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Monumento di Robusto Mori

1900

Schede

Nel 1899 Tullo Golfarelli (1852 - 1928) è impegnato in una nuova commissione al Cimitero urbano di Cesena, per il monumento funebre del medico Robusto Mori, «degno e caro discepolo di Maurizio Bufalini», scomparso il 29 gennaio di quell’anno. La nobiltà d’animo e d’azione del defunto sono celebrate nell’epigrafe stesa a corredo del lavoro artistico: «Studiò la scienza indefesso praticò l’arte amoroso / e negli ospedali ne’ palagi ne’ tugurii / tanti lustri cotidianamente / prodigò dottrina zelo conforto / vissuto per l’ufficio e l’indole fuori e sopra le parti / si volgeva pronto allo splendore delle nobili idee / ventenne fu nel battaglione universitario di Pisa / per la libertà della patria / e sempre di poi dié il nome e spesso fu duce / a promuovere instituzioni di civile beneficenza».

Come altre volte, la cronaca locale dà larga eco all’avvenimento: «Per degnamente commemorare la virtù operosa, la dottrina sicura, la vita integerrima del dottor Robusto Mori, i cittadini di Cesena hanno voluto che Tullo Golfarelli, in un bassorilievo marmoreo, simbolicamente esprimesse le nobili qualità, che resero l’esistenza dell’estinto nobile e feconda di bene. E lo scultore illustre ha degnamente corrisposto al desiderio onorevole dei suoi concittadini, e nel marmo, con bella vigoria sintetica di concepimento, ha scolpito allegoricamente l’attiva bontà e la pietosa opera dell’uomo onorando, cui con animo grato e reverente vuolsi rendere onore» (“Il Cittadino”, 27 maggio 1900). Ne La Scienza (Igea) che visita il tubercoloso, inaugurata il 24 giugno 1900, Golfarelli effigia con grande potenza espressiva una povera donna, «accasciata ed oppressa», che sorregge sulle ginocchia il figlio esanime. Si lasci la descrizione del marmo alla calda prosa di Floriano del Secolo sulle pagine de “Il Cittadino”: «A questo [il figlio] un morbo terribile con crudeltà spietata ha minato e logorato inesorabilmente il tenero corpo, che debole e affranto si piega nella sua miserevole e gracile nudità, fra le braccia della madre; la quale lagrimosa invoca pietà, aiuto, conforto alla Medicina, raffigurata classicamente in una figura severa ed imponente. E sul volto della Medicina è espressa efficacemente tutta la tristezza per i dolori, ahime! non passabili di conforto alcuno, per le lagrime non potute asciugare, per i morbi incurabili; e nel contempo l’ansia affannosa del cercare con lena assidua e infaticata un balsamo salutare all’irreparabile logorarsi e sfasciarsi ed appenarsi della carne umana, tormentata ed insidiata in tutte le guise del male incoercibile e spietato. In fondo, scorgesi la Carità, dolcissima nell’aspetto e nell’atteggiamento: ella si avanza ed ha nella mano sinistra una simbolica spiga di frumento, e colla destra stringe la mammella gravida di latte, a significare il nutrimento che pietosamente ai poveri apporta. Riusciranno la Medicina e la Carità, simboleggianti le virtù del chiaro estinto, a ridare salute all’esiguo corpicciuolo, che il marmo riesce con virtù miracolosa a renderci in tutto lo sfinimento e l’esaurimento dell’inesorabile malattia? Ahimè, è così calda l’invocazione della madre che soffre e piange, ma pur mostra di non disperare!». È poesia, poesia pura tradotta nel marmo: una scultura che trasuda pathos, che muove alla pietas e che farà dire, più tardi, a Giovanni Pascoli: «Tullo Golfarelli è anch’esso un poeta, forte. […] Scultore, dunque, degno di Giosue Carducci, il mio Tullo!» (“Il Cittadino”, 2 dicembre 1906).

Silvia Bartoli

Testo tratto da: Silvia Bartoli, Paolo Zanfini, Tullo Golfarelli (1852 - 1928), Minerva Edizioni, 2016. Fonti: BMRBo, Album Golfarelli.