Predica del Battista - Comunione di san Girolamo

Predica del Battista - Comunione di san Girolamo

1756 | 1770 ca.

Scheda

Il rinvenimento sul mercato antiquario dell’album cui appartengono questi due disegni, e la conseguente acquisizione da parte della Cassa di Risparmio di Bologna nel 1953, costituirono un’occasione di studio per la storia del collezionismo di disegni e stampe a Bologna nel Settecento. Ne fu artefice Guido Zucchini, nell’ambito di un’attività che veniva di fatto a trasmettere all’istituto bancario il testimone di un impegno già affermato a livello municipale fra le due guerre – nell’ambito dell’ideazione delle Collezioni Comunali d’Arte – per la documentazione iconografica relativa alla città.

Identificando l’album con quello descritto all’interno di due rarissimi opuscoli di vendita pubblicati a Bologna rispettivamente nel 1817 e nel 1824, fu possibile risalire alla committenza e all’originaria appartenenza collezionistica dei disegni: la straordinaria raccolta grafica di Antonio di Benedetto Buratti, mecenate di Gaetano Gandofi, ricco mercante attivo a Venezia, dal 1764 residente nella casa già Bertalotti, in Via Marsala 25, “riscontro il sacrato di S. Martino” (Oretti). Alla “coscienza, di matrice illuminista, della necessità di preservare intatta memoria delle opere d’arte del passato” che ne contraddistinse l’attività collezionistica e di mecenatismo, si deve anche la commissione a Gaetano di “copie in disegno delle più celebri pitture di Bologna” destinate ad essere riprodotte in incisione da Joseph Wagner (non rintracciate ma cfr. Biagi Maino, 1995). L’album in cui sono inseriti i due acquarelli presenti in mostra, pervenutoci lacunoso, si intitola Disegni [di] Gaetano Gandolfi delle più celebri tavole d’altare esistenti nelle chiese di Bologna opera unica, (nel 1824 offerto al prezzo di 1800 scudi romani), e comprende 24 copie da dipinti bolognesi, oltre a 2 altri disegni originali di Giuseppe Marchesi detto il Sansone. Successivamente Gaetano eseguì una serie analoga per Richard Dalton, bibliotecario della corte d’Inghilterra, di cui sei fogli datati 1769 (nove si conservano nelle raccolte reali di Windsor). La magnifica galleria cartacea, certamente ispirata alla raccolta donata da Papa Benedetto XIV Lambertini all’Istituto delle Scienze dal 1751, era stata posta in vendita dagli eredi Buratti nel 1817 come insieme unico e successivamente, nel 1824, con l’indicazione dei prezzi per singoli insiemi. Constava di oltre 4000 stampe e numerosi disegni raccolti in ottantun volumi custoditi in vari armadi e in varie cartelle.

Gaetano aveva lavorato alla serie delle copie dai capolavori dei grandi maestri della scuola bolognese fra il 1756 e il decennio successivo, dedicando in media un mese all’esecuzione di ogni acquerello. Dei due dipinti carracceschi a quel tempo nella chiesa della Certosa solo l’Ultima Comunione di San Girolamo si trovava nella collocazione originaria, all’estremità sinistra del transetto (subito dopo l’entrata), per cui era stata eseguita fra il 1591 e il 1597; si dovrà tuttavia ricordare che in origine la Predica del Battista era posta esattamente di fronte, nell’altare del transetto destro, da cui fu rimossa nel 1647 (per lasciare spazio alla Visione di San Bruno del Guercino), e fu in seguito trasferita in una delle cappelle interne che conducono alla Sagrestia, attualmente dedicata a S. Giuseppe. La scritta apposta sul passepartout della copia dalla Predica (“Eseguito il disegno il quadro in appresso fu ritoccato, e rovinato”) trova riscontro nelle note di Marcello Oretti, che ricorda come nel 1769, in un solo mese, i Certosini “fecero pulire tutti i quadri della loro Chiesa”. Una scritta più tarda nei passepartout richiama la sorte successiva dei due dipinti, che attraverso percorsi differenziati (il San Girolamo con una parentesi francese) sono approdati alla Pinacoteca Nazionale a seguito delle soppressioni napoleoniche.

Le due opere carraccesche erano state realizzate nel contesto di una gara di maniera e di stile fra i due cugini. Al San Girolamo di Agostino, “che di tutte le maniere è un concertato misto” avrebbe scritto Carlo Cesare Malvasia nel 1678, Ludovico contrappose il suo San Giovanni Battista “d’un solo gusto, ma del più gran pittore ch’abbia la scuola veneta, se non tutto il mondo”, “fatto per ischerzo … facile facile, lasciato, come a ventura, cader dal pennello, sprezzato a luogo a luogo”. Il San Girolamo, “finito con l’anima”, sempre secondo Malvasia era un’opera “così decorosa, così giustamente disegnata, e teneramente colorita”; un “epilogo, un compendio di tutte le perfezioni”, aveva recitato Lucio Faberio nell’orazione funebre del 1603. Di fronte all’apertura verso l’Ideale Classico seicentesco della pala di Agostino, la cui realizzazione era stata avviata per prima in ordine di tempo, Ludovico intese affermare una propria individualità artistica ed emotiva improntata al naturale, in una parola, più “settentrionale”. Una maniera assimilabile a quella veneta agli occhi dei contemporanei, “padana” nella oramai storica ricognizione critica di Francesco Arcangeli basata su “corpo”, “azione”, “sentimento”, “fantasia”. La distanza mentale e stilistica fra i due acquerelli qui esposti (il rigoroso classicismo da un lato, dall’altro l’incisività espressiva e lo spiccato naturalismo), restituisce il senso della penetrante lettura critica dei modelli da parte di Gaetano. Ciò forse anche attraverso gli occhi della storiografia e della critica: oltre a Malvasia, Luigi Crespi, che a distanza di pochi anni dall’impegno di Gaetano sui due celebri dipinti, nella Guida della Certosa di Bologna (1772) avrebbe sottolineato in Agostino l’appropriata resa degli affetti e delle espressioni, la “dignità dell’azione”, la capacità di rappresentare “quell’instante di tempo nell’azione principale, nella maniera più convenevole, e naturale, in cui probabilmente è succeduta”. Avrebbe invece enfatizzato in Ludovico il vivacissimo indagare con espressioni che particolarmente rendono il multiforme declinare nella scena di personaggi, attitudini, paesaggio, atmosfere. Così il Battista è descritto “d’ispido e rozzo manto semicoperto …in positura graziosa sì, ma naturale, e negletta”; particolarmente efficaci la restituzione della “turba degl’ascoltanti”, dove “si scopre la varietà de’ sentimenti che loro cagionano le verità, che sentonsi spiegare”, la resa delle attitudini (“pensieroso”, “dubbioso”, “persuaso”), le sottolineature sull’uso del lume e del “contrapposto”.

Al di là dell’intenzione documentaria implicita nella committenza Buratti, Gaetano Gandolfi si avvicina al modello in modo originale e spregiudicato, non scolastico (Biagi Maino 1995). Nell’orazione funebre del 1802 Giovanni Battista Grilli avrebbe ricordato, con riferimento alla serie Buratti, come all’artista avesse giovato “l’esercizio tanto agli alunni di quest’arte, inculcato, e prescritto, di studiare cioè e ritrarre le opere degli autori più grandi, com’egli fece in effetto di quelle degli immortali Carracci, e d’altri nostri”.

Carla Bernardini

Testo tratto da: Buscaroli B., Martorelli R. (a cura di), Luce sulle tenebre: tesori preziosi e nascosti della Certosa di Bologna, catalogo della mostra, Bologna, Bononia University Press, 2010

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Luce sulle tenebre - Tesori preziosi e nascosti dalla Certosa di Bologna. Video dedicato alla mostra tenutasi a Bologna nel 2010.

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