Scuola Professionale Tipografica

Scuola Professionale Tipografica

novembre 1913

Scheda

E' stato scritto che ogni Scuola pubblica è professionale in quanto essa abilita all'esercizio di una professione, distribuisce un sapere che può essere più tardi adibito ad uso professionale. Ed è vero. Tuttavia il nome di insegnamento professionale è rimasto a caratterizzare la Scuola che non solo ha intenti genericamente pratici, ma dà essa stessa l'inizio di una professione, l'apprendimento di un mestiere, nell'opera e nel lavoro. L'insegnamento professionale è conquista recente. Sui primordi la Scuola propriamente tale ebbe per lungo tempo carattere teorico e formale; era aperta a quelli in grado, per la loro posizione sociale, di cercare una cultura disinteressata od a quelli la cui professione doveva appunto consistere nell'uso delle facoltà mentali e volitive della cultura. In progresso di tempo, quando le scienze sperimentali si rinnovano e la coltura cessa di essere un privilegio delle classi ricche, e il popolo acquista uguali diritti civili, e la tecnica subisce in ogni suo ramo una rivoluzione profonda, si rivela ed aumenta la necessità di una più adatta sistematica preparazione ai vari mestieri, mentre l'aumentata produzione e la concorrenza e gli scambi e i traffici esigono una maggiore consapevolezza, un più largo impiego di tecnica e di criteri razionali; di qui il bisogno della Scuola professionale la quale, sottraendo la formazione dei ceti lavoratori all'empirismo della pratica spicciola, l'affidi a insegnanti scelti e provetti, la fornisca degli strumenti adatti, la completi e disciplini con l'apprendimento di fondamentali principi teorici, la converta in mezzo possente di perfezionamento e di specializzazione. L'officina Scuola è esigenza fondamentale della vita economica di ogni popolo; si può dire anzi che ogni officina è anche una Scuola in quanto le generazioni vi si succedono nel lavoro. Quando i vari mestieri ebbero una organizzazione professionale, questa regolava anche le condizioni e i modi dell'apprendisaggio, il quale quindi costituiva un interesse pubblico, esplicantesi attraverso l'organizzazione sociale delle singole classi. Ne è un tipico esempio anche presentemente la Federazione Italiana fra i lavoratori del Libro, la quale disciplina l'apprendisaggio per quanto concerne il numero, l'età, la coltura elementare, la durata del tirocinio, ma non interviene direttamente a dare, nella maggior parte dei casi, all'apprendista quelle cognizioni teoriche fondamentali che devono perfezionare la sua coltura tecnica e professionale, lasciandolo quindi sotto questo aspetto in balia di sé stesso e delle sue attitudini.

L'espandersi delle tendenze democratiche e la trasformazione tecnica delle industrie hanno fatto assurgere a grande importanza i problemi delle classi lavoratrici, perciò si incomincia ora a provvedere più sistematicamente con le Scuole-officine speciali, che sorgono prima per iniziativa privata e spesso come complemento e integrazione di scuole e asili per organi e figli di operai. Molte di queste ultime però hanno carattere confessionale e di beneficenza, e l'apprendisaggio tecnico che in esse s'impartisce non essendo disciplinato con norme positive e preventive di funzione sociale, riesce il più delle volte dannoso alle classi cui è diretto. Questi concetti sono stati svolti in questi ultimi tempi da cultori dei problemi sociali, fra i quali Romolo Murri, il quale ha trattato profondamente l'argomento, traendone conclusioni convincenti, tanto che nessuno più dubita che, superato oramai il periodo delle iniziative private e disperse, della attività spontanea degli Enti locali, lo Stato e il Comune debbano considerare l'insegnamento professionale come uno degli uffici loro, intervenendo a disciplinare, coordinare, integrare, sussidiare l'opera delle famiglie, delle officine, delle corporazioni, degli istituti pubblici locali, dando al problema della formazione dei ceti minori e delle maestranze una soluzione organica e sufficiente. E qui cade in acconcio ricordare l'opera assidua dell'attuale Sindaco dott. Francesco Zanardi, il quale mai si ristè dal propugnare un maggiore e più proficuo incoraggiamento all'insegnamento dell'educazione professionale. Discutendosi nel novembre 1913 in Consiglio comunale il preventivo annuale Egli pronunciava un discorso nel quale, dopo avere difesa la proposta di un maggiore stanziamento a favore dell'Istituto Aldini Valeriani, accennava ai compiti delle classi dirigenti per quanto concerneva gli scopi della Scuola Popolare, intesa nel suo vero significato, di giovane cioè ai figli del popolo, in quanto ne dovrebbe elevare la coltura ed insieme innestarvi quelle speciali cognizioni, che sono necessarie per le varie occupazioni, alle quali in seguito saranno chiamati. Fino da allora l'attuale nostro Sindaco intuiva essere insufficiente per il proletariato cittadino il primo corso elementare che a completarlo occorreva che la 5° e 6°, ed eventualmente una 7° classe, fossero didatticamente ordinate in guisa da assumere una fisionomia propria, come un Istituto destinato alle classi lavoratrici, e al quale il Comune doveva indicare le migliori cure.

"Che del resto la Scuola non risponda ai suoi scopi – egli aggiungeva – è manifesto dai risultati finali veramente disastrosi, e quello che affermo è verità indiscutibile che non può trovare veli in compiacenti eufemismi più o meno ufficiosi. Così il figlio dell'operaio raggiunge circa il dodicesimo anno di età; la legge tutela di riserve e di precauzioni l'ammissione del giovinetto nell'officina fino al quindicesimo anno di età ed impedisce che il suo sano e normale sviluppo sia ostacolato da un sopralavoro precoce e pericoloso, ma non mette a profitto il lasso di tempo che intercorre dal dodicesimo al quindicesimo anno per assicurargli una cultura, che lo prepari alla sua nuova vita del lavoro. Allora tante energie si sperdono, e finiscono nelle bottegucce, dove il padrone non può permettersi il lusso di sprecare sostanze per farne dei piccoli artieri, oppure ingrossano la falange dei commessi di commercio, turba infinita e mal pagata, che vegeta dietro il banco di un negozio, ingrossando il numero delle classi parassitarie ed improduttive. Si tratta di centinaia di giovanetti, all'istruzione dei quali conviene provvedere; bisogna che il Comune istituisca la grande Scuola del Lavoro. Accogliete dalla strada, dalle inutili occupazioni, tutta questa gioventù operaia intorno ad un istituto che insegni le arti meccaniche, le edili, le grafiche, le elettrotecniche, e tutto quanto è necessario alla sua cultura".

E la grande Scuola del Lavoro verrà attuata, perché uno dei più significativi atti dell'attuale Consiglio comunale fu quello di sanzionare con plauso la proposta della Giunta di devolvere a favore dell'erigenda Scuola la cospicua somma di un milione e mezzo di lire, il quale stanziamento figura appunto nel Bilancio preventivo del corrente esercizio. Dal canto suo il nuovo assessore alla pubblica istruzione prof. Mario Longhena, non pose tempo in mezzo a studiare il complesso problema della riforma della Scuola popolare nel senso di integrare la coltura dell'intelletto con quella di cognizioni tecniche come avviamento alle arti ed ai mestieri. E' vanto del nostro Comune di avere per primo in Italia affrontato il grave argomento, quando cioè le voci dei competenti e i voti dei Congressi non si erano ancora pronunciati in merito. Per quanto le condizioni immanenti del conflitto attuale che assorbe altre energie, abbiano imposto una sosta all'attuazione di un più vasto piano di elaborazione, purtuttavia il prof. Longhena ha voluto attuare una parte del programma nell'attesa che eventi migliori consentano di darvi pieno sviluppo. Egli comprese subito che il provvedere di maggior cultura le classi operaie è il massimo postulato della democrazia, trascende dai partiti, esorbita dalle loro contese e rimonta alle origini stesse del problema della produzione; egli intuì che allorché si afferma la necessità di una più equa distribuzione, implicitamente si deve riconoscere che conviene ravvivare le fonti della ricchezza e che nulla è più utile dell'istruzione dell'operaio, che acquista così un senso critico ed un amore più vigile al lavoro, del quale egli è l'artefice.

Ma conviene dalle considerazioni generali passare all'argomento speciale del funzionamento della Scuola professionale tipografica bolognese. Era naturale che gli appartenenti alla professione che più si trova a contatto con le classi colte e progredite, e che per l'ufficio loro divulgano in rivoli fecondi le altrui idee e fucinano il pensiero dei dotti, sentissero per primi la necessità e il dovere insieme di dar vita ad un Istituto, che avesse per fine di creare maestranze abili e una mano d'opera intelligente ed educata. Mirabile e quasi sconosciuta, perché svolta senza il clamore della réclame, spesse volte ciarlatana ed insidiosa, l'opera della classe tipografica bolognese nel campo non ancora del tutto mietuto della previdenza e della difesa sociale! Ogni postulato democratico ha trovato la classe preparata ad accoglierne il raggio vivificatore, come il seme trova il terreno propizio a riceverlo per essere trasformato in spighe feconde. Enumeriamole queste conquiste: prima, per ordine di tempo, la vecchia Società di mutuo soccorso fra tipografi ed affini, la cui origine risale all'anno 1837; poi le due fiorenti Cooperative tipografiche di produzione, una delle quali, l fondata il 31 maggio 1873; terza, la Sezione fra i lavoratori del Libro (sorta nel 1880), che accoglie nel suo seno quasi tutti i grafici bolognesi, e che salvaguarda i loro interessi economici, li sovviene nella disoccupazione, li sorregge nella ricerca di lavoro; indi l'Ufficio di collocamento, organo di prevenzione che integra una funzione sociale che spetterebbe agli Enti pubblici; per ultima la Scuola professionale, che elevandone la cultura dell'intelletto e la perfezione della tecnica manuale, dà loro dignità di operai coscienti e stimati. L'idea di istituire a Bologna una scuola professionale tipografica era accarezzata da molti operai tipografi senza che mai fosse stato possibile fare qualche tentativo per effettuarla.

Occorrevano mezzi finanziari non indifferenti e poi i tempi volgevano poco propizi per le condizioni anormali in cui si trovava la classe. Fu solo Nel 1908, colla adozione di un nuovo contratto di lavoro, accettato di comune accordo dalle Sezioni della Federazione del Libro e dall'Unione Industriali, che si pensò più seriamente che pel passato alla necessità di migliorare la cultura tecnica e letteraria dei Tipografi per metterli in grado di reggere Al confronto della produzione di centri più evoluti nell'industria grafica. Ma altre considerazioni si imponevano perché la Scuola professionale sorgesse fra noi. Oggi in cui l'arte applicata all'industria tanto fervore di diffusione in moltissime professioni, è necessario che anche la tipografia - arte di per se stessa - non ne andasse carente. La decorazione e l'ornamentazione grafica nelle loro varie manifestazioni - sia del libro che dei molteplici lavori del Commercio, - sono i coefficienti principali perché la produzione grafica rivestita anche per noi quello splendore artistico che da molto tempo si rivela nella produzione di paesi più evoluti. l'insegnamento del disegno deve appunto risvegliare nei giovani apprendisti il culto e l'amore pel buon gusto e l'estetica, integrando così il manuale e consueto esercizio di composizione in uso nelle nostre officine. Bologna non aveva profittato prima di questo miglioramento perché l'insegnamento teorico e pratico ai giovani apprendisti nell'interno delle officine non poteva avere quella guida costante e disinteressata per la quale soltanto si può meglio rendersi conto ed apprezzare i vantaggi che risultano a seguire i nostri procedimenti della professione è l'indirizzo tecnico-artistico che assume ogni giorno più e che serve a sviluppare germi di feconde e sempre nuove creazioni. Bisognava adunque rendere possibile al giovane apprendista, che sentiva il desiderio, il bisogno di elevarsi moralmente, di perfezionarsi nella sua arte, di potere apprendere ciò che più da vicino lo interessava, di avere alla sera o nei giorni festivi quegli insegnamenti che più contano. In base a queste considerazioni la Sezione bolognese si fece promotrice della fondazione della scuola e provocò la nomina della commissione provvisoria, alla quale assegnò un primo fondo di lire 500 per gli studi preliminari. Poco tempo dopo si ebbe la adesione dell'Unione Industriali. L'impianto di una Scuola-officina tipografica – sia pure di proporzioni modeste – richiedeva una somma non indifferente per fronteggiare le prime spese. Era necessario pensare all'acquisto del macchinario, dei caratteri, del mobilio, del materiale per la biblioteca e degli accessori. Fu quindi giocoforza attendere che l'istituzione consolidasse i suoi mezzi finanziari provenienti da azioni di lire 10 sottoscritte da circa 120 soci delle locali Sezioni tipografiche e dai sussidi annuali concessi fino dall'inizio da alcuni Enti morali, quali la Provincia, il Comune, le Sezioni compositori ed impressori, l'Unione industriali, la Camera di Commercio, il Monte di Pietà ed altri pochi oblatori privati. Il Governo – oggi tanto tenero delle Scuole professionali – nulla ha finora concesso.

Finalmente nel novembre del 1913, in occasione del IX Congresso Nazionale fra i Lavoratori del Libro, la Scuola veniva inaugurata in tre sale a pianterreno dello stabile di Via Mazzini, N. 50. Così le laboriose pratiche delle diverse Commissioni che nei cinque anni trascorsi si erano succedute nell'amministrazione, erano giunte in porto. E i fini, gli scopi della scuola? Si riassumono in poche parole: integrare e perfezionare la ordinaria istruzione pratica che l'operaio riceve nell'officina, insegnandogli quei processi razionali, quelle formule, quelle finezze di lavoro, che nell'affrettata produzione industriale egli non ha agio di imparare, o imparerebbe molto tardi; tenerlo al corrente dei metodi più moderni di ogni perfezionamento industriale, sia dei procedimenti, sia del macchinario; e al tempo stesso fargli presenti le belle tradizioni italiane nelle arti grafiche; educarlo ad ispirarsi nel suo lavoro a quel senso di arte, che ispirava tanti sommi artefici italiani, dagli Aldi a Bodoni. Programma sintetico, ma significativo, poiché se nei suoi primordi l'arte della stampa, colla varia configurazione del testo, dei tipi, dei fregi, ha saputo assicurare al libro le caratteristiche dell'epoca, della cultura e dei costumi, oggi invece la stampa, per la concorrenza mercantile, la fretta del produrre, le diverse condizioni nelle quali si esplica la mano d'opera, si trova a dovere spesso trascurare le tradizioni d'arte, lasciando affievolire o cancellando le distinzioni di quelle caratteristiche primitive; ma non deve perciò essere compromesso quel prestigio che, in ogni tempo, seppe esercitare la nitida e serena arte tipografica del nostro rinascimento coll'italico di Aldo Manuzio e colla classica eleganza dei fregi intagliati in legno. Ebbene, la Scuola ha appunto la missione di ridestare nei nuovi tipografi questo amore, cercando di dimostrar loro ancora una volta che la tipografia può essere poesia e deve ritornare ad essere arte. Gli altri paesi più evoluti ci ammoniscono che non saremo mai più fra i primi nella gara se non ci prepareremo con l'ardore degli antichi. Rammentiamo tutti il famoso motto del grande esteta John Ruskin, il propugnatore dell'arte applicata all'industria, motto che è infisso in una parete della Scuola ad ammonimento degli allievi.

A onore della Scuola un imaginoso e valente giornalista bolognese così scriveva sul Resto del Carlino del 29 novembre 1913: "Il tipografo è il più nobile e il più rivoluzionario degli artieri e appunto per questo, anche il più artista fra gli artieri. L'arte del libro è, chi non lo sa, una delle più gentili e delle più gloriose. Il tipografo, il paziente e silenzioso distruttore, ha sempre saputo distruggere con la più fiorita e nitida grazia, ha sempre saputo vestire di caratteri svelti e chiari, di fregi limpidi e leggeri, la forza acre ed incisiva del pensiero. Il tipografo ha sempre cercato di dare al pensiero la più mossa leggiadria esterna di ritmi, la più snella e adamantina chiarezza che meglio ridesse all'occhio e meno l'affaticasse. Esso è stato quasi sempre l'alleato umile e invisibile dello scrittore e lo è tuttora ed oggi lo è anzi più che mai. Oggi i giovani tipografi hanno quasi tutti un senso così vigile e così fine del decoro artistico nel comporre che è diventato davvero un piacere il rivedere le bozze e curare la stampa di un libro. Così, almeno, è a Bologna, dove l'arte della stampa fu sempre ed è oggi ancora in onore. Bologna ha tipografi mirabili per senso artistico, per educazione professionale, per onesta semplicità di costumi. Il giovane tipografo Roberto Monetti, un artiere schietto e severo, all'antica, che tratta la tipografia come una nobilissima arte e vive con una esemplare semplicità di costumi, è forse in trent'anni di vita, l'unico uomo che io abbia conosciuto degno del nome di uomo. Il saperlo malato, lontano dalla tipografia, mi strazia il cuore non meno che i suoi compagni di lavoro i quali si uniscono a me nell'augurare a questo mirabile artiere la guarigione e il ritorno. Il Monetti è stato uno dei più vivaci fautori della nostra “Scuola Professionale Tipografica” in cui si educano ora all'arte del libro i tipografi della nuova generazione. L'ho già detto: questi giovani sono quasi tutti mirabili per coscienziosa precisione, per rapidità, per buon gusto. La “Scuola Professionale” promossa dalle due Sezioni bolognesi della “Federazione del Libro” fa onore a Bologna più di molte altre scuole. Bisogna veder l'artistica finezza dei lavori che si compiono in quella scuola che è, ancora, si può dire, ai suoi primi passi! Recentemente si è stampato là una piccola monografia che illustra la scuola stessa. Bisogna vedere la grazia elegante del fascicolo! Ora poi, in occasione del nono congresso tipografico, la scuola ha dato caratteri e fregi per un altro magnifico fascicolo distribuito come ricordo ai congressisti. La parte artistica è stata curata dal prof. Mario Dagnini della nostra Accademia".

Ahimé! Il volo di Eugenio Giovanetti non è stato esaudito! Il mio dilettissimo amico Roberto Monetti, che nella sua innata modestia mi chiamava maestro perché l'avevo avuto collega e non discepolo nella tipografia Zamorani e Albertazzi, da qualche mese è scomparso fra il compianto dei colleghi, degli amici e dei buoni che lo amavano e stimavano. Io lo ricordo qui con animo commosso perché il suo nome è legato alle sorti della Scuola di cui fu solerte segretario e perché alle continue traversie, agli ostacoli che sorgevano ad ogni piè sospinto e che formavano la disperazione dei buoni, Egli confortava tutti col monito dello Smiles: "La virtù sta nella lotta, non già nel premio".

Aprile, 1917. CESARE RATTA, operaio tipografo

P.S. - Mentre si stan componendo queste note, l'organamento della Scuola, per merito dell'Ufficio Comunale d'Istruzione, al quale è preposto l'assessore prof. M. Longhena, sta per essere modificato su più solide basi economiche e morali. Per una speciale convenzione, il Comune darà ospitalità alla Scuola professionale tipografica nell'edificio scolastico di via S. Petronio Vecchio, provvedendo, oltre ai locali, all'energia elettrica, ai motori, all'illuminazione, alla spesa per gli insegnanti sia dei corsi diurni che di quelli serali, ecc. Del nuovo assetto didattico e professionale che assumerà la Scuola, si farà cenno in un prossimo fascicolo di 'La Vita Cittadina'.

Testo tratto da 'La vita cittadina - rivista mensile di cronaca amministrativa e statistica del Comune di Bologna', Comune di Bologna, maggio 1917.

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Bordoli Gian Leone
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Alla Cara memoria di Gian Leone Bordoli. Scuola Professionale Tipografica, Bologna, 1918. Archivio Caduti © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.

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