Salta al contenuto principale Skip to footer content

Adeodato Malatesta

6 Maggio 1806 - 24 Dicembre 1891

Scheda

Adeodato nasce a Modena da Giuseppe Malatesta, capitano delle guardie ducali, e Carlotta Montessori. A Fiorano Modenese, trascorre la sua infanzia ed effettua i suoi primi studi. Nel 1817, viene mandato dal padre in seminario ma dopo due anni lo zio materno Giacomo Guzzoni, pittore, che lo iscrive all'Accademia Atestina di Belle Arti di Modena fino al 1826. Succesivamente vince una borsa di studio e accede all'Accademia di Belle Arti di Firenze. “Scultori, pittori, paesisti, incisori, tutti, nessuno eccettuato… unitamente ai migliori scolari dell’Accademia… estatici rimanevano lunga pezza senza parlare, dinanzi al quadro il Tobia, e poi prorompevano in elogi, chi dell’affetto, ingenuità, semplicità della composizione; chi dell’arditezza dell’effetto del chiaroscuro e della verità ottenuta in tutte quelle scappate di luce…, chi dello stile puro e diligente in ogni piccola parte… Altri ammiravano la difficile ma perfetta intonazione di tutto il quadro, insomma tante e tante cose… Ma tutti si sono persuasi che ella è forse il primo, che può insegnare agli artisti moderni come devesi intendere il vero purismo ai dì nostri”. Così il pittore dilettante Giovanni Gualandi scriveva al Malatesta l’indomani della esposizione, presso l’Accademia bolognese, del Tobiolo che ridona la vista al padre. Un testo indubbiamente denso di spunti, che gettano viva luce sull’azione innovativa esercitata dall’opera malatestiana sul terreno della cultura bolognese. “Dopo di lui il vero e gli artefici degli aurei secoli osservazione ebbero e culto”, potrà affermare nel ’56 il Bellentani, enucleando, con didascalica semplificazione, i punti nodali che si imposero, agli occhi dei contemporanei, come l’essenza stessa del lessico del pittore modenese, vale a dire l’aderenza al vero e l’assunzione di modelli alternativi a quelli vigenti – nel riferimento specifico del critico bolognese, i modelli quattro-cinquecenteschi.

Un’accezione del “vero” che è l’artista stesso a definire, dichiarandosi convinto assertore, sulla direttrice teorica dell’amico Pietro Selvatico, di un vero eletto, scelto come “quello che la mente consola ed innalza”, anche se la propensione al dato reale potrà indurre Malatesta a travalicare, in vari episodi, i termini dell’assunto. Mentre il discorso sui referenti formali appare subito inscindibile da una vicenda formativa divisa tra la Firenze di Bezzuoli, Benvenuti, Sabatelli, ancora echeggianti del soggiorno ingresiano (1826 - 1828), la Venezia di Grigoletti, Lipparini, Politi, degli Schiavoni, così prossima alla Vienna Biedermeier (1833-37) e, a più riprese, la Roma dei Nazareni, dell’Overbeck e, ancora, di Ingres (1830-31, 1838). Una somma di esperienze svolta in parallelo a un tirocinio accademico esperito, sin dall’abbrivio, su di una eterogeneità di testi figurativi quale poteva offrire, nella stessa Modena, la collezione Estense. Poiché. A ben vedere, le fonti a cui Malatesta attinge hanno raggio troppo ampio per racchiuderle nel circoscritto “museo” che pure egli frequenta, in ordine alla soggettistica sacra, quando i coevi operatori bolognesi ancora non ne hanno varcato la soglia. Ed è con grande libertà di giudizio, nonché, si vorrebbe affermare, con attitudine mentale romanticamente storiocistica, che il pittore si accosta- lo testimonia un’attività di copista affidata alle pagine di un album giovanile – non soltanto agli esempi canonici di Perugino e Raffaello, ma anche al Michelangelo della Sistina, a Tiziano, ai manieristi, Giulio Romano, Ammannati e Giambologna, sino a Velasquez e a Van Dyck. Da una siffatta ricchezza repertoriale desume l’artista, con un procedere che, in un certo punto, verrà definito, e non senza polemiche, “eclettico”, ora un registro, ora l’altro, ma sempre quello che la coerenza estetica e la moralità professionale lo indurranno a ritenere più consono al soggetto e alla destinazione, mirando, in una ricerca continuata per il mutare dei termini e quindi, a modo suo, sperimentale, alla forma più adeguata ed eletta.

Sarà tale pragmatismo di fondo a consentire l’accettazione, con risonanze nello stesso ambito bolognese, dei nuovi procedimenti fotografici, che sin dai primi episodi andrà configurandosi come coraggioso confronto, esente da compromessi o cedimenti, con l’espressione pittorica. Dunque, un’apertura del ventaglio dei modelli, a rinvigorire gli esangui generi dell’accademia nella cui validità Malatesta fermamente crede, e al tempo stesso una disponibilità al rapporto con il vero, indice di un concetto di storia, di ‘umanesimo’ sul quale non potrà mai prevalere il misticismo dei Nazareni; in sintesi, una flessibilità sia intellettuale che di prassi operativa – pur nell’ortodossia istituzionale – ancora inedita per l’arte bolognese, intenta, nonostante i reiterati contatti con quel centro di irradiazione della poetica romantica che fu la Firenze bezzuoliana, a perpetuare i fasti di una tradizione divenuta eredità gravosa: “barocconi – per appropriarsi delle colorite immagini del Gualandi – (che) credono che la nobiltà stia nei lunghi manti, e nelle spesse pieghe, e nelle figure in quinta, e nel non mettere figure principali in profilo, e nel far piramidare la composizione”. Quanto distanti da tutto questo dovettero apparire le opere per l’artista, dal ’39 Direttore dell’Accademia Atestina nella città natale, esponeva in Bologna a partire dal ‘42; opere connotate da una pittura “tanto bene artificiosa, che ti sembra un fatto comune e naturale. Nel 1891 muore a Modena. (Testo tratto dal catalogo della mostra 'Dall'Accademia al Vero. La pittura a Bologna prima e dopo l'Unità', Bologna, Grafis, 1983. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti).

"Malatesta Adeodato fu pure a Roma e a Venezia e dovunque fece tesoro per l’arte sua e operò moltissimo. Il quadro rappresentante “S. Marco” che fece a Venezia, fu un vero successo e ne collocò l’autore tra i primi pittori del tempo. Ritornato in patria, e nominato direttore dell’Accademia, si diede tutto ad istruire ne’ sani principii dell’arte i suoi scolari che ebbe in gran numero, i più dei quali riuscirono a fare onore al maestro ed all’arte. Qui in Bologna si possono vedere alcune sue opere nella chiesa dei Cappuccini fuori porta Saragozza: Lo sposalizio di S. Giuseppe colla Madonna – La fuga in Egitto; e un Crocefisso." (Tratto da "La storia delle arti del disegno studiata nei monumenti che si conservano in Bologna e nei suburbi", Bologna, 1888).

Adeodato Malatesta è autore nel 1862 del ritratto di Filippo Bentivoglio "ad olio su tela preparata con procedimento fotografico", in quanto "Il prof. Geminiano cav. Grimelli diede comunicazione di un processo inventato dal sig. conte Filippo Bentivoglio di Modena per fotografare gli oggetti sopra la tela preparata per dipingere ad olio, i cui saggi già collaudati dal nostro ch. prof. cav. Adeodato Malatesta, non che all'esposizione internazionale di Londra del 1862, sono ora inviati per simile esposizione a Parigi".