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Giovanni Masotti

15 Giugno 1873 - 27 Agosto 1915

Scheda

Giovanni Masotti nasce a Bologna il 15 giungo 1873. Il padre Camillo, al momento di avviare il figlio agli studi, si trova in ristrettezze economiche, dovute a un incendio che distrugge il suo negozio e a una numerosa famiglia da mantenere, che conta cinque figli avuti dalla prima moglie, Teresa Brunetti. Il giovane Masotti, entrato in collegio nel novembre 1885, studia sotto la guida dei professori Alfredo Tartarini e Enrico Barberi.

Presso la collezione Venturoli rimane un nutrito gruppi di disegni, studi e dipinti dal vero, che riflettono il metodo di formazione seguito dagli insegnanti. Gli studenti vengono «messi fin dai primi giorni allo studio diretto del vero, senza alcun preconcetto di convenzionalismo o di scuole». L’obiettivo è imparare a riprodurre la realtà «con tutta sincerità», cogliendo «in ogni forma il carattere che la distingue e a rendere senza il minimo artifizio i rapporti di colore». Gli allievi hanno a disposizione una grande varietà di mezzi per esercitarsi, gite, scampagnate o soggiorni estivi, dove si può dipingere en plain air, ma possono contare anche su un ricchissimo apparato di collezioni, album, fotografie e stampe, una raccolta di piante (un grande libro con piante essiccate chiamato Erbario), un vero e proprio Gabinetto Scientifico, composto da minerali fossili, uccelli impagliati e una collezione di gessi e materiale architettonico di varia provenienza. A tutti questi stimoli si aggiunge la possibilità di lavorare in studio servendosi di materiali e modelli in carne ed ossa, che posano appositamente per i collegiali. Gli ambienti e la vita stessa dell’istituto, con le sue attività, diventa spesso una fonte di ispirazione, come testimoniano studi e vedute del collegio che anche Giovanni Masotti realizza in questi anni, tra il 1888 e il 1890. Un esempio di questa attività all’interno del collegio è un piccolo dipinto, conservato in collezione privata, Studio dal vero di modello nello studio, datato 1 gennaio 1891. L’opera raffigura un uomo con indosso una giacca verde, voltato di spalle e seduto, all’interno di uno studio pittorico. Il cavalletto, che sorregge una tela, rimanda a un gruppo di Studi e copie dal vero (1888-89), eseguiti negli anni precedenti, tra i quali spicca un drappo rosso su cavalletto. Interessante è il frammento di gesso decorato a motivi floreali che appare sulla destra del dipinto, oggetto che ancora si conserva nelle collezioni del collegio e che allora apparteneva a quel ricco repertorio di oggetti che gli studenti utilizzavano nelle loro esercitazioni. Pur essendo un'opera giovanile, realizzata a diciotto anni, il dipinto mostra già in nuce una caratteristica dello stile di Masotti, l’abilità nell’uso del colore, con una composizione armonica giocata sui toni del verde, del marrone e dell’ocra, dove risaltano due particolari eccentrici, la stoffa rossa che spicca sul verde della casacca e il bianco scintillante del gesso sul cavalletto. Il gusto per il colore viene coltivato e perfezionato da Masotti nel corso degli studi. Solo pochi mesi dopo, nell’estate del 1891, lo studente realizza alcuni studi dal vero nei quali, come annoterà il rettore Romagnoli, «diede a vedere quanto bene intuisce il colore e come fosse capacissimo di ritrarlo». Le ricerche coloristiche di Masotti raggiungono un primo interessante traguardo nella tela Coro di San Domenico con frati (1892), dipinta come saggio finale di «alunnato», il percorso formativo di otto anni presso il Venturoli. «Egregio quadro dipinto ad olio», secondo il giudizio del rettore, definito da Poppi «incline a un facile verismo di maniera», l’opera rivela tuttavia una piena padronanza di mezzi espressivi nell’intento di raccontare in modo suggestivo un brano di vita quotidiana. Se la scelta del soggetto rimanda al gusto coevo per le scene in ambienti sacri, più originale appare l’uso del colore. La contrapposizione del bianco brillante delle tonache e il fondo scuro della struttura lignea del coro preannuncia un certo gusto per l’effetto, che negli anni successivi porterà l’artista a superare la poetica puramente verista. Notevole è la resa di alcuni particolari realistici, come il pavimento sbrecciato colpito dalla luce e i raffinati intarsi del banco in primo piano. Del dipinto rimane anche un bozzetto preparatorio Studio per il Coro di San Domenico (1891), che raffigura la testa, con mano appoggiata, del religioso in ginocchio, ma privo del copricapo nero. La genesi del dipinto Coro di San Domenico con frati è interessante perché rivela una embrionale ma forte attrazione dell’artista per i temi dalla vita cittadina contemporanea. In una Relazione sugli studi artistici compiuti nell’anno scolastico 1892, Masotti scrive che la sua prima idea non era quella di rappresentare l’interno di una chiesa ma di confrontarsi con un «soggetto all’aria aperta», lo spettacolo offerto dal passeggio ai giardini, un vivace affresco realistico di vita urbana.

Qua davanti si succedono i gruppi più svariati: signorine dalle personcine snelle, gentili, bianche come gigli, cogli ombrellini di vividi colori staccanti dall’azzurro del cielo come grandi mazzi di peonie, di giunchiglie, di rose, di margherite; ufficiali dalle uniformi sfavillanti e scintillanti al sole di maggio, che tutto bacia e lambisce, fanno caracollare, volteggiare, andar di trotto e galoppare superbi cavalli; balie grosse e tondeggianti con fanciulli che ridono e si rincorrono; venditori di paste e d’acqua di limoni che urlano; giovanotti in scarpe gialle, lindi e attillati come fanciulle, che si fermano ancheggiando, facendo giocare colla dritta il grosso e nerboruto bastone alla moda; altri invece che si urtano schiamazzando e gesticolando si riscaldano, si scalmanano in un punto di politica o in una discussione universitaria; abiti di tutte le mode, da quella di Parigi a quella del Borgo di San Pietro, e che mi rivelano lo stato e la condizione della persona che li indossa, dal soprabito e dalla tuba alta, liscia e lucida del professore, alla giacca ed al berretto impolverato del mugnaio, dal profumato e lussureggiante vestito della marchesa, a quello raffazzonato della sartina.

E’ un vero peccato che Masotti non abbia realizzato questo soggetto degno di tante tele impressioniste, ma è comunque interessante leggere le sue intenzioni, soprattutto quando chiama in causa la moderna tecnica della fotografia. Scrive: «Io stavo immobile, attento ad osservare tutto questo mondo a spasso e avrei voluto aver la potenza della fotografia istantanea per disegnare quel gruppo, per fermare quella posa, per sorprendere quel movimento». Le difficoltà legate alla resa della luce e degli effetti atmosferici, suggeriscono al pittore di ripiegare su un soggetto più tradizionale e forse più semplice da realizzare. Tuttavia la realtà quotidiana e attuale continua ad affascinare l’artista, come mostra la scelta dei soggetti ai quali si dedica in questi anni. Presso il Collegio Venturoli rimane un Contadino, uno studio che rappresenta un uomo con un grande cappello giallo che riposa appoggiato ai gomiti. Può essere un lavoratore colto durante una pausa, mentre raccoglie le forze al termine di un duro lavoro. La realizzazione dell’opera, senza una data, può forse collocarsi intorno al 1892, lo stesso anno nel quale un compagno di corso di Masotti, Cleto Capri, dipinge un analogo soggetto, un contadino con la vanga sulle spalle. Confrontando la produzione artistica di Giovanni Masotti e Cleto Capri durante gli anni trascorsi al Venturoli si possono cogliere interessanti parallelismi, dovuti anche al fatto che gli studenti spesso si esercitavano prendendo a modello gli stessi soggetti, che poi rendevano secondo sensibilità e stile individuali. A prova del continuo interscambio di soggetti si può citare un altra coincidenza, la forte somiglianza tra l’uomo stempiato che compare Nel coro di San Petronio di Capri (1892) e un Ritratto di Masotti del 1891, che rappresenta una figura maschile. Qualche anno dopo il pittore sceglie un soggetto di vita cittadina dalla chiara intonazione sociale, il Venditore di immagini (1894). Il dipinto fu realizzato durante il periodo del Pensionato Angiolini, sussidio che veniva concesso ai migliori studenti per perfezionarsi nell’arte attraverso soggiorni più o meno lunghi in altre città italiane. Nei mesi di maggio e giugno 1894, Masotti soggiorna a Roma, realizzando diversi studi, in parte spediti ed esposti in collegio. L’artista in questa tavola coglie uno scorcio di vita quotidiana, un venditore ambulante che espone la sua merce davanti alla chiesa romana di San Giovanni Battista dei Fiorentini. La figura del venditore di strada con il capo abbassato e il lungo pastrano rievoca per un attimo il modello del giovanile Studio dal vero di modello nello studio, realizzato durante gli anni trascorsi in collegio. L’effetto del dipinto risulta lontano dai toni della denuncia verista e, grazie alle delicate tinte pastello e alla sapiente armonia dei colori, finisce per risolversi in un gradevole idillio. Tuttavia il dipinto conferma l’attenzione per il mondo dei lavoratori e della classi più umili, con la scena che sembra trasmettere allo spettatore un senso di desolata solitudine e di emarginazione nella quale viene calato il personaggio. Masotti, nell’elaborare la figura del venditore davanti ai gradini di una chiesa, può essersi ispirato a un precedente di Luigi Serra, i Coronari (1885), i venditori di corone e immagini sacre sul sagrato della chiesa romana di San Carlo ai Catinari. L’opera di Serra era nota a Masotti, che aveva avuto l’occasione di vederla più volte, anche grazie alle uscite che i giovani studenti compivano collettivamente insieme ai loro insegnanti. I viaggi in altre città non solo fornivano un pretesto per esercitarsi all’aria aperta ma fornivano un grande stimolo culturale. In primo luogo davano agli studenti l’opportunità di confrontarsi con la realtà del proprio tempo, segnata da profonde trasformazioni, tra le quali l’avvento della nuova società industriale. La lettura dei diari evidenza ad esempio la grande fascinazione che il treno, simbolo della modernità, esercitava sulla fantasia dei giovani artista. Così descrive Giovanni Masotti il viaggio da Bologna a Ravenna il 13 marzo 1892: Doveva esser l’ora forse! Alla stazione non v’era il solito movimento; il solito via vai di treni, di folla; il solito frastuono assordante che ti dà tutta l’idea d’una vita attiva che ferve, che palpita. Era un’istante di riposo, era assopimento. Montammo in treno: alle 6 precise. «Partenza per Ravenna, per le Romagne». Gli sportelli sono sbattuti violentemente, le campane rintoccano, i campanelli elettrici trillano, la locomotiva fischia, sbuffa, siamo in viaggio. E’ una linea monotona, non presenta nulla di straordinario. Guardando fuori dai vetri opacati il fumo che si prolungava compatto in una larga nuvola vaporosa, che ora scendeva a lambire il terreno, ora si accavallava in ampie volute prendendo mille forme strane di aerei e fantastici fantasmi che rompevano la tinta di cielo di neve uguale eterno.

Il treno si connette al mito della velocità. «Il treno lampo ci involava, colla velocità propria del fulmine, da Firenze», scriveva l’anno prima Masotti descrivendo un altro viaggio sui binari. Parole che possono rievocare per un attimo Pioggia, vapore e velocità, il capolavoro dell’inglese William Turner dipinto nel 1844. Il treno significa anche città, attività chiassose in un contesto urbano. Scrive Giuseppe Romagnoli, compagno di Masotti: A Modena! Il treno s’avvia sbuffando e con strepito fra quell’immensità di carri, di carrozze, di officine popolate di centinaia d’uomini, intenti al loro lavoro. Tanta vita e tant’ordine ti stupisce; che cosa non ha prodotto l'invenzione della macchina a vapore! Il treno compare in un quadretto, segnalato da Roberto Martorelli, Veduta del Ponte della Libertà di Venezia, dipinto da un altro allievo del Venturoli, Odoardo Breveglieri, ospite del collegio nell’alunnato precedente a Masotti (1876-1884). Un curioso segnale della nascente società industriale spunta in un piccolo dipinto di Masotti, Il lido di Casalecchio presso la birreria Ronzani a Casalecchio, ascrivibile con molta probabilità al periodo delle esercitazioni giovanili. Nella tela si colgono in lontananza, ma in modo pienamente riconoscibile, gli stabilimenti Ronzani, che furono delocalizzati da Bologna al lido di Casalecchio di Reno nel 1887. Gli allievi del Venturoli raccontano nei diari di essere passati per Casalecchio, almeno tre volte tra il 1889 e il 1890. Sia nell’opera di Breveglieri che in quella di Masotti l’elemento che rappresenta la modernità si staglia in lontananza, quasi si perde nel paesaggio, ma rimane comunque significativo per cogliere l’affiorare di una nuova sensibilità.

La pittura di storia e l’impegno sociale | Il periodo di formazione di Masotti presso il Venturoli si conclude definitivamente con lo scadere del pensionato Angiolini, al termine del quale l’artista lascia come saggio finale il dipinto Leonardo mentre dipinge la Gioconda. Negli anni del pensionato aveva presentato all’istituto, oltre al Venditore di immagini, altre prove come una Laguna, eseguita a Venezia e oggi dispersa. Agli anni del pensionato si possono riportare due due tavole à pendant oggi di proprietà della Pinacoteca a Bologna, Cattedrale di Pisa (1896) e Aosta, che offrono vedute architettoniche di scorcio, dove «l’interesse del pittore si focalizza sulla geometria dei materiali costitutivi dei monumenti rappresentati, che vengono analizzati con precisione prospettica». Parallelamente all’attività di perfezionamento, sostenuta dal Venturoli tramite la sovvenzione «Angiolini», l’arista lavora alacremente per partecipare alle esposizioni della Società Francesco Francia, fondata a Bologna nel 1894. Le opere presentate negli anni, dal 1895 al 1906, spaziano negli ambiti più diversi, studi dal vero, paesaggi, composizioni dal tema sentimentale e perfino un quadro di vaste proporzioni intitolato Sirene, esposto nel 1901, che non riesce a convincere la critica a causa delle «stridule colorazioni». Nel 1895 Masotti presenta alcuni Studi su Venezia, nel 1897 una Flora Rusticana. Nel 1898 compaiono sei lavori, tra i quali spicca Fiori senza amore, opera tuttora esistente e che all’epoca ebbe un certo successo anche all'estero, come testimonia una cartolina con la scritta in tedesco «Blumen ohne Liebe». Il dipinto viene ricordato nei diari tenuti dagli allievi del collegio come «uno dei migliori dell’esposizione», con la sua «giovane abbastanza bella, elegantemente vestita, con fiori in mano, che mira con aria triste e quasi invidiosa due contadini che si allontanano». Sul finire del secolo l’artista approfondisce il suo interesse per le tematiche sociali. E’ del 1899 il dipinto Dopo la tempesta, che rappresenta una famiglia contadina che vede distrutto il raccolto dal maltempo. L’opera viene lodata da Patrizio Patrizi, frequentatore al pari di Masotti dello ‘scapigliato’ circolo dei giambardi bolognesi, in particolare la «virile figura del contadino triste e pensoso per perduto raccolto» che risulta «dipinta con mano robusta e con profondo sentimento espressivo». Il dipinto, per il messaggio sociale calato in un’atmosfera fiabesca, può richiamare la grande tela di Alfredo Savini, Auxilium ex alto, vincitrice del Concorso Baruzzi nel 1896 e riproposta alla rassegna della Francesco Francia nel 1898. Il quadro di Masotti può ricordare anche i paesaggi montani di Giovanni Segantini, nei quali la rappresentazione della vita delle classi più umili viene trasposta in una dimensione mitica dal significato universale. Masotti non aderisce né al simbolismo, né al divisionismo, ma doveva conoscere Segantini, che aveva esposto a Bologna nel 1888 il dipinto La stanga. Forse non è un caso che Dopo la tempesta sia stata dipinta da Masotti proprio nel 1899, anno della morte di Segantini. A questo artista, sempre nel 1899, Gabriele d’Annunzio dedica uno dei suoi scritti, Per la morte di Giovanni Segantini, dove celebra le solitudini montane ed esalta la magnanimità del pittore. D’Annunzio, «cui era giunta voce della fervida fucina giambarda», era stato ospite del cenacolo culturale di Palazzo Bentivoglio «durante una sua sosta a Bologna». Allo stesso milieu dei contadini di Dopo la tempesta si può accostare un altra figura, il protagonista di Stanchezza, «stanca figura di lavoratore che nell’abbandono cascante del corpo e dello sguardo esprime con evidenza il peso del lungo travaglio e della dura fatica». Patrizi ricorda un altro soggetto di Masotti, ispirato ancora una volta alle classe lavoratrice. Il dipinto, al momento noto solo tramite una fotografia, si intitola «Sospiro ai monti» e rappresenta «una giovane donna scesa dalla montagna, per cercar lavoro in città», che «con la testa appoggiata al palmo della mano in un movimento di molle abbandono guarda i monti lontani che si intravvedono al di là di un giardino sospirando». Il passaggio da una società agricola a una proto-industriale è un tema che Masotti coglie con particolare sensibilità e che si insinua anche nelle composizioni di intonazione più leggera. E’ il caso di Preludio, che rappresenta una scena notturna con due innamorati. Il soggetto, gradevole e galante, può ricondurre all’attività di Masotti illustratore, che nel 1898 collaborò con Il Natale de l’Academia de la lira, opuscolo espressione della cerchia dei giambardi. Nel dipinto c’è un particolare che sembra sollevare l’artista al di sopra del clima goliardico per avvicinarlo alle coeve sperimentazioni di verismo sociale, portate avanti da artisti come i divisionisti Giovanni Sottocornola e Plinio Nomellini. La luce artificiale che brilla nel buio della notte è un banco di prova per Nomellini nel Mattino in officina (1893) e per Sottocornola in Dicembre. L’alba dell’operaio (1897). Un dipinto nel quale confluiscono i molteplici aspetti della personalità pittorica di Giovanni Masotti è il Ritratto di Giuseppe Garibaldi. L’interesse per la figura dell’eroe risorgimentale richiama il Masotti pittore di storia, autore delle due tele di proprietà della Pinacoteca di Bologna rappresentanti la morte di Anita Garibaldi, ma con un particolarità. Il modello che compare nel ritratto non sarebbe ispirato direttamente al generale, ma diversi studiosi, su intuizione di Alberto Rodella, tendono a identificarlo con Alberto Caburazzi, personaggio della bohème petroniana, che era stato protagonista di uno scanzonato episodio avvenuto nel 1903 all’interno della comunità artistica dei giambardi. Narra Alfredo Baruffi: Il concorso Curlandese di quell’anno, destinato alla pittura, aveva per tema: «La morte di Anita Garibaldi» […] I modelli furono trovati facilmente. Alberto Caburazzi, poeta sfaccendato, sembrò subito un possibile Garibaldi: si lasciasse, soltanto, crescere per qualche giorno la fulva barba ed i capelli, e di più non gli si chiedeva per adattare il suo aspetto alla bisogna.

La figura di Garibaldi-Caburazzi presenta una netta somiglianza con l’uomo che piange la morte di Anita, nella tela che Masotti dipinge nel 1904. Qui Garibaldi appare spogliato dei suoi abiti tradizionali, come la camicia e il fazzoletto rosso, indossa una giacca che lo confonde con le persone del popolo e appare come un uomo piegato dal dolore piuttosto che come l’Eroe dei due Mondi. Nel Ritratto spira lo stesso sentimento di malinconia, che denuncia la fine degli entusiasmi che hanno segnato l’epopea risorgimentale. La scelta figurativa compiuta da Masotti da una parte riflette ragioni storiche. Nei resoconti che ripercorrono l’episodio della fuga di Garibaldi, dopo il crollo della Repubblica romana, e la morte di Anita concordano nella descrizione pittorica fornita da Masotti. Per quanto riguarda l’abbigliamento, sappiamo che Garibaldi viaggiava in incognito. Racconta Nino Bonnet che il generale «vestiva sempre da contadino» e una volta, dopo essere stato riconosciuto, fu costretto a scambiarsi gli abiti con i suoi fedelissimi, indossando un paio di «calzoni», un «gilet» ed una «giacchetta decente». Anche la reazione di composto, ma desolato, abbattimento dell’eroe di Masotti trova un corrispettivo abbastanza fedele nelle parole di Bonnet, che scrive: Infatti seppi di poi che, spirata l’Anita, e rivolto un fervido appello agli astanti per una decorosa sepoltura della salma, il Generale, accasciato sotto il peso del proprio dolore, aveva abbandonato quel teatro di morte, e s’era cacciato nel vicino Pineto, colla scorta di un povero villico.

La giacca indossata dal Garibaldi-Caburazzi trova un curioso corrispettivo in un abito tuttora conservato al Museo del Risorgimento di Bologna, una redingote marrone, proveniente dalle donazioni patriottiche fatte a Bologna durante le prediche di Ugo Bassi. Il particolare dimostra la sostanziale aderenza di Masotti al fatto storico e lo scrupolo della sua ricerca documentaria. Tuttavia l’abbigliamento dimesso e popolare dell’Eroe può rispondere a un altro stimolo culturale. Il Garibaldi di Masotti ha tutto l’aspetto dell’ uomo del popolo e, come il Contadino realizzato ai tempi del Collegio Venturoli, sembra uscito da un dipinto di Pellizza da Volpedo, e più precisamente da Il Quarto Stato, terminato nel 1901. Come segnalato da Giuliano Garuti, Masotti può essere stato realmente influenzato da Pellizza da Volpedo nella realizzazione del Ritratto di Garibaldi come nella tela La morte di Anita del 1904, che appare come una «versione ripensata» di quella precedente dipinta qualche anno prima. Il pittore de Il Quarto Stato passò da Bologna in quegli anni e più precisamente nel maggio 1905, quando fu invitato in città per prendere parte alla commissione del Concorso Baruzzi, insieme ad Augusto Maiani, Raffaele Faccioli, Cesare Laurenti e Giuseppe Lipparini. Un documento conservato nell’archivio della Società Francesco Francia, firmato anche da Pellizza da Volpedo, attesta che il giorno 22 maggio 1905, tale commissione si riunì nel Salone del Podestà anche per esaminare le opere esposte nella mostra della Francesco Francia, alla quale partecipava anche Giovanni Masotti con cinque opere, a giudicare dai titoli dedicate al paesaggio, Pracchia alta, Sotto i castagni, Il Reno a Pracchia, Cà di Tafoni, Alla sorgente di Forra Matta. Il rapporto di Pellizza con Bologna era già in atto da parecchi anni, favorito dall’amicizia con Giuseppe Lipparini, altro personaggio molto attivo sulla scena culturale bolognese, scrittore e frequentatore dell’Accademia della lira, insieme a letterati come Giosue Carducci, Enrico Panzacchi e Lorenzo Stecchetti alias Olindo Guerrini. Nell’epistolario del pittore di Volpedo rimane traccia della corrispondenza con Lipparini, direttore di un periodico letterario «Il Tesoro», inoltre nel 1897 sulle pagine di questo giornale si legge un breve articolo firmato proprio da Pellizza da Volpedo. L’apice dell’impegno civile è raggiunto da Masotti con Bandiera bianca, opera presentata al Concorso Baruzzi del 1902. Il dipinto riporta un «episodio doloroso delle agitazioni popolari», forse la manifestazione dei lavoratori nel maggio 1890 per ottenere la riduzione ad otto ore dell’orario di lavoro. Per riportare l’ordine intervengono le forze armate causando diversi incidenti. L’episodio del bambino, sollevato davanti ai soldati come bandiera bianca per ottenere una tregua, trova un riscontro nei resoconti dell’epoca. Si legge su Il Resto del Carlino, venerdì 2 maggio 1890:

La cavalleria spiegandosi percorre la piazza costringendo gli ultimi rimasti a rifugiarsi sotto i portici e sulla gradinata di S.Petronio. Accadono in questo mentre scene spiacevolissime. Sotto l’arco che mette a Via Pescherie Vecchie una squadriglia di fantaccini incalzando dimostranti e spettatori fanno nascere un parapiglia: un povero ragazzo è alla lettera sollevato fra parecchie baionette e sospinto di qualche passo, fra proteste vivissime e grida di raccapriccio. L’episodio è davvero disgustoso! La cavalleria interviene e comincia a caricare i diversi assembramenti, costringendoli giù per Via Accuse, per le Spaderie e Via degli Orefici. Sotto il voltone del Podestà ove la gente fischia e impreca, un furiere s’impazienta e carica al trotto i fuggenti, travolgendo sotto le zampe del cavallo un povero bambino di otto o nove anni. Si leva un grido d’orrore; sul macigno levigato un cavallo sdrucciola e trascina il soldato nella caduta. Altro momento penoso. Il capitano dei carabinieri Bignami accorre e raccomanda la calma, mentre un popolano, forse il padre, solleva tra le braccia il piccolo caduto e piangendo e protestando si allontana.

Dell’opera Bandiera bianca oggi rimangono due versioni, una presso le Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Carisbo, l’altra presso il Mambo. E’ probabile che la prima corrisponda al bozzetto preparatorio che Masotti dipinse per partecipare al Concorso Baruzzi del 1902, mentre l’altra rappresenti l’opera finita, terminata nel 1905. Analizzando i documenti relativi al concorso, «bozzetto» è il termine che viene usato per designare Bandiera bianca, l’opera «del giovane pittore bolognese signor Giovanni Masotti», ritenuta dalla commissione «meritevole del premio». Il quadro Bandiera bianca, «eseguito secondo i precetti dell’arte e conforme al bozzetto premiato» venne consegnato da Masotti al Comune di Bologna alcuni anni dopo, nel luglio del 1905. Per giudicare la buona riuscita del dipinto allo stadio finale venne istituita anche una commissione ad hoc, composta da Raffaele Faccioli, Giuseppe Tivoli e Marcello Dudovich. La vicenda narrata in Bandiera bianca registra un fatto di cronaca, ma con alcune licenze poetiche, evidenti soprattutto nella definizione dello spazio e delle architetture. E’ una ricostruzione immaginaria dell’attuale Piazza Maggiore quella che Masotti dipinge in Bandiera Bianca, mescolando elementi reali e prospettive fantastiche, come il basamento di San Petronio che appare in primo piano con la facciata della basilica sullo sfondo. La ricostruzione del pittore si pone in sintonia con un diffuso gusto dell’epoca, richiamando l’eclettismo di Alfonso Rubbiani, fondatore insieme al conte Francesco Cavazza dell’Amelia Ars (1898-1903), che annovera tra i suoi collaboratori lo stesso Masotti. La scelta del soggetto risponde a quell’interesse per il «vero» che Masotti aveva sempre coltivato. Fin dai tempi del pensionato Angiolini, nel 1894, l’artista si esercitava con «schizzi, impressioni alla stagione e sul basamento di S. Petronio». Il basamento della basilica costituisce una fonte di ispirazione anche per Fabio Fabbi e Raffaele Faccioli, che realizzano due dipinti incentrati sullo stesso soggetto, lavoratori privi di occupazione che stazionano sulle sedute e sui gradini della chiesa. L’attenzione per l’emergere della questione sociale avvicina Masotti alle tendenze più avanzate della pittura italiana, pur risolvendosi in soluzioni stilistiche differenti. Nel 1891, lo stesso anno dei fatti narrati in Bandiera Bianca, Emilio Longoni aveva esposto alla Triennale di Brera L’oratore dello sciopero, che ritrae una manifestazione di piazza dominata dall’ «energica figura di un operaio ribelle» che arringa il popolo da un’impalcatura. Nel 1903 la figura dell’oratore longoniano viene descritta come «una specie di bandiera vivente issata all’assalto», definizione che coglie una nota retorica simile a quella che anima Bandiera Bianca. Questa qualità del dipinto di Masotti era stata colta già dai contemporanei, che definiscono Bandiera Bianca opera «retorica», ma con «una certa scioltezza di fattura e una notevole abilità d’aggruppamenti». Longoni è un artista apprezzato da Masotti, che nel 1894 aveva potuto trarre suggestioni e linfa creativa dalla visita all’Esposizione artistica che si tiene a Milano in quell’anno. Masotti racconta di essere rimasto colpito da quattro opere in particolare, tra le quali Dio li accompagni! di Luigi Faldi e le Riflessioni di un affamato di Luigi Longoni. L’impegno sociale avvicina Masotti a Longoni, ma l’artista bolognese non abbraccia la tecnica divisionista, utilizzata sia nell’Oratore che nelle Riflessioni. Il dipinto Bandiera Bianca, pur improntato a una tecnica più tradizionale del divisionismo, mostra comunque, come rilevato da Claudio Poppi, un «superamento» del «facile verismo di maniera», eredità ottocentesca, a favore di una «enfasi retorica e teatrale dei personaggi, aggruppati con un preciso senso scenografico» che rivela una «tendenza all’idealizzazione prima assente». Teatralità e idealizzazione sono aspetti che possono avvicinare la pittura di Masotti alle coeve sperimentazioni lombarde. In particolare l’uso della luce, anti-naturalistico, si svolge in chiave retorica illuminando come un riflettore il bambino vestito di bianco e producendo un gioco di bagliori (evidente soprattutto nel bozzetto) che si riflettono sui marmi della chiesa, alterando la normale colorazione delle superfici. Tale soluzione produce un effetto accostabile all’«inutile festa di sole», che rende la desolazione degli interni del Pio Albergo Trivulzio di Angelo Morbelli. La figura del bambino protagonista di Bandiera Bianca può trovare un interessante corrispondente figurativo in un’illustrazione di Duilio Cambellotti, pubblicata nel maggio 1902 sulla rivista Fantasio. Un bambino viene sollevato da un paio di braccia, in un tripudio di ramoscelli d’olivo e un incudine, simbolo del lavoro manuale. Il disegno costituisce la copertina del numero dedicato alla festività del primo maggio. La rivista Fantasio, edita a Roma e diretta dal cesenate Amedeo Mazzotti, riunisce tra le fila dei suoi illustratori diversi bolognesi, Giuseppe Romagnoli, Gigi Bonfiglioli, Luigi Bompard, Carlo Jeannerat, tutti frequentatori del circolo dei giambardi. Il romano Duilio Cambellotti, due anni prima, aveva collaborato come illustratore con il periodico bolognese Italia Ride, insieme ad altri artisti di fama nazionale, come Balestrieri, Chini, Kienerk, Soffici. Tra i disegnatori di Italia Ride naturalmente ci sono moltissimi bolognesi, tra i quali Romagnoli, Bonfiglioli, Bompard e Jeannerat, che, dopo la brevissima stagione del periodico felsineo, proseguiranno il loro impegno in Fantasio. Tale intreccio di nomi e collaborazioni è importante, perché rivela l’esistenza di un ambiente comune nel quale gli artisti potevano attingere idee e soluzioni, un vero e proprio cenacolo culturale, che permetteva agli illustratori di intrattenere un dialogo a distanza, anche da città diverse.

Artista del sacro | Dopo la pittura storica, Masotti decide di confrontarsi con la pittura religiosa. La Crocifissione di Cristo, oggi conservata presso la chiesa di Santa Maria e San Domenico della Mascarella, è considerata l’opera maggiore dell’artista già dai suoi contemporanei «per le dimensioni del quadro, per la coscienza comunicativa della pittura, la vastità della concezione, l’arditezza della tecnica con la quale con sentimento realistico interpretò il grande dramma». Il dipinto era inizialmente destinato a una cappella del portico di San Luca, ma l’eccessiva esposizione agli agenti atmosferici finì per suggerire una diversa collocazione. Dopo quindici anni, fu donato da Angelo Brunetti, zio di Masotti, alla chiesa della Mascarella, dove venne trasferito nell’ottobre 1924. Più complessa è la datazione. Realizzato certamente nel primo decennio del Novecento, il dipinto può risalire già ai primi anni del secolo, secondo la testimonianza del Rivani che ricorda la tela tra «le migliori opere eseguite nel principio di questo secolo dal prof. Giovanni Masotti». Nel rendere la pagina evangelica della Crocifissione, Masotti si serve di un linguaggio originale, inedito per l’ambiente artistico bolognese. «Interpretazione singolare e potente del grandioso dramma della cristianità», scrive Patrizi, che sottolinea come il pittore si discosti dal «tradizionalismo storico» a favore del «verismo» con il quale rende lo strazio dei personaggi. L’impressione di sostanziale novità che l’opera dovette suscitare agli occhi dei bolognesi si può spiegare solo in parte con la scelta iconografica inconsueta dei «crocifissori in fuga» (Rivani). Ad attirare l’attenzione è soprattutto il verismo che caratterizza le figure in primo piano e lo sfondo, solcato da «nubi oscure e tempestose», attraverso le quali filtrano «scintille e bagliori». Sicuramente il dipinto, nei suoi effetti di luce, risulterebbe più facilmente leggibile con un restauro, che riuscisse a rimuovere la patina di polvere. Tuttavia, anche nello stato attuale, è possibile cogliere nella Crocifissione lo stesso gusto per gli effetti e i giochi di luce che animano Bandiera Bianca. L’abilità nell’uso del colore e l’interesse per la luce caratterizza fin dalla giovinezza l’attività di Masotti. «Ingegno di coloritore brioso e audace», viene definito alla sua morte, «amante di particolari contrasti di luce o di forme nelle figure» . Lo sfondo burrascoso e i bagliori di luce costituiscono l’ambientazione di un dramma sociale, che si esprime attraverso il forte realismo dei personaggi in primo piano. Figure femminili che hanno tutto l’aspetto delle donne del popolo, con i loro piedi sporchi e laceri che spuntano dalle vesti dimesse. Per cogliere appieno il realismo che Masotti immette nella storia sacra può essere utile un confronto con un dipinto di Fabio Fabbi, La questua, che ritrae una popolana con un fazzoletto in testa e un bambino in braccio, seduta a terra a chiedere l’elemosina, figura femminile molto simile alla Madonna giacente di Masotti. Lo sfondo tempestoso e il realismo della Crocifissione possono ricordare il capolavoro di Eugene Delacroix, La Libertà che guida il popolo (1830), confermando l’impressione che Masotti, per rendere un soggetto sacro, si sia servito di un’iconografia rivoluzionaria. La rappresentazione del pittore bolognese è molto meno cruda, ma mescola realismo, e messaggio sociale con elementi simbolici, quali la bandiera sullo sfondo e il raggio di luce che esce dalla nuvole per illuminare il tempio di Gerusalemme, appena visibile in lontananza (Fornasini). La citazione della città sullo sfondo, che serve a contestualizzare l’evento, può richiamare la Parigi dei moti rivoluzionari, appena accennata nella Libertà che guida il popolo, ma anche la città infuocata di Dite in un’altra famosa tela di Delacroix, Dante e Virgilio all’inferno (1822). Inoltre il tema della bandiera può fare da trait d’union fra la tradizione francese, incarnata da artisti come Delacroix e Meissonier (L’assedio di Parigi, 1870) e quella italiana di Masotti, come avviene soprattutto in Bandiera bianca, con la sostanziale differenza che il vessillo innalzato dell’artista bolognese non è il tricolore. Agli inizi del Novecento, esaurito ormai l’entusiasmo per gli ideali risorgimentali, l’artista rinuncia a sventolare la bandiera della nazione, a favore delle utopie di giustizia sociale, invocate dalle nuove dottrine socialiste e ben esemplificate dalla figura candida ed innocente del bambino coinvolto negli scontri. Quanto Masotti conoscesse la pittura francese è una questione che rimane aperta. A proposito si può citare un passo dei diari, che testimonia come gli allievi del Venturoli fossero aggiornati sugli sviluppi dell’arte contemporanea, anche grazie alla biblioteca del collegio, che comprendeva una vasta raccolta di riviste. Giuseppe Romagnoli, compagno di Masotti, racconta come un giorno gli fosse capitato tra le mani «un giornale» dove venivano esposti «alcuni pensieri sull’arte» relativi agli imitatori dei quadri di Delacroix e Corot. Meissonier invece passò da Bologna proprio negli anni durante i quali Masotti studiava al Venturoli, più precisamente nell’autunno del 1886. L’interpretazione del tema sacro offerta da Masotti può trovare terreno fertile nel clima culturale alimentato da scrittori e intellettuali, come Giouse Carducci e Giovanni Pascoli. Come sia possibile che Masotti si serva di un’iconografia di stampo rivoluzionario per raccontare un fatto cristiano lo spiega un passo di Carducci, nel discorso in difesa del suo Ca Ira, raccolta di versi che esaltavano la rivoluzione francese del 1789.

Oh no, questi due versi sono il verbo della missione di Gesù: Chiunque s’innalza sarà abbassato, e chi si abbassa sarà innalzato (Luca, XIV, II). Che se vogliamo discutere sulla civiltà di quella missione, discutiamo pure, ma altrove; per ora stia fermo che la rivoluzione francese fu un moto storico altamente cristiano, che la canaglia sanculotta strillando il ca ira cantava le massime del Nazareno, il quale anche affermava essere venuto in questo mondo a portare non la pace ma la spada. Per ciò vede l’onorevole M.T., che, se la ribalda canzone giacobina ha degli accenti pur troppo feroci […] ne ha pure di quelli che risuonano con evangelica semplicità il sociale rinnovamento predicato da Gesù.

Il testo carducciano, composto nel 1883, trova un parallelo nel pensiero giovanile di Giovanni Pascoli, che dichiarava di «non trovare contraddizione tra socialismo e cristianesimo essendo ben chiaro nel Vangelo che il primo e più grande socialista era stato Gesù». La figura del Cristo socialista era un’idea radicata all’interno dell’Internazionale anarchica e il concetto di cristianesimo come rivoluzione e rigenerazione della società era stata utilizzato anche da Andrea Costa nel suo discorso al processo del 1876. Un aspetto curioso di questo parallelismo tra la figura di Gesù e i nuovi redentori socialisti è la rappresentazione del Cristo non solo come eversore, ma anche come «senza dimora». In un sonetto composto poco dopo il 1878 e dedicato all’amico Sveno Battistini, Giovanni Pascoli mette in scena il dramma tra Ponzio Pilato e il Nazareno. Già tempo un rei procurato romano / alla croce dannava un vagabondo / galileo, grande il cuor, puro la mano, / misero, e amava i dolci amici e’l mondo; / […]

Il Gesù di Pascoli è un «vagabondo», proprio come gli anarchici socialisti. Una delle accuse più ricorrenti nei processi era, non solo quella di «associazione a delinquere», ma anche quella di «oziosità e vagabondaggio», per cui fu ammonito e inviato a domicilio coatto anche Andrea Costa. Alla luce di questa considerazione il parallelo tra la Madonna di Masotti e la mendicante di Fabbi può rivestirsi di un significato più profondo, che va al di là di una pura professione di realismo. Questa precisa scelta iconografica operata dal pittore bolognese, la rappresentazione della Madre di Dio come come popolana senza dimora che chiede l’elemosina, può offrire un’ulteriore conferma di una sostanziale adesione dell’artista alle idee socialiste. All’interno della produzione sacra del pittore rientra L’Immacolata, la grande tela commissionata a Masotti per l’altare principale dell’Oratorio di San Filippo Neri, restituito ufficialmente al culto dopo un lungo periodo di abbandono il 28 aprile 1907, giorno della cerimonia di inaugurazione. L’opera purtroppo è andata dispersa durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale nel 1944 e oggi rimane soltanto la sua riproduzione fotografica. Uno scritto contemporaneo descrive il dipinto in questi termini:

Ma a Giovanni Masotti, la rappresentazione pittorica di una Immacolata è apparsa come una sinfonia semplicissima di candori gigliati e di azzurro composta intorno ad un episodio celeste: in alto e nel fondo luminoso - unico e potente simbolo del Mistero Cristiano- Gesù in croce, definito a leggero rilievo di forme; nel piano avanzato della scena, la Madonna umanamente modellata in mistica contemplazione, le braccia dolcemente conserte sul petto, non ha né nimbo né stelle, ma tutta è avvolta da un candido manto che in largo e ricchissimo panneggio digrada sempre più diafano e diventa in lontananza un trionfo di nube. In un volo scherzoso, gruppi d’angioletti aggirano la Madonna e stringono nelle manine gli estremi lembi del manto ed offrono gigli. La luce cadendo perpendicolare nell’atmosfera d’azzurro ha offerto al pittore mille riflessi e sfumature e ombre in toni bianchi difficili ad essere resi. Guardando il grande quadro dal mezzo della sala, si comprende che il Masotti ha voluto intonare in carattere della sua pittura con la gioia festività settecentesca di tutto l’Oratorio, pur così semplice d’architettura. L’arista, e cioè va lodato, ha voluto adoperare elementi tecnici da lui ottenuti con lunga esperienza, servendosi di colori preparati come ad encausto, senza tuttavia che la pittura possa dirsi tale.

L’opera sul piano stilistico testimonia l’abbandono da parte dell’artista del verismo di stampo ottocentesco, che caratterizza ancora la Crocifissione. La svolta viene colta già dai contemporanei, che giudicano positivamente la scelta di «temperare l’umanesimo», inteso come realismo, servendosi di «una luce mistica che circonda tutte le figure e le unisce nella severità del Simbolo cristiano». I giochi di luce, che dovevano essere presenti in questo quadro, non sono rilevabili dalla fotografia in bianco e nero, ma si può osservare che la figura della Vergine, nonostante l’ambientazione celeste, conserva qualcosa di carnale, insieme a una certa sensualità. Masotti non abbandona del tutto la forte inclinazione per il realismo, tanto che il volto della Madonna, con la folta chioma riccia che fuoriesce dal velo, ricorda un’illustrazione dal tono mondano pubblicata da Masotti su Il Natale del l’Academia de la Lira (1898), il volto di una donna di profilo con un’acconciatura molto simile alla Vergine dei Filippini. Il Natale de la Lira, pubblicazione che nel formato e nell’impaginazione ripete fedelmente il catalogo della I mostra della Secessione viennese tenutasi nel maggio dello stesso anno, può essere considerata il primo esempio di pubblicazione esplicitamente liberty apparso a Bologna. Il gusto per la scena onirica, ma fortemente pervasa da sensualità terrena, trova ulteriori riscontri nel mondo dell’illustrazione, che Masotti praticava, e nelle riviste, vere e proprie espressione del nascente stile liberty. In Fantasio (1 maggio 1902), si trova un’ immagine del romano Filippo Anvitti, un’etera figura femminile dal volto sollevato verso l’alto, una Vergine laica che sembra officiare un rito su uno sfondo naturale. Non è un caso che l’immagine di Anvitti illustri lo stesso numero della rivista con la copertina di Duilio Cambellotti, già citata come corrispettivo iconografico del bambino di Bandiera Bianca. Anche se l’artista non abbandona del tutto la vena verista, è innegabile che l’Immacolata rappresenti una svolta nella sua carriera artistica.

Tale cambiamento può essere determinato dall’avvicinarsi alle teorie rubbianesche e ai contatti sempre più frequenti con gli artisti aderenti alla Gilda, come testimonia il nucleo di bozzetti per la decorazione di interni di alcuni locali e dimore private bolognesi, conservati presso le Collezioni d’arte e di storia della Cassa di Risparmio in Bologna. Tra questi c’è un bozzetto ad acquerello con eleganti fogliami intrecciati preparatorio per la decorazione che Achille Casanova esegue, tra il 1900 e il 1902, sulla volta della sala interna nella pasticceria Rovinazzi di Bologna e il progetto per la decorazione di una sala interna del Caffè San Pietro in via Altabella, ritrovo di artisti, scrittori e politici. Il bozzetto, datato 1907, è scandito da elementi decorativi e partiture architettoniche di chiara ascendenza liberty. Una fonte molto precisa alla quale Masotti ha attinto per la sua produzione religiosa è il monumento Cavazza (1893) realizzato dallo scultore Enrico Barberi alla Certosa di Bologna. Il Cristo a figura intera e dalla testa reclinata che sovrasta l’Immacolata è una citazione quasi letterale del Cristo di Barberi, che si erge sulla tomba Cavazza. Il Barberi due anni prima realizza un altro lavoro in Certosa, Il monumento Bisteghi (1891). Il giovane Masotti, studente di Enrico Barberi negli anni del Venturoli, ha l’opportunità di vedere dal vero tali opere. In una pagina dei diari Cleto Capri racconta di una visita allo studio di Barberi, già nel 1887, dove era collocato il «bozzetto del monumento Cavazza», descritto come «un altare dello stile del 1400 e che deve essere fatto in modo da potersi all’uopo celebrare anche la messa. Su di esso s’innalza la croce da cui pende Gesù cristo morto e ai suoi lati stanno due angeli proni in atto d’adorazione». Barberi, nell’ambiente culturale bolognese, ha un ruolo chiave «nel mediare il clima artistico ottocentesco con il nuovo gusto simbolista e liberty che si andava diffondendo in quegli anni in Europa. In particolare il monumento Cavazza del 1893 «con il Cristo di Barberi dai forti particolari veristici e l’altare tardo gotico dal delicato tappeto marmoreo con la fitta decorazione neorinascimentale a melagrane, è uno dei primi esempi in Certosa del nuovo gusto revival che si stava diffondendo in città grazie all’opera di Rubbiani e della sua gilda di artisti». Nella tela di Masotti gli accenti veristici del Cristo di Barberi si stemperano, ma l’opera del pittore come quella dello scultore si collocano in una fase di passaggio tra il realismo ottocentesco e la nuova sensibilità liberty. Il Cristo di Barberi viene rielaborato da Masotti in un altro dipinto di carattere religioso, L’Immacolata (1908). Il dipinto, forse un bozzetto preparatorio per L’Immacolata dei Filippini o forse una rielaborazione successiva, ripropone le due figure principali, la Madonna e il Cristo, con alcune varianti. La figura femminile richiama la Vergine per le mani conserte sul petto e lo sguardo sollevato verso l’alto, il Cristo si erge al di sopra della donna con il volto reclinato e le braccia aperte, ma il supporto ligneo della croce scompare per lasciare spazio a un cerchio di luce. Il dipinto conferma la svolta liberty dell’artista ma con quella particolare vena di realismo, che è facile cogliere nella sensualità tutta terrena della Madonna. Pur avvolta nel bianco e nella luce, la Vergine di Masotti non si trasforma in un’eterea e diafana figura, ma mantiene le sembianze di una giovane donna. Per cogliere la peculiare interpretazione che Masotti offre del Liberty può essere utile un confronto con l’ambiente artistico bolognese, in particolare con l’assunzione urbana e visionaria di Gigi Bonfiglioli. Apparsa sul numero 9 (3 marzo 1900) della rivista Italia Ride, l’illustrazione sviluppa il motivo della figura femminile che ascende verso l’alto, una nube di fumo che si sprigiona dai comignoli della città e che assume le forme della nudità femminile in una atmosfera onirica. Il taglio dei capelli della donna può ricordare la Madonna di Masotti, ma la creatura di Bonfiglioli è un fantasma privo di spessore terreno. La rivista Italia Ride, definita da Elena Gottarelli «il miracolo del Liberty bolognese», si avvale della collaborazione di Gigi Bonfiglioli, artista che collaborò prima con Italia Ride (1900) e poi con Fantasio (1902), con «illustrazioni che rivelano attenzione all’arte europea in particolare secessionista. Partecipò assiduamente alle esposizioni della Società Francesco Francia. Inoltre fece parte dello scapigliato gruppo dei giambardi, nella cui cerchia è citato insieme a Giovanni Masotti.

L’Immacolata eseguita per l’Oratorio dei Filippini causò a Masotti diverse amarezze spingendolo a lasciare Bologna. Scrive Patrizio Patrizi: Alcuni rilievi fatti a questo quadro che gli era prediletto lo esacerbarono, turbarono la sua mente, sicché depresso, scoraggiato, amareggiato si ritrasse in disparte, volle scomparire dalla città nativa, che pur tanto amava, volle andare lontano e si rifugiò ad Aosta a insegnare disegno in quell’istituto tecnico. Giovanni Masotti morì il 27 agosto 1915 all’età di 42 anni ed è sepolto alla Certosa di Bologna nella tomba di famiglia collocata nel Chiostro Maggiore, portico nord-est. Secondo un’articolo pubblicato sul Resto del Carlino il 30 agosto 1915, l’artista si spense nella città di Torino. Un documento conservato presso la Società Francesco Francia ci informa riguardo all’ultima opera compiuta dall’artista dal titolo Chanteclair, presentata per l’esposizione del 1916 da Margherita, una delle sorelle del pittore.

Così viene ricordato nel "Resto del Carlino" di Bologna del 30 agosto: "Ci arriva da Torino la triste notizia della morte avvenuta in quella città del pittore bolognese prof. Giovanni Masotti, a soli 42 anni. Per parecchi anni il Masotti, finiti gli studi accademici, lavorò in Bologna e fu tra i più ardenti giovani nell'esprimere il suo sentimento artistico sia nelle discussioni sia nelle opere. Ingegno di coloritore brioso e audace, fantasia feconda e ricca nella decorazione a fresco, amante di particolari contrasti di luce o di forme nelle figure. Come uomo, ebbe forti amicizia per le sue qualità d'animo; ma non gli mancarono avversari per la franchezza del suo temperamento. E' giusto che la sua scomparsa acerba non rimanga senza sincero rimpianto di concittadini e di amici. Ricordiamo brevemente l'opera sua. Fu allievo del Collegio Venturoli, da cui uscirono parecchi insigni artisti, e ne vinse il pensionato con magnifici saggi. Nel 1902, col quadro "Bandiera bianca" vinse il concorso del Premio Baruzzi, ed un altro premio lo stesso anno vinse all'esposizione del Francia col quadro "L'Anonima". Fu apprezzato ed acquistato in esposizione di altre città italiane, come a Milano, ed anche in alcune straniere. Diversi ritrovi pubblici della nostra città furono decorati dal Masotti, e citiamo per es. il Caffè di S. Pietro. Trattò la pittura sacra con originale sentimento. Apparteneva all'Accademia di Belle Arti come Professore Onorario. Sommi artisti, come Ettore Tito, Sezanne, tartarini, Rubbiani, avevavno intravisto fin dalle prime opere un avvenire brillante in quel giovane pittore, ma purtroppo la sorte gli divenne evversa. Negli ultimi anni aveva avuto, per concorso, l'insegnamento del disegno nella R. Scuola Normale di Aosta. Inviamo le nostre condoglianze alla famiglia".

Ilaria Chia

Testo tratto dal saggio "Giovanni Masotti (1873 - 1915), un artista tra impegno sociale e Liberty", in "Strenna Storica Bolognese"; anno 68, Bologna, Patron, 2018.