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Una burla di Gioachino Rossini

1824

Schede

La gaia vita dei petroniani dell'ottocento, che ai nostalgici del passato fa oggi l'effetto di un bene irrimediabilmente perduto, e che si svolse, specie nella prima metà del secolo, fra feste e spettacoli, fra serate artistiche e luculliane imbandigioni, ebbe spesso a protagonista ed animatore impareggiabile Gioachino Rossini. Infatti, per la sua innata giocondità, per il suo carattere di impenitente burlone e per la naturale predisposizione ai piaceri della tavola, il celebre musicista apparve sempre, meglio di ogni altro, indicato a capeggiare le allegre brigate, giacchè nessuno meglio di lui sapeva avvivare conversazioni e conviti con i caustici sali di una inesauribile arguzia e nessuno meglio di lui era capace di architettare burle, di immaginare canzonature e di condurle a compimento con la cauta furberia di un diplomatico o con una improntitudine veramente meravigliosa.

Per questa ragione attorno a lui si radunava una schiera di buontemponi sempre in vena di godere e di divertirsi, ligi sempre ai cenni di così straordinario condottiero, sempre pronti a cercar pretesti per trascorrere qualche ora di gioiosa spensieratezza o per esercitare il loro estro giocondo alle spalle del prossimo. Nell'autunno 1824, ad esempio, durante un breve soggiorno del Rossini a Bologna, quella temibile accolta di capi scarichi, prese di mira un buon diavolo di maestro di musica: Carlo Cappelletti, che da tempo si agitava per far rappresentare al teatro Comunale una sua opera intitolata: La Capanna moscovita. Questo Cappelletti, era tutt'altro che un'aquila e chi aveva in precedenza ascoltato i principali pezzi del suo melodramma, si era facilmente accorto che tutta la scienza del compositore consisteva nel legare insieme alla meglio arie e motivi già noti per gabellarli come farina del proprio sacco. Ciò nonostante però, l'opera aveva trovato un impresario che si era assunto l'impegno di rappresentarla nel nostro massimo teatro, ma è facile supporre che l'autorevole influenza del Rossini non fosse estranea ad una così insospettata risoluzione. Le circostanze favorevoli intanto, e il tipo stesso del Cappelletti, destinato fatalmente a servire di zimbello ai propri simili, suggerirono alla gaia compagnia l'idea di una burla in grande stile e tutto fu organizzato perchè l'annunciata Capanna moscovita ottenesse un successo clamoroso. Fino dalla prima rappresentazione infatti, lo scarso concorso del pubblico assecondò le mire degli implacabili canzonatori, e il più che modesto spartito ebbe, ad ogni scena, ostentati consensi e chiassose approvazioni. Gaetano Fiori poi, che, amicissimo del Rossini, era certamente della partita, pubblicò con la massima serietà nella sua effemeride: Teatri, Arte e Letteratura, una breve cronaca dello spettacolo, avvertendo che la musica piaceva e che fra gli esecutori primeggiava per la maestria del canto e per la dolcezza della estesa voce, la signora Corri-Paltoni, la quale eseguiva ottimamente il bellissimo rondeau dell'opera. Ciò contribuì a sconvolgere lo scarso cervello dell'autore che, prendendo per oro di zecca tutto l'orpello che gli era ad ogni sera abbondantemente largito, s'insuperbì ancor più, si gonfiò, smarrì il giusto senso delle cose ed esaltando le proprie virtù musicali, volle dare perfino spettacolo di sè rubando il mestiere ai suoi interpreti ed assumendo, per la sua beneficiata, la parte del buffo. Non si va lontano dal vero a credere che anche come cantante egli dovette farsi allegramente compatire. Tutta Bologna seguiva con curiosità l'amenissima vicenda e molti si recavano a teatro per il gusto di assistere alle gesta della indomabile claque, la quale, conscia della sua missione, non lasciava adito alla minima manifestazione di onesta sincerità. D'altra parte i più strampalati progetti venivano proposti per esaltare il Maestro, ed un gruppo di ammiratori stava già preparando un pittoresco corteo in mezzo al quale doveva prendere posto un magnifico carro trainato da due paia di buoi e disposto per accogliere, come in una apoteosi, il trionfatore. Attorno al carro si sarebbero inoltre raccolti i coristi per cantare l'inno di circostanza, e con la banda e le fiaccole avrebbero dovuto percorrersi le principali vie della città. Ma per ragioni non ben precisate, che possono forse identificarsi in un ordine dell'autorità, desiderosa che lo scherzo non pigliasse ancor più vaste e quindi pericolose proporzioni, l'idea del corteo fu messa senz'altro a dormire e la compagnia rossiniana dovette perciò accontentarsi di festeggiare il Cappelletti con una solenne incoronazione e con una lautissima cena. Il burlesco simposio ebbe luogo nella sala di una delle locande bolognesi più rinomate e vi presero parte trenta commensali. Alla destra del Cappelletti, che mai sospettò, nella sua preadamitica ingenuità, di essere da tanti giorni l'oggetto di una colossale canzonatura, sedette Gioachino Rossini, il quale si dimostrò all'altezza della umoristica situazione e fu, per scherzi, trovate e parodie gustosissime, di una comicità travolgente. Con buffonesca solennità egli pose in testa al suo commosso e gongolante collega, che non capiva più in sè dalla gioia, una corona di sedani intrecciati con due teste di tordo, in funzione di gioielli, mentre gli intervenuti applaudivano e urlavano formidabili evviva. Poscia, nella gara dei brindisi e dei versi di occasione, si rivelò, sia pur modestamente, come verseggiatore dialettale, declamando questa breve zerudella, che la diligenza del cronista Rangone ha voluto tramandare alla posterità:

Al mèster Rossini a Caplètt / dòp d'avèirel incurunà / Zerudèla on e dû, / An j è carra e s'an j è bû, / Zerudèla dû e tri / An j è biulch, an j è sturnì. / Fèin j evviva a sta curòuna / Ch'è in sta tèsta buzzaròuna / Ch' fa dla musica acsè bèla, / Toch e dai la zerudèla.

La zerudella, specie per la fine ironia di quella tèsta buzzaròuna, sollevò altissimi clamori e segnò il punto culminante del piacevolissimo simposio, al quale, la sera appresso, come degna conclusione, segui, dopo la recita dell'opera, l'accompagnamento del festeggiato alla sua abitazione, fra nuove acclamazioni e nuovi frenetici applausi. Povero Cappelletti! Al colmo della felicità per le feste ricevute, per i pranzi e le cene date in suo onore e per il guadagno insperato di centocinquanta scudi, egli partì, di lì a poco, alla volta di Venezia, ove la sua Capanna moscovita stava per rappresentarsi. Era certo di ottenere un nuovo trionfo, ma all'ombra di San Marco la spregiudicata giovialità rossiniana non aveva purtroppo alcun potere e, per un brusco richiamo alla realtà, dopo l'ebbrezza della vittoria, egli subito conobbe il crudo strazio della sconfitta.

Testo tratto da: 'Una burla di Gioachino Rossini', in Oreste Trebbi, 'Cronache della vecchia Bologna', Compositori, Bologna, 1937.