Pasqua nella tradizione bolognese

Pasqua nella tradizione bolognese

1796 | 1960

Scheda

La domenica di Pasqua non si distingue ormai più di tanto dalle altre domeniche dell’anno. Fino agli anni Sessanta del secolo scorso, a Bologna era di certo una delle festività più attese per i riti religiosi che si compivano e per le prelibatezze che si preparavano in cucina. La Pasqua commemora la morte e la resurrezione di Cristo e per i credenti significa il rinnovarsi di gioia e di speranza: insomma un vero e proprio preludio per un tempo migliore (basti pensare al detto “sono contento come una Pasqua”). Il Giovedì Santo (che ricorda l’Ultima Cena e precede la morte del Redentore) venivano legate le campane e in tutte le chiese venivano preparati i cosiddetti “sepolcri”, ovvero una cappella veniva allestita per contenere tutti gli oggetti consacrati e le ostie, che avrebbero potuto essere distribuite nuovamente solo nella notte di Pasqua. Per ricevere fortuna, il numero di “sepolcri” da visitare doveva assolutamente essere dispari. Si tramanda così una prassi ordinata dal cardinale Gabriele Paleotti, che trovò la piena formulazione nel settecento, dando forma a solenni liturgie e scenografie effimere. Il Giovedì Santo l'ostia, tolta dal tabernacolo, viene posta nel Repositorio, popolarmente chiamato Sepolcro in ricordo della morte di Gesù.

Il Sabato Santo al Gloria in excelsis, durante la messa, le campane venivano finalmente slegate e finita la funzione i ragazzini accompagnavano il festoso scampanio facendo scoppiare i mortaretti, altrimenti detti “bussi”. Gli adulti li trascinavano poi verso le fontane (se erano fuori) o ai più vicini rubinetti di casa per bagnarsi gli occhi: la tradizione, infatti, voleva che questo significasse preservare la vista da ogni malattia per tutto l’anno. Il Sabato Santo vi era però un altro rito: le massaie preparavano le uova da benedire ornandole di ramoscelli d’ulivo e le portavano in parrocchia dentro cestini o grandi tovaglioli. Quelle stesse uova sarebbero state consumate sode, a digiuno oppure utilizzate durante il pranzo della domenica: per le minestre, con il riso e con il salame. Soprattutto nei quartieri popolari o in campagna, poi, i bambini le usavano per giocare “a scuzzatt”, ovvero battevano tra loro le rispettive uova sode; colui o colei cui rimaneva in mano un uovo integro risultava il vincitore: voleva dire che il suo aveva avuto il guscio più resistente. Finalmente, poi, arrivava il pranzo domenicale: profumatissimo brodo con tortellini o con passatelli; bollito e salse; per chi poteva, anche l’agnello. E i dolci? Ciambella e zuppa inglese non potevano mancare assolutamente. Per i bambini più fortunati c’erano anche agnellini e ovini di zucchero, che facevano bella mostra nelle vetrine delle latterie. Altro che colombe in tutte le varianti possibili e immaginabili; uova, galline e conigli di cioccolata come oggi!

Il clou veniva il Lunedì dell’Angelo, il Lonedé ed Pascua, quando – secondo la tradizione più radicata – i Bolognesi salivano a San Luca per una scampagnata: prima a piedi, lungo i famosi portici di via Saragozza e del Meloncello oppure su per il sentiero dei Bregoli da Casalecchio (vedi foto) e, successivamente, con la moderna funivia. Dopo un frettoloso omaggio alla Vergine, tutti sul prato per gustare altre leccornie.

In collaborazione con Fondazione Cassa di Risaprmio in Bologna

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Strenna della Rana pel 1880 anno XVI; Bologna, Compositori, 1879. Collezione privata.

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