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Ultima cena

sec. XIX

Schede

L’incredibile manufatto, utilizzato nella processione introduttiva al rito della Domenica delle palme (in cui la Chiesa ricorda il trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme in sella ad un asino, acclamato dalla folla, che lo salutava agitando rami di palma; cfr. Gv 12,12-15), è principalmente costituito da un ricchissimo intreccio floreale (in cui sono distinguibili numerosi mazzi di piccoli garofani; il garofano, dal greco “fiore di Dio”, nella simbologia cristiana è riferito alla Passione di Gesù: una leggenda medievale, infatti, narra di come le lacrime della Madonna, alla vista del figlio crocifisso, cadendo a terra mutarono trasformandosi, appunto, in garofani) che dà vita – in progressione verticale – a tre autentici capolavori di “scultura”, realizzati anch’essi intrecciando le foglie di palma: Cristo nell’orto di Getsemani, l’Ultima Cena e Cristo risorto. Al sommo del ramo è posto lo stemma papale alle armi di Pio IX – il pontefice per cui fu realizzato – e, dal lato opposto, l’iscrizione dedicatoria fissata su di un nastro di taffetas verde (il papa, infatti, è vescovo di Roma). Si tratta di un manufatto artigianale indubbiamente raro – realizzato con l’antica tecnica del “parmureli” di Bordighera – di cui in diocesi non si conoscono altri esemplari. La tradizione dei “parmureli” è fatta risalire ad un episodio (non si sa bene quanto leggendario) che avrebbe conferito a Bordighera il privilegio di fornire annualmente al pontefice le palme pasquali.

Il centro di piazza San Pietro è indicato dall’obelisco, originariamente posto sulla spina del circo di Nerone. Di granito rosso, realizzato in un unico blocco, è il secondo a Roma per altezza dopo quello lateranense e il solo a non avere iscrizioni geroglifiche, ma caratteri latini. Ricordato fin dal tempo di Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (sec. I d.C.), era stato eretto ad Eliopoli in Egitto in onore del Sole, dal faraone Nencoreo (oggi identificato con Amenemhet II, 1985-1929 a.C.) come voto per aver recuperato la vista. Ridotto in altezza e trasportato nel foro di Giulio ad Alessandria da Cornelio Gallo, primo prefetto d’Egitto, nel 40 d.C. l’imperatore Caligola lo volle a Roma, facendolo arrivare su una nave riempita di lenticchie per evitare che si spezzasse, e lo innalzò nella spina del suo circo poi divenuto circo di Nerone, localizzato sul lato sinistro dell’antica basilica costantiniana, nell’area corrispondente all’attuale piazza dei Protomartiri Romani. Qui rimase per tutto il Medioevo e oltre, esercitando una forte attrazione per l’alto simbolismo che vi si leggeva: monumento legato al martirio di Pietro ma anche al mondo romano ed a Giulio Cesare in particolare, poiché si credeva che nella sfera di bronzo sulla cima si conservassero le sue ceneri. Sisto V, riprendendo un desiderio che era già stato dei suoi predecessori, ordinò che venisse spostato al centro di piazza San Pietro e dopo aver esaminato diversi progetti, il difficile compito fu affidato all’architetto Domenico Fontana, che presentò al papa un modello di legno contenente una griglia di piombo, facsimile dell’obelisco, a dimostrazione di poter abbassare e alzare facilmente il monolite. Fabbricate solide fondamenta per accoglierlo, i lavori preparatori durarono sette mesi e Fontana, coadiuvato da Maderno, per trasferirlo dovette demolire alcune case e sfondare la rotonda di Sant’Andrea. Il 30 aprile 1586 ebbe inizio la prima parte dell’impresa alla quale parteciparono 907 uomini, 75 cavalli e 40 argani. Il 10 settembre l’obelisco fu sollevato e messo in posizione verticale, 6 giorni dopo appoggiato alla base e il 26 benedetto e consacrato. Si narra che durante la complessa operazione di sollevamento del monumento, le robuste funi impiegate giungessero al punto di rottura. L’ordine perentorio “Aiga ae corde!” (acqua alle corde!) impartito dal capitano marittimo Giovanni Bresca, che assisteva alla manovra, permise il definitivo assestamento dell’obelisco pericolosamente in bilico. Sisto V conferì al Bresca, ed alla sua progenie, il privilegio di fornire i rami di palma necessari per l’annuale processione della domenica precedente la Pasqua. Da allora varie famiglie di Bordighera hanno onorato l’antico privilegio. Pare che a queste opere di fattura squisitamente barocca vi si fossero dedicate, in un primo tempo, le suore benedettine camaldolesi. In seguito, questa attività venne ripresa da molti artigiani dell’intreccio e da loro personalizzata; “i parmureli” di Bordighera, tuttavia, mantennero quasi inalterato lo stile originale. Il curioso intreccio del Capitolo imolese, opera di un raffinato e fantasioso artigiano bordigotto, è databile agli anni di pontificato di Pio IX (1846-1878). Si potrebbe anche ipotizzare che il ramo sia giunto a Imola al seguito del papa, e che questi l’abbia poi donato al Capitolo della Cattedrale in occasione del suo pastorale viaggio nelle Romagne del 1857 – anche se nelle cronache capitolari non v’è traccia della munificenza papale – elemento che consentirebbe di ritenere il manufatto eseguito entro e non oltre il 1857.

Bottega bordigotta; sec. XIX, Ultima Cena su ramo di palma intrecciato alle armi di papa Pio IX, foglia di palma (phoenix) intrecciata, taffetas di seta, cm 110 x 25. Imola, Capitolo della Basilica Cattedrale di San Cassiano. Iscrizioni e stemmi: sul nastro: A SUA SANTITÁ IL SOMMO PONTEFICE sulla parte alta del ramo lo stemma di papa Pio IX: inquartato: leone rampante coronato posto su palla (1-4), due bande alternate (2-3); lo scudo è caricato del triregno con le chiavi.

Bibliografia essenziale: MARCO VIOLI, Dal bello al vero, «Il Nuovo Diario Messaggero», 14 marzo 2015, p. 30. Testo tratto da "Convivio", catalogo della mostra a cura di Marco Violi, Imola, CLAI, 2017.