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Storia del motociclismo

1876 | 1952

Schede

Gli antenati della moto | Straordinario il contrasto fra il vecchio antenato, il triciclo, e la motocicletta moderna, con cui si realizzano delle velocità incredibili, quali i 290 all'ora della N.S.U. (Herz), e i 280 della B.M.W. (Henne) e della Gilera (Taruffi) nei trionfali tentativi di primato mondiale dal 1937 al 1951. Adesso il triciclo a motore ci è descritto con la degnazione che si concede alle cose morte, ma ai suoi tempi aveva riportato un autentico successo. Coi suoi cento chili di peso trasportava il passeggero a buona andatura e con maggior sicurezza delle automobili dell'epoca. Dei motori antichi aveva tutte le caratteristiche: accensione elettrica, raffreddamento ad aria, volano interno; non costituiva quindi soltanto una novità, ma rispondeva effettivamente alle esigenze del pilota, in quel tempo assai limitate. L'idea di un motociclo a due ruote, e di una bicicletta a motore, nacquero quasi contemporaneamente. Francia, Germania, Italia rivendicano infatti l'invenzione non solo dell'automobile, ma anche della motocicletta; ed effettivamente De Dion, Daimler, Bernardi, tradussero in realtà le loro aspirazioni pressoché nello stesso tempo. L'argomento, in Italia, non è nuovo e sovente si tentò di richiamare l'attenzione del pubblico su quanto dovrebbe formare oggetto di orgoglio nazionale, e non sempre i risultati furono inadeguati allo scopo. Se si può stabilire che il motore a scoppio è invenzione di Eugenio Barsanti, con la collaborazione di Felice Matteucci, anche il motore a carburante liquido ed a rapida rotazione, è di realizzazione italiana. Le versioni sulla priorità dell'invenzione, sono tuttavia discordi e anche la confusione delle date non aiuta troppo a chiarire le idee. Secondo una notevole corrente di studiosi la creazione è del prof. Enrico Bernardi nel 1880, dopo molti tentativi iniziati fin dal 1876. Il motorino, alimentato a benzina, conservato quale prezioso cimelio all'Università di Padova, funzionò perfettamente e venne brevettato nel 1883, perché il suo inventore volle maggiormente perfezionarlo prima di presentarne una descrizione all'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Effettivamente l'invenzione del prof. Bernardi apparve all'Esposizione di Torino del 1884, applicata ad una macchina da cucire; successivamente un altro esemplare della potenza di 1/8 di cavallo venne applicato ad una piccola bicicletta. Il congegno, gioiello di meccanica, nonostante le ridotte dimensioni, era completo in tutte le sue parti: funzionò a lungo e in occasione del primo Congresso Internazionale del motore a scoppio, svoltosi a Padova nel 1927, il figlio dell'inventore rivendicò la priorità dell'invenzione paterna. E' stato poi documentato che nel 1894 i motori dello scienziato circolavano nelle provincie di di Verona e di Padova, coprendo notevoli distanze e funzionando con sorprendente regolarità. I fautori di De Bernardi sostengono che Gottlieb Daimler, direttore della fabbrica di motori a gas Otto e Lengen, dopo le prime esperienze, ottenne nel 1884 un brevetto in cui indicava la radicale trasformazione del motore a scoppio iniziale, aggiungendoci nel 1885 dei dispositivi che lo resero adatto a impiegare, come carburante, petrolio e benzina anziché gas. Un primo modello del motore venne applicato nel 1885 ad una bicicletta che raggiunse una velocità di 17 chilometri all'ora.

L'invenzione di Murnigotti | Ma Giovanni Canestrini, nel 1939, se la memoria non ci tradisce, confutò queste tesi indicando nell'ing. Giuseppe Murnigotti il tecnico che aveva ideato e brevettato la prima motocicletta ed il primo triciclo con motore a scoppio. Questo fin dal 1879, e cioè un anno prima del brevetto dell'inglese Lawson, due anni prima dell'applicazione del motore al triciclo (non brevettata) del francese Delamarre-Deboutteville, e ben sei anni avanti del brevetto di Daimler che internazionalmente era considerato, unitamente a Benz, il papà della motocicletta e del triciclo. L'ing. Giovanni Canestrini, dopo ricerche e studi durante i quali fu aiutato dall'A.C.I. ed in modo particolare dal conte Alberto Bonacossa, sostenne brillantemente l'invenzione italiana, adoperandosi con energia per stabilire la posizione dell'ing. Giovanni Murnigotti nella storia delle applicazioni del motore a scoppio ai velocipedi e ai tricicli. I tedeschi rivendicano a Daimler la priorità dell'applicazione, che in alcune pubblicazioni si fa risalire al 1876 – scrisse il Canestrini – ma la realtà è che il primo brevetto di Daimler porta la data del 21 settembre 1885 ed il numero 171261, e descrive l'applicazione del motore ad un primitivo veicolo in legno, lontanamente somigliante ad un velocipede a quattro ruote. Di un anno posteriore, è il triciclo di Carlo Benz, il quale, sempre secondo la versione tedesca, sarebbe l'inventore dell'automobile. Per gli austriaci, invece, a Sigfrido Marcus risalirebbe il merito di avere ideato la prima vettura a motore a quattro ruote, fin dal 1875. E del Marcus, al Museo tecnico di Vienna, è in mostra un veicolo a motore, evidentemente ricostruito, così come è ricostruita la cosiddetta motocicletta di Daimler. Ma per Marcus non esiste alcun brevetto in materia; e può sembrare strano che su 38 brevetti, conseguiti dal costruttore, nessuno si riferisca all'automobile e datino solo dal 1883 quelli riferentisi ad una motore a gas. Più solide sono le rivendicazioni francesi. Esiste infatti -tra l'altro- anche un brevetto in data 24 gennaio 1860 di Leoir per un veicolo a 4 ruote mosso da un motore, che sarebbe stato costruito nel 1862. Successivamente si cita la applicazione di un motore a gas a un triciclo fatta dal costruttore Delamarre-Deboutteville in data 1881, ma il brevetto a nome di questo inventore risale in effetti al 12 febbraio 1884, e si riferisce ad un veicolo a 4 ruote con motore a combustione interna, brevetto inglese sulla possibile applicazione del motore a scoppio al triciclo ed al velocipede, e del 1885 -salvo ogni riserva- quello della cosiddetta motocicletta di Daimler. Per quel che riguarda l'Italia fino ad oggi - afferma il Canestrini nei suoi scritti – bisognava rimontare nel campo dell'applicazione del motore a scoppio nei veicoli alla realizzazione del Bernardi, il quale nel 1893 costruiva un motore ausiliario per bicicletta, brevettato peraltro solo nel 1895, nello stesso anno, cioè, nel quale si ha la notizia del primo brevetto americano per una vettura automobile, rilasciato a Ch. E. Duryea. Senonché, accintomi ad una serie di ricerche sistematiche – diceva il Canestrini – ebbi la fortuna , scorrendo i brevetti italiani, di rintracciare un documentazione ricca di interesse storico e scientifico. Nel volume 13° del Registro Generale del Museo Industriale Italiano al N. 10672 esiste la “Descrizione” del trovato che per titolo: “Velocipedi con gas”, datata da Milano il 24 febbraio 1879 e firmata d all'ing. Giuseppe Murnigotti. Questa descrizione consta di 12 pagine scritte a mano – nella quale sono di pugno dell'inventore la data e la firma – e di una tavola contenente 18 disegni di assieme e di particolari. Lo stesso ing. Murnigotti nelle prime righe della sua richiesta di brevetto così si esprime: “La presente invenzione consiste nel mettere in moto un velocipede usando della forza sviluppata dai gas esplodenti, cioè sostituendo la forza di un motore a gas infiammabile a quella che fa il velocipedista“. Successivamente, calcolata la forza sviluppata dal velocipedista – partendo dalla formula di Rankine e di Morin – e supposto che sia sufficiente mezzo cavallo vapore per muovere convenientemente il velocipede, egli calcola che il costo di esercizio di questo veicolo per percorrere 20 chilometri all'ora non sia superiore ad un centesimo di lira di gas. E così continua: “I motori a gaz si possono applicare ai velocipedi a due ruote o più ruote servibili ad una o più persone. Solo converrà variare la capacità del recipiente del gaz o la forza di tensione di questo, col variare del numero delle ruote e del carico o del tempo per il quale vuolosi che la carica a gaz duri“. E passa quindi alla descrizione dei suoi veicoli, uno a due e l'altro a tre ruote. Nel primo, a due ruote e a due posti in tandem, il motore è posto tra i sedili e il serbatoio del gas e la manovella motrice è applicata alla ruota anteriore, mentre la ruota posteriore è direttrice a mezzo di un manubrio.

Andavano a idrogeno | Questo motore Murnigotti, funzionante a idrogeno, o con altro gas infiammabile eventualmente prodotto da un gassogeno, è a due cilindri, aperti alle estremità, a semplice effetto, con stantuffi imperniati sulle bielle, a loro volta agenti sulle due manovelle dell'albero delle ruote. Il meccanismo della distribuzione, applicato alla testa di ogni cilindro, con un sistema di valvola rotativa, viene descritto, nel brevetto, minutamente dall'autore, così il sistema di accensione che è a fiammella. Il funzionamento del motore è identico a quello di una quattro tempi. Nella prima fase che il Murnigotti chiama “primo colpo semplice dello stantuffo” avviene l'aspirazione dei due componenti della miscela a gas ed aria, nel “secondo colpo semplice“ avviene la fase di compressione della miscela aspirata, essendo tutti i condotti chiusi; nella terza fase o “terzo colpo semplice“ lo stantuffo, iniziando la sua terza corsa di ritorno, aspira, questa volta da un tubicino appositamente aperto, della miscela preventivamente infiammata, la quale produce la esplosione della carica già contenuta nel cilindro e si ha la corsa attiva del ciclo, il quale si compie con la quarta fase “quarto colpo semplice“, durante il quale lo stantuffo espelle i gas combusti dalla valvola aperta. Questo motore del Murnigotti non è dunque nel complesso che un motore a quattro tempi, nel quale la fase di scoppio è preceduta da una fase di accensione che dura poco meno di mezza cosa dello stantuffo. Ora, all'epoca in cui il nostro inventore ottenne il brevetto, è improbabile che fosse a conoscenza del brevetto di Beau de Rochas, il quale, benchè dati dal 1862, venne pubblicato – come è noto - soltanto nel 1884. Anche se Giuseppe Murnigotti era a conoscenza dei lavori di Otto, che aveva realizzato nel 1878 – e cioè pochi mesi prima che egli richiedesse il suo brevetto – il suo primo motore a quatto tempi, è indubbiamente grandissimo merito quello di aver concepito un motore a quattro tempi di piccole dimensioni applicabile ai veicoli leggeri, in un tempo nel quale – conclude il Canestrini – i motori del genere erano grosse e ingombranti macchine.

La prima vera motocicletta | Ma anche i francesi – come abbiamo scritto – non stanno indietro nelle rivendicazioni e, secondo loro, l'inventore del triciclo motore sarebbe De Dion, col primo modello del motore a benzina, nel 1894; invenzione che praticamente venne riconosciuta nel 1896. In quegli anni vi furono altri tentativi spesso originali, ma votati all'insuccesso. C'è ancora chi ricorda la “Wollmueller” col suo motore orizzontale che attaccava in presa diretta una piccola ruota posteriore. Una molla di gomma aiutava il motore ad ottenere il tempo di compressione, ma la macchina, pur funzionando, rivelava irregolarità e ruvidezze. La “Millet” esposta nel 1894 a Parigi era più originale: un motore a forma di stella era situato nella ruota posteriore e nascondeva i raggi. Ma era la moda del triciclo che a quel tempo s'imponeva, del triciclo che aveva difetti di funzionamento e di stabilità. Il regno del triciclo durò un quinquennio. I Saloni d'esposizione dal 1895 al 1900 dimostrarono dei notevoli perfezionamenti nelle macchine: aumento di velocità ciclica, raffreddamento ad acqua (sia limitato alla culatta, sia esteso al motore) e, malgrado una accensione capricciosa e una comodità relativa, intorno al 1900 si giunse a uno strumento per il turismo, sicuro. Bisogna convenire che il triciclo, coi motori De Dion, di 2 HP. E un quarto, ha aperto la strada alla motocicletta. La necessità di dare un compagno al triciclo si fece presto sentire e la prima soluzione fu la vetturetta rimorchio dove il passeggero era esposto alla polvere, al fango, alle esalazioni dello scappamento. Si trovò allora l'avantreno. Il triciclo si cambiò in quadriciclo ma la trasformazione segnò la sua morte. La cilindrata di questi motori, di 350cc., non dava una sufficiente potenza per rimorchiare, sia pure con graduali cambiamenti di velocità, il pesante carico costituito dal veicolo. Malgrado la buona prova dei tricicli do 9Cv. nella Parigi -Vienna e, in altre gare di velocità, di tricicli muniti di due cilindri accoppiati di 20 Cv., era evidente che si batteva una falsa strada, per cui gli studiosi non trascuravano la bicicletta a motore. Abbiamo segnalato la “Wollmueller“ la cui linea ricorda la motocicletta inglese “Scott” nella versione nota fino a pochi anni or sono. Essa aveva due cilindri e il raffreddamento ad acqua. La “Millet” raggiungeva i 50 orari e la sua accensione avveniva elettricamente. Ma queste motociclette a due ruote, coi loro motori “De Dion”, furono utilizzate soltanto nei velodromi perché il loro peso era tale da ostacolare seriamente la possibilità di circolare sulle strade.

Appare la “Werner” | Fu un sarto austriaco, Werner, che trovandosi a Parigi, preso dalla passione per la meccanica, inventò la prima vera motocicletta. La “Werner” appare nel 1899, dotato di un minuscolo motore della potenza di ¾ di Cv. Applicato sulla forcella anteriore. Il carburante era del tipo “Barbotage” e l'accensione era ottenuta a mezzo di un tubetto di platino. Una correggia rotonda serviva per la trasmissione. Dopo i primi favorevoli esperimenti, la potenza del motore venne portata a 1 Cv. e ¾, con l'accensione elettrica. Ma la trovata geniale di Werner, che morì giovanissimo, forse per il dispiacere di aver visto fallire la Casa che aveva fondato ottenendo un iniziale successo, fu un'altra. Mentre i costruttori dell'epoca ricorrevano per i loro telai a quelli delle biciclette, applicandovi semplicemente il motore, Werner costruì arditamente il telaio adatto alla velocità e alla potenza del motore, trovando la formula ideale per favorire l'avvento industriale della motocicletta. Fu il colpo di grazia per il triciclo, e tutte le grandi marche di cicli si misero a costruire motociclette, talune specializzandosi in questo ramo come la “René Gillet”.

Ebbe allora inizio una serie di grandi competizioni. La tecnica aveva già realizzato la valvola di ammissione comandata, il magnete, la forcella elastica.; Cissac, con una grossa macchina, raggiunse i 144 all'ora; Giuppone percorse 104 chilometri in un'ora. Nel 1904, a Parigi al “Parco dei Principi”, vennero organizzate delle gare per macchine da 250 cc. Che raggiunsero i 70 chilometri. Nel 1905 i motocicli della cilindrata di circa 350 cc. Arrivavano già ai 90 chilometri orari.

Le motociclette della scuola francese | La motocicletta, tuttavia subì una profonda crisi; probabilmente perché la potenza del motore non era proporzionata alle possibilità del cambio di velocità. Nel 1909 una macchina munita di cambio era un sogno e ancora oggi, una motocicletta di quell'epoca, con l'applicazione dei rapporti di velocità, potrebbe ottimamente figurare in circolazione. Ma la realizzazione, se fu studiata, presentava delle notevoli difficoltà finanziarie. La necessità di un mezzo di trasporto rapido, a buon mercato, risollevò dalla crisi la motocicletta e al Salone di Parigi del 1906 la bicicletta a motore “Hertle-Bruneau”, del peso di 24 chili, dal motore di 45mm. di alesaggio, che dava un regime di rotazione di 3 mila giri, suscitò enorme interesse. La “Motosacoche” prese piede appunto in quell'anno. Subito dopo, la maggior parte delle fabbriche produttrici aumentò prudentemente la potenza del motore e si videro in circolazione delle macchine realmente pratiche, dai motori elastici, della cilindrata di 250 e di 400 cc. immesse nel mercato da “Alcyon”, “peugeot”, “Magnat Debon”, “Terrot” che si possono definire le motociclette della scuola francese. Anche la Belga “F.N.” quattro cilindri è di quei tempi e così la bicilindrica “Rochet” con la trasmissione a catena e i due cilindri in linea. Le macchine si perfezionavano, i motori erano in progresso, ma il problema del cambio era sempre lasciato insoluto, pur dovendosi citare i tentativi di Hertle-Bruneau e di Viratelle. Bisogna attendere il 1912 per vedere le “Clement”, le “Gladiator”, le “Motosacoche” col cambio di velocità. Finalmente l'innovazione si diffonde e nel 1913-'14 le motociclette “Rene Gillet”, le pachidermiche “Indian” americane, e le inglesi “B.S.A.” circolavano, tutte munite dell'indispensabile cambio, con la certezza di una marcia sicura. I motocarrozzini stavano diffondendosi quando scoppiò la prima guerra mondiale nel 1914. Questa non fu dannosa allo sviluppo della motocicletta, al contrario le giovò immensamente; i servizi della moto e del sidecar furono ottimi, l'una e l'altro impiegati sui terreni inaccessibili alle automobili. Terminata la guerra, la motocicletta ebbe un immediato, enorme successo sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vista commerciale. Chi appena poteva, acquistava una macchina: il Salone di Parigi del 1919 fu probabilmente il più interessante della evoluzione motociclistica. L'Inghilterra, che aveva studiato fino alla massima perfezione il popolare mezzo di trasporto, conquistò un grande prestigio e “Triumph”, “B.S.A.”, “Norton”, “Rudge”, “A.J.S.”, “Douglas, “P.M.. Panther”, “Sunbeam”, “Excelsior”, “New Hudson”, ecc. ecc. invasero il continente europeo con macchine costruite secondo nuove concezioni, derivate dalla pratica, perfezionatissime, anche se non eccessivamente complete nell'estetica.

Primi passi e affermazioni della moto italiana | Agli intenditori non sfuggì che l'esperienza della tecnica aviatoria aveva enormemente servito ai progettisti dei motori da motocicletta. Nel 1920 s'inizia l'ascesa dell'industria italiana e la nostra espansione commerciale è in relazione diretta con le affermazioni sportive. Già un sintomo delle grandi possibilità motociclistiche nazionali si era avuto nelle competizioni anteguerra e la prima Milano-Napoli, disputata nel 1910 su strade impossibili e con macchine non sufficientemente attrezzate, aveva visto comunque una trionfale affermazione della due tempi “Garelli” di 350 cc. Questa grande marca, alla quale dobbiamo le prime vittorie nelle competizioni estere, affiancandosi a “Bianchi”, “Borgo”, “Frera”, “Della Ferrera”, e successivamente a “Galloni”, “Guzzi”, dette un magnifico impulso alla propaganda motociclistica nel nostro Paese. Poi sempre più numerose si contano le macchine italiane – la maggior parte orientate alla costruzione delle biciclette a motore- ed ebbe inizio il periodo splendente della “Moto Guzzi” e della “Bianchi”, nel campo della velocità pura e della “Moto Gilera” nelle grandi prove nazionali ed internazionali di regolarità, durata, resistenza. La “Guzzi” 500 monocilindrica con cilindro orizzontale (il primo vero audace esperimento tecnico del genere) conquista nel dopoguerra il suo primo Campionato Europeo a Monza con Mentasti, dopo che la “Garelli” di 350 cc. due tempi, con cilindro sdoppiato, aveva vittoriosamente affermato con Gnesa le grandi possibilità della nostra industria. La “Bianchi” 350 diventa imbattibile con Nuvolari, Varzi, Amilcare Moretti, Saetti, Carlo e Miro Maffeis, Zanchetta e ottime prove compie anche nelle gare di turismo e di regolarità, quali le “Sei giorni” e le “24 ore”, mentre nel campo industriale, fra le marche italiane, si va operando una graduale selezione, tanto che sopravvivono solamente le fabbriche che possono opporsi alla concorrenza delle case estere con le innovazioni tecniche, col prezzo d'acquisto, con l'utilitarietà e il “comfort”. Nel 1925, tuttavia, un'altra grande marca entra in linea: la Benelli che, coi modelli di piccola e media cilindrata, ottiene una immediata notorietà. Poco dopo l'industria italiana dovrà ancora maggiormente impegnarsi, sul terreno economico, per contenere l'azione delle fabbriche d'oltr'Alpe, ma quel quadrante sportivo facendosi largo con autorità, vince clamorosamente due “Sei giorni motociclistiche internazionali” (Grenoble e Merano) con la Gilera 500 valvole laterali affidate dalla marca di Arcore a Luigi Gilera (side), Grana e Mino Maffeis; s'impone irresistibilmente e ripetutamente nel Tourist Trophy, la massima competizione mondiale, nelle cilindrate 500 e 250 dove nel 1937 rifulge Tenni; conquista allori in Germania, Spagna, Polonia, Svizzera e Francia; piega sull'autodromo di Monza, le squadre inglesi e tedesche; nel 1939 rivince nella classe 250 al Tourist Trophy con la Benelli; s'impossessa finalmente, dopo due lunghi anni di battaglia coi germanici, del Campionato europeo, grazie alla quattro cilindri Gilera 500 compressore attraverso le trionfali affermazioni di Serafini riportate in Svezia, Germania e Irlanda, dopo aver riaffermato in Patria, con le due cilindri Guzzi 500 cc. di Tenni, Sandri, Bandini; le 250 Benelli di Alberti, Rossetti, Soprani e Martelli, le quattro cilindri Gilera 500 compressore di Aldrighetti, la propria imbattibilità. Ed è in questo periodo luminoso, che nelle tabelle dei record mondiali figurano in nomi di Tenni col record dell'ora della classe 250 (Guzzi compressore), di Taruffi col record dell'ora della classe 500 (Gilera quattro cilindri compressore) alle rispettive medie di 180 Km. e di Km. 205 all'ora, mentre con la stessa macchina Taruffi può sfiorare sulle distanze con partenza lanciata i 280 Km. orari di velocità. Ma altri risultati del genere hanno imposto il valore dei corridori e dell'indistria dell'Italia nel Mondo. Ricordiamo il Km. lanciato di Raffaele Alberti, su “Guzzi” 250 compressore a 213 all'ora; le medie di Bottigelli sul Km. lanciato a 128,571 orari con l'“Alpino” 75; i record delle 12 ore di Ruffo, Guido Leoni e Raffaele Alberti col “Guzzino” a 103 di velocità, i 34 record mondiali della classe 50 stabiliti dalla motoleggerissima “Ducati” di 48 cc. la quale realizzando sulla distanza delle 48 ore la media di oltre 63 Km. orari - dopo le medie ancora più alte con la quale ha varcato le 12 e le 24 ore, i 1000, 2000 e 3000 Km. - ha dimostrato una efficienza funzionale veramente sbalorditiva superando gli 81 orari sul Km. lanciato. Ma la più efficace dimostrazione dell'importanza che ha l'Italia nel campo motociclistico mondiale ci viene offerta dalla storia delle principali competizioni sportive.

Testo tratto da Breve storia del motociclismo - IMPRESE DI UOMINI E MACCHINE, dal supplemento n. 1 al Notiziario Ducati – gennaio 1952.