Romagna

Romagna

1906

Scheda

Nell’estate del 1906 a Tullo Golfarelli (1852 - 1928) viene richiesto dalla neonata “Società dei Romagnoli” di Bologna di predisporre la cartolina-ricordo in occasione della cerimonia di inaugurazione della bandiera sociale fissata per il 5 agosto a Casalecchio di Reno. L’associazione è costituita in quell’anno dai romagnoli residenti nella città felsinea con lo scopo di «aiutarsi scambievolmente, e di educazione»; ne è presidente tale Sbaragli di Lugo e fra i soci si annovera anche il poeta-scrittore Olindo Guerrini (per l’amico e sodale lo scultore eseguirà un busto-ritratto in gesso patinato, oggi in collezione privata). Golfarelli viene altresì incaricato di invitare Giovanni Pascoli ad intervenire come ‘padrino’ della manifestazione, e di richiedergli «un cenno, una frase» che illustri «lo schizzo» che ha elaborato: «ho immaginato una donna dei campi, che cammina per una pianura, carica fiorente di ogni ben di Dio, grano, frutta e… e in mezzo a questa abbondanza porge con la mano sinistra un saluto al mare e alla pineta che in distanza si delineano, e perché il saluto sia più eloquente lo accenna con un ramo d’ulivo, simbolo di pace. È uno schizzo fatto in fretta che sarà salvo dalla tua illustrazione, dalla tua anche brevissima frase. Potrai tu mandarmi tutto ciò? il tempo stringe… il Comitato ha fretta».

Pascoli, di fatto, non interverrà alla manifestazione (di cui sarà ‘padrino’ Alfredo Oriani) ma accoglie l’invito a scrivere per l’occasione e tra i due si instaura, tramite una serrata corrispondenza, una perfetta consonanza di sentire e di intenti: «Caro Tullo, ebbi ieri il bozzetto (e poco dopo il telegramma) e m’ispirai subito a fare una poesietta, breve sì ma forte come il tuo bellissimo disegno. Ma avete fretta e non ho potuto mandar giù che l’iscrizione prosastica che t’ho mandato. […] L’antica arte (espressione di Virgilio) è l’agricoltura. Il Poeta e l’Eroe (si capisce) sono Dante e Garibaldi…» (Lettera da Barga del 2 agosto 1906; da Pieri 1989). E, ancora: «Eccoti, mio caro Tullo, le quattro strofe che avrei voluto fare per il tuo bel disegno. Inutile aggiungere che non sono quel che meriterebbe il tuo disegno e desidererebbe il mio pensiero. Sono una bozza non finita. […] Groma per chi non lo sapesse è lo strumento misuratore dei campi presso i Romani. Le pendane sono i festoni delle viti. Il pane rude di Roma è… la pîda, pieda, pié» (Lettera da Barga del 4 agosto 1906; da Ferri 1967). Nelle carte pascoliane si ritrovano gli abbozzi di quei versi che diventeranno la struggente lirica “Romagna” e che il poeta offre allo scultore: «Da Roma ebbi il nome e la forza / Conservo la lode dell’antica arte e saluto con l’ulivo l’aurora / Nella mia selva s’aggirano il Poeta e l’Eroe / d’Italia».

Il 3 agosto, alla vigilia della cerimonia, Golfarelli scrive lusinghiere parole all’amico per comunicargli il ‘gradimento’ ottenuto dalla cartolina: «Carissimo Giovannino, non puoi credere come sia stata piaciuta e gradita l’iscrizione prosastica, come dici, che hai mandato per l’occasione della festa romagnola. Grazie per tutti. Io tremavo pensando che tu facessi il muto e non per accusarti di trascuratezza o indifferenza in queste manifestazioni di liberi uomini che amano unirsi fraternamente, io che so quanto cuore hai; ma perché non ti accusassero così, quelli che non ti conoscono come ti conosco io. Io tremavo e mi rasserenai quando ebbi il telegramma. Domenica sarà la festa e tutti parleranno con affetto di te, poeta nostro, gloria nostra. Ti vogliamo tanto bene e se c’è qualche cattivo crepi. Dirai tu: che parolaccia è questa? non è umana. Al nemico bisogna augurare lunga vita. Tu così dirai all’anima tua troppo ma troppo buona. Ed ora che le cose andranno bene, mandiamo un sospiro di soddisfazione non per l’arte nostra che vorrebbe ben altre cose per manifestarsi… ma per quello che si è fatto dando soddisfazione, e mostrando un sorriso a chi attende un saluto da chi sa. Meglio sarebbe non strappare mai il più piccolo lembo di versi e di carmi dalla divina figura dell’arte. Ma come fare? Non c’è il verme roditore anche nella quercia? Pazienza. È felice solo l’artista quando può dare tutto l’amor suo alla Dea, senza essere turbato da nessuno». La terracotta eseguita da Golfarelli per l’immagine di Romagna sarà da lui donata all’amico Aldo Spallicci di Forlì. In quell’estate del 1906 l’artista realizza, su espressa richiesta dello stesso Pascoli, due sculture raffiguranti Sant’Isidoro, patrono dei contadini, e Sant’Antonio abate, patrono degli animali, da porre a ornamento di due nicchie nella casa di Castelvecchio; nel settembre le terrecotte, realizzate dallo scultore «alla maniera di Luca della Robbia», sono già state modellate, smaltate e invetriate, e, anticipate dall’invio delle fotografie, spedite a Barga: «Carissimo Giovannino, ho piacere di avere saputo che sono arrivati in porto i due santi – ma quanto tempo sono rimasti per la strada. Figurati poi se li spedivo alla piccola velocità, non arrivavano più. Ho pure piacere che ti siano piaciuti». Pascoli saluta con grande enfasi l’arrivo delle sculture, definendole «due stupendi capolavori robbiani»: pura piaggeria? In realtà il poeta è ben consapevole delle scelte operate dallo scultore sia perché esse avevano comportato l’utilizzo di una tecnica lunga e complessa ma, soprattutto, per il richiamo a criteri iconografici che rimandavano a modelli rinascimentali più che a quelli di una semplice devozione popolare (il Sant’Isidoro viene effigiato con tratti delicati, consoni più all’uomo di lettere che al lavoratore dei campi; il Sant’Antonio, accompagnato al leone ammansito, è raffigurato come un anacoreta nel deserto).

Silvia Bartoli

Testo tratto da: Silvia Bartoli, Paolo Zanfini, Tullo Golfarelli (1852 - 1928), Minerva Edizioni, 2016. Fonti: BMRBo, Album Golfarelli.

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