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Giuseppe Termanini

1769 - 1850

Scheda

La menzione più antica è negli Atti del 1816, che del Termanini ricordano quattro paesi esposti in accademia. A quella data contava quarantasette anni e poteva dirsi un veterano della pittura di paesaggio, vantando un alunnato, che si deve supporre già piuttosto lontano nel tempo, col Martinelli. Era un ecclesiastico: canonico e poi monsignore. Dal 1807, prima con un incarico provvisorio, subito dopo (22 gennaio 1808) stabilizzato, fungeva da economo e rettore del Collegio Jacobs, detto dei Fiamminghi: un compito nel complesso di non grande importanza, ma non di poca responsabilità nè di poca fatica che Termanini svolse fino all'8 agosto 1836, quando volontariamente si dimise. (Atti manoscritti del collegio Jacobs, ad annum). La sua presenza in accademia, continuativa sino alla fine degli anni '20, è all'insegna di una produzione minore e minima che non pare riscuotere grande interesse, nè sollecitare troppi consensi. Anche il breve elogio postumo di Masini minimizza alquanto: i suoi paesi "li faceva il venerando prelato per donarli a ricordo di sè a suoi amici, che moltissimi se n'ebbe per le sue belle e rare virtù".

La condizione semi professionale non gli impedì di diventare socio d'onore; e se, con ogni evidenza, rifuggì dalle grandi dimensioni e, ancor più, dal paese storico, è vero però che ebbe una produzione abbondante, diffusa e a suo modo variata. A riprova si può ricordare la 'performance' del 1828, quando in accademia si presentò con "n. 3 Tavole, dove in comparto si trovano n. 20 quadretti di paesi dipinti ad olio con diversi effetti di luce, sì di giorno che di notte, come d'incendi, calate di sole, ecc., non che n. 8 miniature posto in un solo quadretto di altrettante vedute di paesaggio pittoreschi" (Gazzetta di Bologna, 23 dicembre 1828). Diciassette erano i paesi esposti nel '30 (Gazzetta del 31 luglio); e molti ne segnalava poi, nel collegio dei Fiamminghi che il Termanini reggeva, la Guida del Bianconi. Accanto alle vedute si fecero apprezzare i notturni: "bellissimi" sono secondo Salvatore Muzzi i quadretti a lume di luna del '33 (Repertorio enciclopedico, 23 marzo). Ancora del Muzzi è il cenno maggiore di consenso fin qui reperito: "Selve, campi, scogliere, laghi, capanne, chiostri, mura, torri e quanto può render vario il dipinto di paesaggio, sia che figuri notturna l'ora, sia che la mostri diurna; e illuminata dal sole, o dalla luna, o da un fanale, o dall'aria serena: tutto suol trattare con prontezza questo reverendo cultore delle Arti". (La Farfalla, 18 novembre 1840). Le 'trouvailles' che il mercato antiquario propone con frequenza e i sette dipinti conservati fin dall'origine nella Galleria Davia Bargellini confermano l'ampiezza della produzione, insieme a buona cultura e varietà di interessi; meno consentono per ora di ricostruire un itinerario credibile e di precisarne il ruolo, che nondimeno si intuisce complesso e per più versi primario, sino alla soglia degli anni '40: e la dichiarata marginalità rispetto ai più celebri professionisti del paese storico non ne diminuisce in nulla le facoltà recettive per tutto il corso della lunga carriera.

Renzo Grandi

Testo tratto "Dall'Accademia al vero – La pittura a Bologna prima e dopo l'Unità d'Italia", Bologna, Grafis, 1983.