, accettate per il conseguimento di obiettivi più importanti dal punto di vista della politica interna.

La Russia dovette rinunciare ad ogni rivendicazione territoriale sulla Finlandia, e sulle neo-nate, sotto l'egida tedesca, repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania), nonchè sulla Bielorussia e sull'Ucraina. Vennero create due nuove monarchie: in Lituania e nel Ducato Baltico Unito; come governanti vennero nominati degli aristocratici tedeschi. Il trattato affermava che "Germania e Austria-Ungheria intendono determinare il futuro destino di questi territori in accordo con le loro popolazioni." Quasi tutti questi territori vennero in realtà formalmente ceduti alla Germania, che intendeva trasformarli in proprie dipendenze economiche e politiche.

Per le potenze dell'Intesa sorse immediatamente un problema rilevante. La possibilità che l'esercito tedesco schierato sul fronte orientale potesse trasferirsi in massa sugli altri fronti, in particolar modo su quello occidentale, ago della bilancia del conflitto, rappresentava un vero e proprio pericolo: il venir meno di un apporto dell'esercito russo era un problema a cui dover sopperire al più presto, anche con l'invio di truppe. Un altro pericolo era assillante: la potenziale interruzione della Transiberiana, arteria fondamentale per i rifornimenti e il commercio dei paesi dell'Intesa attraverso i porti sul Pacifico della Russia quali Vladivostok.
Queste preoccupazioni si aggravarono ulteriormente con il deflagrare della guerra civile russa fra Rossi e Bianchi, e con tutte le fazioni nazionalistiche locali che si divisero fra gli opposti schieramenti.
Con una decisione collettiva gli alleati inviarono in punti strategici della Russia, in particolar modo porti e snodi ferroviari della Transiberiana, contingenti di truppe. La posizione di queste truppe era favorevole allo schieramento bianco dei Menscevichi, in contrasto con i rossi bolscevichi rei, agli occhi degli ormai ex alleati, di un abbandono del teatro di guerra europeo e del conseguente favoreggiamento della Germania.

Anche il Regno d'Italia si impegnò a fornire truppe per questi presidi in Russia. Già nell'agosto 1918 un contingente italiano partì da Newcastle in Inghilterra e, attraverso il mare di Norvegia, il mare di Barents e il mare glaciale artico, arrivò a Murmansk, nella regione della Murmania, nell'estremità nord occidentale della Russia. Il Contingente italiano, comandato dal colonnello Sifola, era composto dal 4º battaglione del 67º reggimento fanteria, dalla 389ª compagnia mitragliatrici, dalla 165ª Sezione Carabinieri reali, e da un reparto del Genio, per un totale di circa 1.350 uomini. Già durante il viaggio, che terminò il 2 settembre, morirono 15 soldati, colpiti dalla spagnola.
Il contingente italiano in Murmania non fu l’unico. Non lontano da Murmansk, a Kola, agiva la "Colonna Savoia", della forza di una compagnia, che fu attiva in loco dal 5 aprile 1919, muovendosi  verso sud, attaccando ed occupando il 4 maggio prima Ozosovero, proseguendo poi il 21 in direzione delle cittadine di Medveja, di Gora e di Povienetz in mano ai bolscevichi.
Contemporaneamente un altro corpo di spedizione italiano agiva nella zona di Vladivostok. Sfruttando la concessione di Tientsin, in mani italiane dal 1902 fin dalla partecipazione del Regno alla pacificazione della Cina durante la Ribellione dei Boxer, fu inviato in zona un piccolo contingente al comando del colonnello Fossini Camossi, costituito da un battaglione di fanteria (composto in buona parte da ex prigionieri di guerra austroungarici di madrelingua italiana che avevano giurato fedeltà all’Intesa), da una sezione di Carabinieri reali, e da una sezione di artiglieria da montagna; giunse a Vladivostok il 17 ottobre 1918, inquadrato in una divisione cecoslovacca, anche questa composta da ex prigionieri di guerra austro ungarici.
Anche questo contingente partecipò a diversi scontri con i bolscevichi occupando il 17 maggio 1919 Rubenskey ed in particolar modo contribuendo alla difesa della testa di ponte del fiume Leiba ad Alexejevska il 1° giugno.

Vi furono altre esperienze militari italiane in Russia a seguito dei Bianchi, come quella del generale Achille Bassignano, aggregato all’armata del generale Denikin, uno dei principali capi militari bianchi della zona dei fiumi Don e Kuban. Bassignano si trovava già in Russia dal 1916 per sovraintendere all’arruolamento di prigionieri di guerra austroungarici irredenti in nuovi reparti combattenti. Si trovò così a svolgere questa sua attività presso le forze bianche di Denikin.

In maniera del tutto simile un altro gruppo di lavoro più che altro diplomatico di ufficiali italiani si trovava a sua volta nel Caucaso in quella che sarà nota come la Missione italiana in Transcaucasia del colonnello Melchiade Gabba, ospite della neonata repubblica di Georgia. Qui la situazione politica e le realtà locali molto complesse furono decisamente difficili da gestire per la piccola missione italiana.

Tutte le missioni militari italiane in Russia terminarono il 9 agosto 1919, quando furono richiamati in patria tutti i contingenti italiani dal Governo Nitti. Il lungo viaggio di rientro durò per alcuni fino al maggio 1920.

I dati sulle perdite italiane dei corpi di spedizione non sono mai stati chiariti del tutto.

Di Giacomo Bollini