Salta al contenuto principale Skip to footer content

Vetrata nella basilica di San Petronio

1867

Schede

Negli anni 1860-61, il critico d’arte, architetto e accademico Camillo Boito, pubblicò due articoli intitolati: “Due finestroni di Giuseppe Bertini (di cui uno in S. Petronio)”. L’autore stava portando avanti un programma di visite agli studi degli artisti lombardi, quando ebbe modo di vedere nella bottega di Giuseppe Bertini (1825-1898) due vetrate: una, ancora in lavorazione, per l’edificio gotico della cattedrale di Glasgow e l’altra (appena terminata) per la chiusura della cappella dedicata a Sant’Abbondio, la prima della navata sinistra della basilica di S. Petronio. L’autore, dopo aver sottolineato la bellezza dei vetri del Bertini, precisò che quelle vetrate non erano semplici prodotti dell’industria, ma opere d’arte vetraria. Giuseppe aveva appreso la capacità di “produrre i vetri dipinti a fuoco e trasparenti all'uso antico” dal padre Giovanni Battista, fondatore (con Luigi Brenta) della ditta “Bertini, Brenta & C.” del 1829. Egli, a differenza del padre, non si accontentava però di riprodurre sul vetro i disegni altrui, ma preferiva realizzarli secondo il suo estro: era un’artista validissimo con “mente colta, giudizio acuto, vasta fantasia, sicurezza e correzione grande di maniera”, come definito da Boito. Quando Giuseppe e suo fratello Pompeo, andarono a lavorare, seppur giovanissimi, nella bottega del padre, la ditta aveva già cambiato nome in “Fratelli Bertini”. Trattandosi di una ditta molto stimata in Italia e all’estero, ottenne numerosi incarichi di prestigio: sei vetrate per la cattedrale di Como, la vetrata che raffigura San Vittore a cavallo per la basilica di Varese, le vetrate per la facciata del duomo di Milano e, soprattutto, l’ampio finestrone per San Petronio a Bologna.

Questo ultimo è diviso verticalmente in cinque scomparti e in due orizzontalmente. Nell’articolo il critico d’arte elenca le figure che sono rappresentate nei cinque scomparti superiori: san Petronio, sant’Abbondio, san Proto, san Domenico e san Francesco, evidenziando la bravura dell’autore, scrisse: egli “seppe tenersi, così nei bellissimi ornati come nelle figure, ad un fare semplice e casto, senza cascare però nell’istecchito e nell’affettato”. Si può notare subito una stonatura nell’elenco dei santi: la presenza di san Proto al posto di san Floriano, come dicono invece i vari studiosi dell’arte bolognese. Non sappiamo se l’illustre critico d’arte commise un errore di interpretazione della quinta figura (san Proto). Oppure se originariamente Bertini aveva rappresentato proprio il santo citato, per poi correggerlo e farlo diventare san Floriano. Chi è san Proto? Perché dovrebbe essere ricordato nella più importante basilica di Bologna? Proto nacque a Porto Torres, in Sardegna, In età adulta si convertì al Cristianesimo e diventò un presbitero. Patì la persecuzione dei cristiani voluta da Diocleziano. Proto, insieme al diacono Gianuario fu imprigionato e fatto sorvegliare da un soldato romano di nome Gavino, il quale si convertì al cristianesimo dopo aver visto i due cristiani resistere alle torture cantando lodi al Signore. Dopo la fuga organizzata dallo stesso Gavino, i tre furono catturati e giustiziati. Le loro teste furono gettate in mare insieme ai loro corpi. Una volta ripescati, i loro resti furono sepolti negli ipogei di Balai Vicino. Le reliquie di Proto sono tuttora conservate assieme a quelle degli altri due nella cripta della basilica a Porto Torres a loro dedicata. Ora, considerato che non esistono fatti che leghino la città di Bologna a san Proto, è da ritenere che Camillo Boito molto probabilmente si sia sbagliato nel segnalare il nome di questo santo accanto al titolare della cappella (sant’Abbondio) e a tre santi protettori della città (san Petronio, san Francesco e san Domenico). Di contro però dobbiamo dire che anche su San Floriano martire si nutrono molti dubbi sulla sua esistenza ed anche sulla effettiva relazione con la città di Bologna, nonostante sia stato dichiarato nel XIV secolo protettore della città, insieme a San Petronio, San Procolo, San Domenico e San Francesco (altri includono anche Santa Caterina Vigri da Bologna). Quindi la questione merita ulteriori approfondimenti. Nei comparti in basso della vetrata troviamo, fiancheggiata da quattro angeli tutti vestiti di bianco, la Madonna seduta in trono, coperta da un manto azzurro a disegni d’oro. Ella tiene sulle ginocchia il Bambino “ed è figura sì gentile, sì pudica, sì amabilmente bella, che un piccolo disegno può mostrarne appena i delicati pregi”. La vetrata della cappella di Sant’Abbondio è famosa per due leggende che si tramandano senza che ci sia stato mai un riscontro di verità: la prima leggenda narra che proprio in questa cappella il 24 febbraio 1530, Carlo V sostò per indossare il manto imperiale prima di essere incoronato. La seconda leggenda, nata anch’essa dalla credenza popolare, sostiene che proprio nell’altare di questa cappella fu celebrata la prima Santa Messa il 4 ottobre 1392, quando la basilica era ancora in costruzione. La vetrata, eseguita da Giuseppe Bertini, direttore della Pinacoteca di Brera e del museo Poldi Pezzoli di Milano, fu commissionata per completare il restauro, eseguito su disegno dell’ing. Albino Ricciardi.

I lavori terminarono il 4 ottobre 1867 con la riapertura al culto della cappella. Nel 1939, tra le opere di protezione antiaerea approntate dalla Soprintendenza per i Beni Monumentali di Bologna, rientrò l’opera di messa in sicurezza delle più preziose vetrate istoriate che ornano le cappelle della Basilica. Furono smontate soltanto le vetrate antiche (del ‘400 e del ‘500): la vetrata della cappella Bolognini (IV cappella dedicata ai Re Magi), quelle della cappella Vaselli (V cappella, dedicata a San Sebastiano) e quelle della cappella Baciocchi (VII cappella dedicata a San Giacomo). Nella nave destra furono smontate la vetrata della cappella dei Notai (IV cappella) e quella della cappella Saraceni (IX cappella, dedicata a Sant’Antonio). A seguito della rimozione, le vetrate furono riposte all’interno di casse e depositate in un ambiente sotterraneo interno alla Basilica, dove rimasero fino a conclusione del conflitto. Non rientrò nel novero delle opere di messa in sicurezza l’ottocentesca vetrata di Giuseppe Bertini della cappella dedicata a Sant’Abbondio, in quanto considerata opera moderna. Nell’incursione aerea del 29 gennaio 1944 lo scoppio delle bombe cadute nel vicino Archiginnasio causò danni di tale gravità alla vetrata da doverne richiedere un restauro integrativo. I lavori furono affidati inizialmente a Guido Polloni per essere poi portati a termine da altro restauratore locale.

Giorgio Galeazzi

Testo tratto da 'La vetrata di Giuseppe Bertini nella basilica di San Petronio', in 'La torre della Magione - NOTIZIARIO DEL COMITATO PER BOLOGNA STORICA E ARTISTICA', Anno XLIX – N. 1, Quadrimestrale Gennaio-Aprile 2022. In collaborazione con il Comitato per Bologna Storica e Artistica.