Michelangeli Luigi Alessandro

Michelangeli Luigi Alessandro

1 Giugno 1845 - 12 Agosto 1922

Note sintetiche

Scheda

Luigi Alessandro Michelangeli (Iesi, 1º giugno 1845 – Bologna, 12 agosto 1922). "Quando venne a morire, nell'agosto 1922, le figliuole furono circondate da voci di sincero compianto. Venivano da ogni parte d'Italia; erano di insigni Maestri, di scolari non immemori della vita Sua modesta ed attivissima, mai beneficata e per tutto e per tutti spiritualmente benefica. Tra quelle voci suonò alta quella del nostro Studio glorioso per la bocca di uno degli illustri suoi cultori delle classiche letterature: Giuseppe Albini. Così Egli sentitamente e sobriamente si esprimeva: “Ho appreso con vivo e sincero rammarico la scomparsa del Michelangeli. Uomo onorato sotto ogni aspetto, né la sua modestia, né l'età incuriosa dei moderni toglieranno che Egli sia ricordato a lungo negli alti studi e riconosciuti i Suoi meriti, specialmente in parti nobilissime della letteratura greca”. E perché il silenzio intorno alla figura ed all'opera dello studioso tenace, del pensatore assiduo, nel maestro efficace e gentile, perché il prolungarsi biennale di un obblio irriverente ed ingiusto? Perché questi uomini, che trascorsero la vita con francescana umiltà nell'amore della famiglia e della Scuola e lavorarono silenziosi e fedeli nella loro orbita e sdegnarono di dar fuori squilli di tromba, non possono essere ricercati, nella vicenda della loro attività e della loro vita, se non da chi molto li conobbe e li apprezzò e può soltanto tentare una rievocazione, temperato che sia alcun poco l'intenso dolore per la loro dipartita.

Michelangeli naque a Jesi nel 1845 da famiglia di artigiani di condizioni disagiate. Nella piccola e ridente città delle Marche compì i suoi studi. Fu per Lui ventura di essere guidato dal ginnasio superiore al liceo da Giovanni Mestica e di avere consuetudine con Alcibiade Moretti. Qualche amico buono ed agiato lo avrebbe soccorso; ma per fermarlo in tenui atti di impiego, mentre egli sentiva l'impulso a continuare gli studi alla Università. Riuscì primo del concorso della fondazione scolastica Farri. Era il più degno, il più bisognoso. La borsa fu conferita invece al più ricco. Il giovinetto, che nel gracile corpo stringeva uno spirito forte e non domabile, diverse il suo cammino intellettuale. Diventò un maestro elementare nelle scuole del paese, ove anche gli fu conferito l'insegnamento delle materie letterarie per le due prime classi del ginnasio comunale, incarico che gli sarebbe stato mantenuto se fosse riuscito ad abilitarsi. Ed egli a piedi, con stenti infiniti, nel 1865, attraversando le regioni devastate dall'epidemia colerica, moltiplicando coll'animo le energie fisiche, venne a Bologna e sostenne ottimamente l'esame e partì con un viatico spirituale ristorante e incitatore: l'elogio di Giosue Carducci. Ed eccolo al ginnasio superiore di Lugo e poi nel '71 nel Liceo comunale di Rieti, dove si può dire incominciò il suo studio penetrante delle lettere greche. Le preoccupazioni finanziarie aumentarono, incalzano; deve provvedere alla moglie, alle tenere figliolette, al fratello... Jesi, prima immemore ed ingrata, lo invita con insistente richiamo; ma Egli – l'autodidatta – sente ormai di avere sotto il piede la sua strada e va a Firenze per ascoltare gli insegnamenti del Villari, del Conti e del Ferrucci e, per abilitarsi, supera tre serie di esami. Il piccolo viandante cade sfinito in un lungo esaurimento nervoso, l'ingresso all'Università è ancora chiuso; ma presto si aprirà. Nel 1873 intanto è fra noi, a Bologna all'Istituto Tecnico.

Da questo anno la sua vita si avvince a quella della nostra città, con una schietta e memorabile corrispondenza di affetti. Chi, dei discepoli, non lo ricorda tuttora? Era piano ed urbanissimo espositore della materia, gustoso e preciso correttore delle composizioni, lettore vivace ed armonico e delle più semplici e pure poesie greche commentatore estetico attraentissimo. Quanti lo ascoltarono leggere Omero ed Esiodo, Saffo ed Alceo, e specialmente alcuni poeti da lui prediletti come Anacreonte e Bacchilide di su la buona antologia del Romizi, che conteneva anche molte ricostruzioni e versioni di lui, non possono avere obliata quella sua gioia serena che si soave lume gli brillava negli occhi e il gesto ampio e grazioso con cui egli ritmicamente ravvolgeva la mano bianca e sottile per entro l'abbondante capigliatura che incorniciava la sua ben modellata fronte. Chi scrive ricorda di quanta stima il Michelangeli fosse circondato. Tutti gli volevan molto bene, dal Carducci al Gandino, dall'Acri al Brizio. Sapevano quanta esperienza di vita materiasse l'opera sua di educatore, e Raffaello Belluzzi lo volle collaboratore nel 1880 per il gruppo delle conferenze Dantesche alla lega per l'istruzione del Popolo. Uscirono – in questo periodo- le anacreontiche, ridonate alla esattezza del testo con critico acume e tradotte con limpida arte e rispetto degli spiriti e delle forme: il Brizio incuorò il Michelangelo a chiedere la libera docenza in letteratura greca, che egli conseguì nel 1885, svolgendo poi ottimi corsi all'Università. Quando, dieci anni dopo, venne a morte l'ordinario di greco prof Pellicini, fu affidata al Michelangeli la supplenza e nel 1895 fu nominato a Messina.

A Messina nel 1899 fu nominato ordinario e, da tutti pregiato e specialmente da Giovanni Pascoli che lo ebbe dilettissimo, assunse la Presidenza della Facoltà di Lettere che tenne dal 1900 al 1903. A Messina fu onorato dalla visita affettuosa di suo illustre ammiratore, il Prof. Blass dell'Università di Halle che conosceva il suo ampio lavoro critico di ricostruttore industre, di valente traduttore. Ma eccoci al tristissimo verno del 1908, al terribile terremoto che distrusse gran parte della città. Sprofondato nella notte dal terzo piano della sua casa, ferito in più parti del corpo, con le suppellettili disperse, i libri e i manoscritti quasi tutti perduti, Egli resta per tre giorni a terra dolorando, finché – imbarcato con altri ottocento feriti- ripara all'ospedale di Napoli, ove – curato e visitato amorosamente – poco a poco si rinfranca e guarisce. E lo ricordiamo ancora a Bologna, reduce dell'immane disastro. Qui poté accasarsi con difficoltà e disagio. A Bologna, Vittorio Puntoni sperò di fargli posto nell'università per una cattedra di grammatica; ma le barriere burocratiche si levarono senza pietà... i ministri si succedevano: Rava, Daneo, Credaro... senza che la condizione dello sventurato fosse considerata. L'Università di Messina si riaprì; ma in quale stato pietoso! La Facoltà emise un voto per soprassedere. Il Ministro obbligò invece la ripresa degli insegnamenti. Michelangeli è sfinito, non può risalire tosto il calvario e allora lo pongono in aspettativa. L'anno dopo analoga odissea, finché e costretto a ritornare colà e sopportare la Presidenza ancora e nel 1917, scoppiata la guerra, il rettorato. Ora la fibra del probo e forte pioniere si tronca. Chiede egli il riposo. Agostino Berenini lo nomina professore emerito della Facoltà.

A Bologna presso le dodici figliuole e i nipotini trascorse oscuramente gli ultimi anni, lento riandando e come in un sogno il mondo della bellezza greca di cui tanti tesori aveva levati nella luce della coltura e dell'arte. E Anacreonte e Sofocle, Teocrito e i Simonidi e il rivelato Bacchilide, e Arione e Asio, poi Euripide ed Aristofane, per non citar che i principali autori da Lui studiati, dalla diffusa bibliografia. Poeta aggraziato e melodico fu egli stesso e lo dimostrò nel volumetto elzeviriano “Giuochi di nervi” pubblicato dallo Zanichelli nel 1884 e che trae il titolo della prima brillante canzone. Michelangeli è molto in questa raccolta: vivo descrittore nei sonetti su la Sabina, fine ironista nei canti su la pubblica opinione, sul tiro ai piccioni, tenero nelle liriche famigliari, numeroso e scintillante nella salutazione a messer Giovanni Boccacci. E sono poi interessantissimi gli intermezzi contenuti abili, numerose versioni delle varie lingue antiche e moderne. In un periodico più non è possibile indugiare sopra la distesa, onesta e geniale attività dell'uomo che congiunse erudizione e buon gusto, come nella scuola e nella vita ebbe rigore e tenerezza e sempre poi plasmò le sue nobili sostanze nel decoro delle forme più squisite, onde la Sua figura ebbe coll'opera una bella unità di armonia e di compostezza. (Rodolfo Viti)".

Testo tratto da 'UN BUON MAESTRO, LUIGI ALESSANDRO MICHELANGELI' ne la rivista 'Il Comune di Bologna', aprile 1925. Trascrizione a cura di Zilo Brati. E' sepolto nel Cimitero della Certosa di Bologna, Corridoio annesso alla Galleria del Chiostro IX, lato destro, loculo 291.

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