Pincio con bassorilievi dell'8 agosto 1848

Pincio con bassorilievi dell'8 agosto 1848

bassorilievo 1896

Scheda

Nel 1887 era stato bandito un concorso, vinto da Tito Azzolini (1837-1907) e Attilio Muggia (1859-1936), per realizzare un ingresso monumentale alla Montagnola. La crisi finanziaria del Comune però ritardò l'inizio dei lavori, che poterono essere avviati soltanto nel 1893 e proseguirono per tre anni, impegnando mediamente più di cento operai al giorno. Per essa, che doveva costituire «una nota grandiosa e gaia all'ingresso della città», furono utilizzati materiali di colore chiaro e di tono caldo, quali il tufo veronese e il marmo calcare di Botticino.

L'opera si componeva di tre parti: la scalea, il porticato su via Indipendenza e quello lungo le mura. Due epigrafi dettate da Gino Rocchi (1844-1936) furono poste ad adornare il porticato su via Indipendenza; una era dedicata alla medievale Rocca di Galliera «cinque volte levata contro la libertà bolognese, cinque volte dal popolo atterrata», l'altra relativa alla battaglia dell'8 agosto, recitava: QUI PRESSO COMBATTENDO / CON L'ANTICO ARDORE DI LIBERTÀ / IL POPOLO BOLOGNESE / NEL DÌ VIII AGOSTO MDCCCXLVIII / SGOMINÒ LE FALANGI AUSTRIACHE / AUSPICANDO LE VITTORIE / DELL'INDIPENDENZA ITALIANA».

Come nelle iscrizioni, così nelle sculture la memoria dell'epoca gloriosa e remota del libero Comune si connetteva con quella della più recente epopea risorgimentale, per una esaltazione della città e al tempo stesso della nazione, della “piccola” come della “grande” patria. Il corpo centrale della scalea fu decorato infatti da cinque bassorilievi dedicati a momenti e ad aspetti gloriosi della città e della sua storia; due in basso, intitolati Bononia docet e Bononia libertas, opera rispettivamente di Ettore Sabbioni (1861-1931) e Arturo Colombarini (1871-1940), tre in alto, a tema più chiaramente patriottico: la Distruzione del castello di Galliera, di Arturo Orsoni (1867-1928), il Ritorno dalla vittoria di Fossalta, di Pietro Veronesi (1859-1936) e la Cacciata degli Austriaci l'8 agosto 1848 di Tullo Golfarelli (1852-1928), il cui bozzetto in scagliola è conservato presso il Museo civico del Risorgimento. Furono inoltre posati settanta candelabri, realizzati su disegno degli stessi direttori dei lavori.

Ma l'opera decorativa più importante fu la fontana che venne collocata al centro della scalea, modellata da Diego Sarti (1859-1914) e scolpita in marmo di Carrara da Veronesi: in una nicchia foggiata a conchiglia, «un cavallo marino trasportante una sirena si sente mancare la vita per l'attacco di una piovra la quale le succhia il sangue coi suoi viscidi tentacoli, mentre il cavallo si sforza di liberarsi da quella terribile stretta». I contemporanei seppero apprezzare l'esibita sensualità della sirena e subito il poeta Severino Ferrari (1856-1905) ne cantò le «rare forme». Ben presto però Carducci stesso (di cui Ferrari era discepolo) dedicò all'immagine muliebre un sonetto dal titolo La moglie del gigante, immaginando un dialogo a distanza tra questa e un'altra statua, il Nettuno del Giambologna posto nell'omonima piazza, singolare coppia di disperati amanti destinati ad essere per sempre divisi: «Ahi mio re! La tua carezza / Chiedo in van, son tratta giù: / E fu in van la mia bellezza / com'è in van la tua virtù».

La scalea fu inaugurata il 28 giugno 1896 da re Umberto I che, nel corso di quella visita a Bologna, inaugurò anche il monumento a Marco Minghetti e l'Ospedale Rizzoli. Si trattò di una grande manifestazione per consolidare il consenso popolare alla monarchia: tre bande e una fanfara squillarono all'unisono la Marcia reale per salutare il monarca e la regina, e un “numero considerevolissimo di associazioni cittadine” con i loro stendardi sfilarono per più di mezz'ora davanti a loro, prima di procedere in corteo lungo via Indipendenza. Nonostante la vicinanza alla stazione, la scalea fu l'ultima ad essere inaugurata, poco prima della partenza dei Reali. L'opera ottenne immediatamente un consenso unanime, anche perché grazie ad essa veniva ultimata via dell'Indipendenza, i cui lavori erano iniziati più di trent'anni prima. L'obiettivo, che pure ci si prefiggeva, di contribuire a «ridonare al passeggio della Montagnola il brio e l'animazione di cui godeva una volta» non fu invece raggiunto; iniziò invece un processo di degrado, che toccò il culmine negli anni della Grande Guerra e in quelli immediatamente successivi, quando il giardino fu ridotto a «una superficie sconvolta, tutta buchi e pantani», «asilo preferito dei mendicanti», «dei pregiudicati, delle donne fuori legge».

Testo tratto da: O. Sangiorgi, Pannello in altorilievo: La cacciata degli Austriaci da Bologna in O. Piraccini, Monumenti tricolori. Sculture celebrative e lapidi commemorative del Risorgimento in Emilia e Romagna, Bologna, Editrice Compositori 2012, pp. 93-94. Trascrizione a cura di Andrea Spicciarelli.

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