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Osterie bolognesi

1900 | 1947

Schede

La tipica osteria bolognese è costituita da un locale con tavole e sedie disposte lungo le pareti longitudinali, allineate con la parete di fondo, il banco della mescita, dietro il quale troneggiano gli scaffali colmi di fiaschi e bottiglie.

Abbiamo pellegrinato da una osteria all’altra della città – bevendo dappertutto un bicchiere alla salute del lettore – per ricercare le vestigia di questi ricettacoli dei seguaci di Bacco e abbiamo potuto constatare che molti locali dal vecchio e caratteristico aspetto esistono ancora, rappresentando così un singolare contrasto coi “bars” ultramoderni dove si pavoneggiano lindi baristi stilè e domina la cassiera dalle unghie rossolaccate. L’Osteria detta dei Bazzanesi, in via San Felice e quella del Romagnolo in via Rialto sono, ad esempio, fra le più tipiche della città. In quest’ultima, la famiglia Dall’Olio è stata la fondatrice ed è tutt’ora la proprietaria del locale (caso piuttosto raro per questo genere di esercizi, dove il passaggio di proprietà avviene sempre con grande frequenza), e fino a poco tempo fa, si poteva qui ancora vedere l’antica padrona – ultraottuagenaria – seduta in una poltrona che è sempre conservata, quale cimelio, nel locale gestito ora dal primogenito Camillo. Negli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi dell’attuale secolo, l’Osteria del Romagnolo è stata la meta costante degli amatori intelligenti del vino, fra cui Carducci, Oriani, Guerrini e, naturalmente Albano Sorbelli e Angelo Gandolfi. Ma le osterie più antiche di Bologna ancora esistenti, sebbene in parte trasformate, - sono la Salara di via Galliera, la Cantina dei Pepoli nel vicolo omonimo, quella degli Spagnoli, in via Collegio di Spagna e il Sole, in vicolo Ranocchi. Quest’ultima era in antico anche uno stallatico e dette per lungo tempo il nome a un vicolo del vecchio mercato chiamato appunto il “vicolo dello Stallatico del Sole”. A proposito di ciò, osterie con stallatico furono pure quelle – esistenti ancora oggi – del Pritein fuori porta Sant’Isaia, della Cavallina fuori porta Galliera, del Pellegrino e dello Sterlino, fuori porta Santo Stefano. Fuori di questa Porta, c’è ancora, ma trasformata, l’Osteria del Ragno, già detta la “Piccola Parigi”, perché un tempo quivi si ballava, il cui attuale proprietario, Augusto Pantaleoni, è uno dei più vecchi osti bolognesi.

Ma la rassegna non è finita, come non ricordare l’Osteria degli Etruschi, fuori porta Castiglione, la Cesoia, fuori porta San Vitale, l’Oca, fuori porta Lame, il Gallettino, fuori porta Sant’Isaia e il famosissimo Chiù, nei pressi del Ravone? E quelle osterie, ritrovi di particolari ceti di persone, come quella di via Broccaindosso per i cantanti e quella di via Cartoleria per i pescatori? Inoltre, anche le vie Begatto, Solferino, Maggia, San Vitale, del Carro, del Luzzo, il Meloncello e il Foro Boario vantano locali consacrati a Bacco da numerose generazioni di bolognesi, alcuni dei quali, come quella detta dell’Usciolino in via San Vitale, hanno conservato intatto il vecchio aspetto. Fra le centinaia di osterie che conta Bologna, la più piccola è quella del Luvèt in via degli Angeli e la più grande quella di via Carbonesi. Quest’ultima vanta pure, a nostro parere, la più della ostessa bolognese. L’ostessa più grassa è quella della “Lanterna Rossa” di via del Borgo. Una taverna assai caratteristica, anche perché si presenta ora affrescata di gustose scene bacchiche, è in via Clavature, di fronte a via Toschi. Se da questo punto facciamo qualche passo, possiamo ammirare anche la taverna di via Sampieri, dalle pareti tappezzate di quadri alcuni anche pregevoli. Motti e poesie inneggianti al vino, abbiamo inoltre letto nella “buchetta” Strada Maggiore e nell’Osteria detta dell’Imbariegh in Largo Respighi. Ma il bicchiere di vino da noi maggiormente gustato è stato quello della “buchetta” di via dei Poeti, un locale piccolo e stretto dove i clienti si trovano di fronte ad una grande cancellata di legno, interrotta da due fessurine attraverso le quali, previo pagamento anticipato, ti servono un quartino “di quello bono” che viene ancora conservato, come nei secoli passati, perché non perda freschezza e fragranza in orci d’ogni grandezza.

Da "Pomeriggio", Quotidiano d'informazione dell'Emilia, Bologna, 1 agosto, 1947. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti.