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Monna Ghita del Tovaglia

1866 ca.

Schede

Gaetano Belvederi (Bologna, 1821 - ivi, 1872), Monna Ghita del Tovaglia, 1866 ca. Ubicazione: ignota. Per l’esposizione della Protettrice del 1866 Belvederi propone: Il banco patrio fiorentino, ossia una povera donna che porta a donare alla patria suo figlio, nel mentre che le signore portano dell’oro e le proprie gioie. Il lunghissimo titolo, assai descrittivo, non deve trarre in inganno; infatti il dipinto di cui parlano sia i documenti della Protettrice, sia Masini – che da quelli attinge – si deve identificare in realtà con il lavoro che troviamo qui, sotto il ben più sintetico titolo di Monna Ghita del Tovaglia. L’opera dovette essere impegnativa e ambiziosa: molti personaggi, una grande messa in scena teatrale, credibilmente di grandi dimensioni, e fu messa in vendita per la cifra di mille lire. L’episodio si può leggere nel romanzo di Francesco Domenico Guerrazzi L’assedio di Firenze, pubblicato a Parigi nel 1836 sotto lo pseudonimo di Anselmo Gualandi. Guerrazzi (1804 - 1873) è oggi quasi dimenticato per via della sua prosa “dalla turgida pesantezza”, ma significativamente “di grande importanza per tutta la cultura della media e piccola borghesia laica del nostro Ottocento”. Il romanzo racconta delle vicende della Repubblica fiorentina negli anni 1527-1530 e vi compare l’episodio di monna Ghita, operaia dell’arte della seta e vedova (la donna vestita di nero leggermente decentrata), che offre suo figlio sedicenne Ciapo (il ragazzo al centro “armato di spada, di partigiana, e di barbuta”), in presenza del gonfaloniere Francesco Carducci e, tra gli altri, di Michelangelo Buonarroti. Le donne fiorentine, elegantemente vestite e che donano i loro gioielli, sono un inserimento narrativo necessario a rendere più eroico e drammatico il sacrificio della popolana. In questo è infatti concentrato l’interesse del pittore che non si lascia sviare dallo spunto offerto dal romanzo in chiusura dell’episodio: Michelangelo (forse il personaggio barbuto seduto in primo piano a sinistra che sussulta?) che prende a disegnare la fisionomia dell’orgogliosa e battagliera vecchia per effigiarla poi come la parca Atropo. Per inciso, l’aspetto della donna è addolcito rispetto alla Parca del dipinto della Galleria Palatina, ormai attribuito a Francesco Salviati (1510 - 1563), ma l’intenzione di Belvederi è di conservare più di ogni altra cosa l’effetto di fierezza patriottica, più che, come Nicola Sanesi (1818 - 1889) nella litografia per l’edizione illustrata del romanzo del 1869 (ed. Politti), di ricorrere al gusto del XIX secolo per il realismo sociale. L’identificazione di Monna Ghita con il quadro presentato alla Protettrice nel 1866 – e quindi ben otto anni dopo la romantica e neobarocca Fuga di Angelica – suggerisce un ritorno a una certa compostezza formale; inoltre questo dipinto è praticamente contemporaneo al Napoleone III per palazzo Pizzardi, che affianca all’impostazione apparentemente accademica, la ricerca di modernità attraverso l’esempio del Carlo Alberto a Oporto, di Antonio Puccinelli (1822-1897). Forse anche Monna Ghita ha la sua ragione più forte in un altro esempio del salone del Risorgimento: il Pier Capponi di Alessandro Guardassoni. La foto del dipinto, come la successiva, riporta una dedica del nipote, l’ingegnere Paolo Belvederi e rimanda a un momento preciso di frequentazione e a due date – il 1888 e il 1891 – che poterono esser occasione di questo duplice dono fotografico a Raffaele Belluzzi.

Isabella Stancari

Testo tratto da: Isabella Stancari, 'Il Primo album fotografico Belluzzi e i pittori bolognesi della Seconda metà del secolo XIX', Bollettino del Museo civico del Risorgimento, Bologna, anno LXIII - LXVI, 2018 – 2020, Bologna, 2022. Bibliografia: Società Protettrice 1866, n. 60; Masini 1867a, p. 16; Bologna 1983b, p. 199; Collina in Bologna 1994, p. 98.