Marco Minghetti e i bolognesi nel 1860

Marco Minghetti e i bolognesi nel 1860

1860

Scheda

Il 25 marzo 1860, Marco Minghetti venne eletto deputato al Parlamento del Regno nel IV Collegio di Bologna, assieme al Cavour eletto al I; al marchese G. Napoleone Pepoli al II e all'agricoltore Carlo Berti Pichat al II. Al principio del 1861, nell'VIII legislatura, fu rieletto al I collegio di Bologna; così nella IX, nell'anno 1865; e nel 1867, per una parte della X. Chiamato a far parte del Ministero, nel 1869, e rifacendosi la elezione al I Collegio, vi fu lotta piuttosto aspra col prof. Giuseppe Ceneri, il quale riuscì vincitore. Il Minghetti rimase grandemente amareggiato di quello scacco inflittogli nella sia città. In quegli stessi giorni, tuttavia, raccoglieva largo favore di suffragi nel posto dell'onorevole Lauro Bernardi a Legnago, che Egli rappresentò poi sempre in ogni successiva legislatura, fino alla morte, benché rieletto altre volte al I Collegio di Bologna. Ma non è delle vicende elettorali del Minghetti che noi intendiamo occuparci, bensì di alcuni rapporti importanti avuti dal Minghetti con Bologna in quei primi anni della formazione del Regno. Il Cavour, dal Congresso di Parigi del 1856 si era formato un ben alto concetto delle straordinarie qualità di uomo di stato del Minghetti. (1) Concetto che poté riconfermare e rassodare nel 1859, quando lo ebbe al suo fianco, desiderato e prezioso collaboratore, quale segretario generale al ministero degli Esteri; e poscia anche quale incaricato della direzione degli affari d'Italia. Gli mantenne stima e fiducia nel tempo di comune lontananza dal potere. Allora più che mai considerava la sua presenza dal potere. Allora più che mai considerava la sua presenza e la sua azione indispensabili all'Italia centrale e specialmente a Bologna. (2) 

Nel luglio del 1860, confidenzialmente, lo chiamava autorevole giudice nelle cose della sua città. Ricevendo, infatti, notizie disparate, sulla condizione di Bologna, secondo le diverse fonti d'informazione, il grande Statista piemontese, per sceverare meglio il vero, si rivolgeva al Minghetti, perché, a fronte di tante contraddizioni, gli facesse “conoscere in via confidenziale il vero stato delle cose. Se vi sono mali gravi indicatemi i rimedi; ed io vedrò di far fare la ricetta da Farini” (3). Era la condotta dell'Intendente Mayr che dava luogo a disparati giudizi e contraddizioni. Alla fine d'agosto, in un consiglio di ministri, presieduto dal Re, fu decisa la spedizione regia nell'Umbria e nelle Marche. In settembre, l'ardita decisione diventava storia. Il momento era tremendo. Complicazioni internazionali le più difficili e le più temibili, da un momento all'altro potevano verificarsi. Voci di un attacco di fianco da parte dell'Austria e di un suo sbarco in Ancona, correvano con qualche insistenza. Il Cavour, al culmine della sua febbre di fare seriamente l'Italia e di evitare la rivoluzione, incanalando questa nella monarchia, ed al colmo della gloria per il delinearsi trionfale del suo piano arditissimo, avendo dovuto destinare alla luogotenenza di Napoli il Farini, suo ministro agli Interni, per infrenare le agitazioni sorte nella metropoli borbonica, ora doveva cercarsi un collaboratore agli Interni. Vi desiderava un uomo fermo, di larghe vedute politiche ed amministrative, un fedelissimo e, in una lettera famosa al Re, vi suggeriva il Minghetti. Non conosciamo più alti elogi verso il grande Concittadino che le espressioni con cui il 23 ottobre il Cavour richiedeva al Re di associarsi nel Ministro di Minghetti. “... Minghetti, Egli diceva, è il più bell'ingegno dell'Italia centrale, è vicepresidente della Camera, ha largo censo. Può fare il ministro sei mesi, e tornarsene quindi a casa, senza che ciò muti in nulla la sua posizione. (Bella e singolarissima lode!). D'altronde ha uno spirito eminentemente organizzatore, ed è ciò di cui abbiamo maggiormente necessità” (4).

Il Cavour, nell'attribuire al Minghetti “spirito eminentemente organizzatore”, evidentemente si riferiva all'azione saggia, incomparabile da Questi esplicata in particolar modo nel 1859, al tempo della sua presidenza dell'Assemblea delle Romagne, alla sua opera assennata in preparazione di quel solenne consesso, e alle deliberazioni emanate dal medesimo, da Lui fermamente ed autorevolissimamente retto ed inspirato. Infatti, quale momento più angoscioso per Bologna e le Romagne? Contro l'armeggio dei vecchi dominatori, le minacce e le lusinghe delle potenze protettrici e difenditrici del Papa e del suo dominio temporale; contro tutte le difficoltà interne, le asprezze numerose, gli errori immancabili; contro le differenze del barone Ricasoli quando si trattò di far causa unica con la Toscana e coi ducati di Modena e Parma, contro ogni avversità. Sopra ogni decisione ed ogni atto, stette lo spirito vigile, il supremo tatto, la grande fede, l'incontrollabile speranza, l'ardente amore e l'azione misurata, calma ma inflessibile, diritta e integrata di Marco Minghetti. Ecco perché il Bolognese appariva eminentemente organizzatore al Cavour, cui tutto il movimento annessionista aveva fatto capo; a cui, quindi, non potevano mancare elementi esuberanti per quel giudizio. Quasi non bastasse l'elogio alto e solenne da noi riferito, il 31 ottobre, poi, il giorno della nomina agli Interni, il Cavour confidava all'amico Rodolfo Audinot la ragione per la quale aveva preferito il Minghetti. Perché, né Rattazzi, né San Martino, per allora almeno, gli parevano atti a reggere il dicastero dell'Interno poiché entrambi avrebbero sollevato nel Piemonte un'opposizione vivissima in un partito che non conveniva irritare. “D'altronde, continuava, nessuno dei due può stare a confronto di Minghetti per ingegno organizzatore. A mio parere questi è il solo capace di ordinare si larghe basi l'amministrazione d'Italia. Per questi motivi io debbo mostrarmi seco spietato e costringerlo a bere sino alla feccia l'amaro calice del potere” (5). Più tardi, la variopinta opposizione, scatenatasi con ogni furia contro Minghetti, lo tacciò di ambizioso e di attaccato al potere. Occasioni per l'inasprimento degli attacchi non mancavano: il progetto delle Regioni, lo rese per la prima volta impopolare; alla Convenzione di settembre seguirono i luttuosi fatti di Torino, a Lui ingiustamente addebitati; indi, altri provvedimenti, come la tassa sul macinato, scatenarono contro di Lui, specialmente nel Bolognese, ire furiose. La demagogia popolare vi aveva la sua particella di concorso. Il fatto che il Cavour dice di dover essere spietato col Minghetti per “costringerlo a bere sino in fondo l'amaro calice del potere”, ci dimostra che il Bolognese non doveva essere eccessivamente desideroso di cariche governative. 

Nei primi mesi del 1861, il Minghetti, dopo diligente studio, propose su vere larghe basi liberali, quell'ordinamento amministrativo del Regno che fu, nella nostra legislazione, un anticipo di più di cinquant'anni. Disgraziatamente, l'opportunismo politico spesso fa tale velo alla mente ed ai cuori dei più, che talora anche i provvedimenti migliori non sono destinati ad aver fortuna. E fu così l'ordinamento amministrativo proposto dal Minghetti cadde; dopo di che, l'Italia, per molti anni, andò avanti di espedienti, di palliativi che, anziché giovare, concorsero a peggiorare sempre più la nostra sistemazione giuridica (6). Ma ciò esula dal nostro tema. Ricorderemo soltanto che i Bolognesi provarono in quei primi tempi, per la chiamata del Minghetti all'alto posto di fiducia, grande soddisfazione ed un legittimo orgoglio colle migliori speranze. Il Bottrigari, nella sua Cronaca ms., dice che era comune speranza che il Minghetti potesse, “col suo senno giovare alla pubblica amministrazione, meglio del suo antecessore Farini” (7). E lo stesso cronista, devoto amico al novello ministro, nel suo racconto, dà notizia della partenza del Minghetti per raggiungere la destinazione, come quasi d'un avvenimento (8). Inoltre, alcuni cittadini, allo scopo di onorare il già illustre Concittadino, e per dargli un segno tangibile della loro devota ammirazione, pensarono di costruirsi in Comitato, e di aprire una sottoscrizione volontaria per offrire al Ministero dell'Interno una medaglia d'oro, “quale attestato di pubblica riconoscenza per ciò che ha fatto in pro della Patria e per le provincie di Romagna, durante la lunga nostra schiavitù sotto il cessato governo” (9). Il comitato era presieduto dal minghettiano proprietario e banchiere bolognese Carlo Cavallina, bel tipo d'uomo distinto, aristocratico di modi, di statura media, pingue, come alcuno cittadini ancora lo ricordano e lo descrivono. La medaglia fu presentata al Minghetti il giorno 3 gennaio 1861, in Torino. Rappresenta, da una parte: il busto di Marco Minghetti. Dall'altra è incisa la leggenda: “A. M Minghetti perseverante propugnatore della Italica nazionalità. I Bolognesi nel 1860”. Misura il diametro di mm. 40. Non sappiamo di chi sia andata in possesso. Tre esemplari in bronzo figurarono all'Esposizione regionale in Bologna nel 1888, nel Tempio del Risorgimento italiano, in S. Michele in Bosco. Uno, donato dal sign. Innocenzo Lipparini; il secondo, dalle signore Adele e Bianca Pancerasi; il terzo, racchiuso in cornice sotto cristallo, fu dono del sig. rag. Pompeo Santini. Quello Pancerasi e quello Santini furono poi affidati in custodia al Museo del Risorgimento, istituito nel 1893.

All'esemplare Santini è unita una pregevolissima lettera autografa del Minghetti, in ringraziamento al Comitato delle onoranze, e per esso al presidente sig. Carlo Cavallina. Tale lettera è pure essa conservata nel Civico Museo del Risorgimento. Tanto è bella nella forma, nobilissima per i sentimenti espressivi, semplice ed elevata ad un tempo, raro modello di stile e documento preziosissimo, che non sappiamo esimerci dal qui riprodurla, perché ai Bolognesi siano ancor oggi presenti le care e patriottiche espressioni dirette ai loro avi: Essa dice (10):

Torino, 25 gennaio 1861.
Pregiatissimo Signore,
La dimostrazione di affetto che mi diedero i miei concittadini, facendo coniare la medaglia, che dalla sua cortesia ho testé ricevuto, mi commove profondamente.
Conscio di non meritare così onorato premio, io debbo riguardarlo piuttosto come un confronto ed un eccitamento per l'avvenire.
Per condurre a compimento la impresa della nazionalità italiana, grandi difficoltà avremo ancora da incontrare, grandi pericoli a vincere. Ma la fede nel trionfo della nostra causa è pari alla santità di essa. E se noi la propugnammo col pensiero e coll'opera, quando debole e lontana era la speranza, ora che il fine nobilissimo ci sta d'appresso dobbiamo raddoppiare gli sforzi per conseguirlo.
Quanto a me, io non cesserò di consacrarvi tutte le mie forze; e questo sarà il modo più efficace di provare ai miei concittadini quella riconoscenza che male colle parole saprei esprimere, ma che avrò scolpita perpetuamente nel cuore.
MARCO MINGHETTI
All'ill.mo sig. Carlo Cavallina
Bologna

Quale linguaggio nobilissimo! La misura, dote eminente del Minghetti, vi appare assai chiara! La lettera è riprodotta, in caratteri minuti, nel “Catalogo compilato da Raffaele Belluzzi e Vittorio Fiorini” (vol. I, pag. 116) ma, attesa l'indole della pubblicazione essa si può considerare quasi inedita. Onde, ci pare di far opera gradita ai Bolognesi, riproducendo questo raro autografo, diretto nei momenti più febbrili e più gloriosi d'Italia, ai loro avi dal grande Concittadino “perseverante propugnatore della italica nazionalità”; dal grande Uomo di Stato, cui è ancora da assegnare nella storia adeguato posto pei servigi grandissimi da Lui resi alla Patria “col pensiero e coll'opera”, e soprattutto coll'abnegazione, poiché Egli diceva “l'amore di Patria si misuri dal solo spirito di sacrificio”.

GIOVANNI MAIOLI

(1) “C'est un homme charmant. Quel excellent ministre il ferait!” scriveva il Cavour il 17 marzo 1856, dopo aver avuto presso di sé il Minghetti ed essersi servito di Lui per note sugli stati del Papa ai plenipotenziari: Carteggio politico M. A. Castelli. Vol. I, pag. 141. (2) Lettere edite ed inedite di Camillo Cavour. IV, pag. 384. (3) Ivìvi pag. 288-289. (4) Lettere edite ed inedite di Camillo Cavour. IV, pag. 64. (5) Lettere citate. IV, pag. pag. 81. (6) R, De Cesare, Mezzo secolo di storia italiana (1861-1910) sommario. Città di Castello. Lapi, 1912. (7) Bottrigari, Cronaca. Vol III, pag. 179. (8) Ivi. (9) Ivi. Pag. 210. (10) L'abbiamo potuta trascrivere di sull'autografo, col permesso del Direttore del Museo del Risorgimento, al quale ripetiamo qui vivi ringraziamenti.

Testo tratto dalla rivista 'Il Comune di Bologna', aprile 1925. Trascrizione a cura di Zilo Brati

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