Pio Borgia, superstite dell’eccidio

Scheda

Il 29 settembre 1944 militari tedeschi, di quelli col 44 sulle mostrine, prelevatomi da Casone di Pioppe, dove abitavo, mi portarono a Bocca di Rio. Il giorno successivo, con molti altri, quasi tutti conoscenti e amici, ci rinchiusero nella chiesa di Pioppe. I nazisti dicevano di cercare i “banditi” e ci perquisirono accusandoci di essere armati; alla fine ci trovammo tutti senza orologio e portafogli. Pare impossibile che la nostra chiesa fosse diventata una prigione; molti pregavano davanti agli altari e alle statue dei Santi; altri, benché stanchi, non azzardavano sedere in terra, parendogli di mancare di rispetto al luogo consacrato. Alla fine lo stato d’animo, le lunghe ore di digiuno e di sete, fiaccarono anche i più vigorosi, e ci sdraiammo ovunque, scomposti e ansiosi. Naturalmente si parlava molto e si pensavano tante cose, del nostro destino e delle famiglie.
Il 1° ottobre vennero a dividerci in due squadre: gli abili al lavoro e gli inabili. Io ero tra i secondi, in totale una cinquantina.
Ci avviarono verso la canapiera, e ci si guardava stupiti perché non capivamo la ragione di andare in quel luogo; molto panico si impadronì di noi quando ci fecero levare le scarpe. Un primo gruppo di circa venti fu fatto schierare sul ciglio della “botte” dalla parte del muro, poi, a un ordine del comandante, li sterminarono a colpi di mitraglia.
I rimasti furono obbligati a gettare i cadaveri dei massacrati dentro la “botte”, che era quasi asciutta e l’acqua del fondo fangosa e bassa. Poi anche noi, in righe di tre, fummo fucilati sempre all’ordine del comandante, che ogni volta di scatto alzava la mano, un po’ di fianco al plotone. Ci si vedeva poco, era quasi sera e quando mi misero in fila, tenni ben fisso lo sguardo sul comandante, attento a non sbagliarmi. Appena lo vidi che accennava ad alzare la mano, mi lasciai cadere a terra, illeso. Mi buttarono dentro la “botte” in mucchio con i cadaveri; i nazisti ci scaricarono addosso altri colpi di mitraglia e fucile, scagliarono molte bombe a mano che tra scoppi e bagliori sconvolsero la catasta dei cadaveri; rimasi ferito alla mano destra e alla coscia sinistra.
Quando finalmente fui ben certo che se n’erano andati, era ormai buio pesto, una sera nebbiosa e umida; mi riuscì di aggrapparmi per la griglia della “botte”. Più volte dovetti provare e riprovare a tirarmi su, aiutandomi solo con la mano e la gamba non ferite, col fiato mozzo, terrorizzato, e mi pareva di non essere ancora salvo, prigioniero dell’acqua e dei cadaveri dalle membra irrigidite tra i quali ripiombavo dopo ogni sforzo infruttuoso. Alla fine potei venire fuori. Mi trascinai fino a una casa vicina, spesso prendendo fiato steso in terra, senza voltarmi mai a guardare la “botte”.


Renato Giorgi, "Marzabotto parla", Milano-Roma, Venezia, Marsilio editori 1991
[MP]
Note
1
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