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Trionfo della Vergine

1841 | 1846

Schede

Il gruppo colossale raffigurante la “Vergine imperatrice del mondo” venne commissionato a Cincinnato Baruzzi nel 1841, dopo che Carlo Alberto di Savoia, che aveva incaricato lo scultore, di passaggio a Torino per collocare la Nerina nella collezione del conte Bertalazzone d’Arache, di proporgli un soggetto per una eventuale commissione, ebbe modo di ricevere la sua proposta. Nello studio di Pelagio Palagi, Baruzzi modellò un piccolo bozzetto in creta raffigurante la Vergine col Bambino in trono che piacque molto al sovrano, noto per la sua predilezione per i soggetti religiosi. Il modello, identificabile con quello oggi esposto presso il museo diocesano di Imola, che porta incisa sul retro la data “30 giugno 1841”  (Violi), era solo il primo passo di un ambizioso progetto che si concretizzò nei mesi successivi, fino a prendere la forma di un gruppo colossale, alto 10 piedi, di cui la Madonna in trono costituiva solo un terzo del totale. Il gruppo, messo a punto intellettualmente discutendo con amici e teologi, venne poi tradotto in descrizioni e disegni, tre dei quali conservati presso la Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, verosimilmente provenienti dall’eredità Baruzzi.

Le descrizioni del progetto, pubblicate nel 1843 sui quotidiani o in forma di opuscoli dall’attraente veste editoriale, furono affidate alla penna di autori noti, come i poeti Felice Romani e Luigi Crisostomo Ferrucci, che all’impresa dedicò esametri latini. Il gruppo nel suo complesso doveva essere composto da tre livelli sovrapposti. Il più alto raffigurava la Vergine seduta in trono con il Bambino benedicente sulle ginocchia, sostenuta da una colonna di nubi e dai simboli alati dei quattro evangelisti. Il secondo livello era costituito dal globo terrestre su cui poggiava la nube, circondato da una fascia composta da formelle polilobe dalle incorniciature gotiche, alternate a figure di angeli con strumenti musicali. Le formelle in un primo momento avrebbero dovuto contenere otto storie della vita della Vergine, successivamente ridotte a quattro, alternate ad altrettante iscrizioni latine in rapporto con gli evangelisti ad esse corrispondenti. Il globo poggiava sui quattro monti di Gerusalemme, ornati di erbe e fiori riferiti al Cantico dei Cantici e quindi era sollevato al di sopra di un mare in tempesta entro il quale erano immersi quattro esseri urlanti (i vizi o i nemici del cristiano). La base era costituita da una cancellata in stile gotico con quattro pilastri poligonali angolari. Sui pilastri erano inginocchiati altrettanti angioletti in preghiera. Al centro delle ringhiere erano collocati stemmi sabaudi e motti celebrativi della pietà religiosa di Carlo Alberto. Il gruppo in realtà non andò mai oltre la prima fase esecutiva e la realizzazione del modello in formato superiore al reale si limitò alla figura della Vergine in trono con gli Evangelisti. I lavori, iniziati di getto nel 1841 e portati avanti a velocità sostenuta nell’anno successivo, quando Baruzzi rinuncia a partecipare all’esposizione di Brera e rallenta l’esecuzione della Venere dormiente per Ambrogio Uboldo per dedicarsi al Trionfo della Vergine, subirono una battuta d’arresto nel 1843. In questo anno un incidente grave, occorsogli durante la lavorazione del modello in gesso, lo tenne immobilizzato per alcuni mesi, facendo addirittura circolare la notizia della sua morte. Il modello era quasi pronto nel maggio 1842 e venne presentato all’Accademia di Bologna riscuotendo un grande successo. Lo stesso giudizio positivo fu condiviso dalle persone di cultura che ebbero modo di vedere il modello. Tra queste il cardinale Carlo Oppizzoni, nominato tutore della commissione, ma anche il nipote di questi, il conte Barbavara di Torino, futuro senatore del regno, Pietro Giordani e Luigi Salina. Nel novembre 1843 i formatori Giovanni e Filippo Malpieri provvidero a realizzare il gesso del modello.

Portato a Torino nella primavera del 1844 il modello piacque al re ma incontrò, per i costi elevati, l’opposizione del ministro delle finanze che bloccò i lavori e istituì un’apposita commissione per circoscrivere la spesa. L’opera venne così limitata al solo gruppo della Vergine col Bambino ridotto di scala, da tradurre in marmo di Carrara e non più di Pinerolo, come in un primo momento era stato pensato da Carlo Alberto per motivi nazionalistici. La lavorazione del nuovo modello impegnò lo studio per alcuni mesi nel 1844. Dopo i fatti di Curtatone e Montanara (maggio 1848) Baruzzi ricevette la visita di un misterioso intendente del re che lo invitava a sospendere la commissione per motivi legati alla situazione bellica ed economica. Il problema si riaperse nel 1859, quando alcune lettere di Baruzzi all’amico Silvestro Gherardi ricostruiscono le vicende del 1849 alla ricerca di un motivo che potesse giustificare la freddezza del dittatore Farini verso di lui e la richiesta di giubilazione che gli era stata diretta in Accademia. Alla ricerca di una causa che giusticasse l’atteggiamento ostile verso di lui lo scultore ricordò l’interruzione dell’incarico per i Savoia, per il quale rimanevano molti sospesi. In Accademia erano ancora conservati i marmi per l’esecuzione della statua e numerose rate gli erano già state versate in passato. Grazie alla mediazione del Gherardi e di altri amici influenti alla corte di Torino Baruzzi poté presentarsi in città nel luglio 1860 con un busto colossale in marmo del nuovo sovrano, Vittorio Emanuele II, per tentare di chiarire l’equivoco.

Si giunse ad una revisione del contratto, stipulando un accordo in base al quale lo scultore avrebbe eseguito due opere di soggetto profano, una Venere dormiente ed una Trasgressione, per il cui pagamento valeva in parte la somma già versata e si stabiliva il residuo. I marmi che non sarebbero stati utilizzati avrebbero dovuto essere rimandati a Torino. Il modello in gesso della scultura sacra rimase nello studio di Baruzzi in Accademia fino al 1860, quando venne trasferito nella chiesa di San Michele in Bosco, a Bologna. In questa collocazione, davanti al presbiterio della chiesa, la mostra una foto Poppi che ce ne restituisce l’aspetto integro, ben diverso da quello attuale. Dopo il trasferimento presso il seminario arcivescovile nella sede cittadina di Piazza dei Martiri il gruppo, collocato sullo scalone d’ingresso, fu colpito dai violenti bombardamenti che toccarono quella parte della città durante la Seconda guerra mondiale. Attualmente collocato nell’atrio del nuovo seminario presso villa Revedin, il gruppo è ridotto ai soli elementi essenziali della Madonna e del Bambino, seduti su un trono estremamente semplificato. La Vergine seduta poggia il piede destro su un suppedaneo in origine ornato da una cornice ad archeggiature gotiche trilobate e oggi sostituito da un parallelepipedo liscio. Le pieghe del manto ricadono più rigide e meno fluide di quelle della foto d’epoca e fanno pensare ad un intervento di restauro. La mano destra della Vergine, l’addome del bambino e il suo braccio destro presentano chiare tracce di rotture. Mancano completamente la raggiera inframmezzata da stelle e il trono dai vertici cuspidati. Una versione differente del primo progetto per la composizione è documentato da una immagine d’epoca, conservata presso la biblioteca comunale dell’Archiginnasio, che rappresenta un bozzetto con la Madonna col bambino in piedi sul gruppo del tetramorfo.

Antonella Mampieri

Testo tratto dalla scheda realizzata dall'autrice per il volume 'Cincinnato Baruzzi (1796 - 1878)', secondo numero della Collana Scultori bolognesi dell'800 e del '900, Bononia University Press, Bologna, 2014.