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Argia Magazzari

1844 - 11 aprile 1934

Scheda

Sono andato a salutare Argia Magazzari e a contemplare il miracolo dei suoi novant'anni. Li ha compiuti in questi giorni lietamente, nella sua ariosa casa di Piazza Aldrovandi tutta inondata dal sole mattutino e appena se n'è accorta, tanto questo luogo cumulo d'anni le è leggero e la sua giornata è fervida di eventi, dolce di memorie, ridente di affetti. Cara, indimenticabile, stupenda «signora Argia», maestra di ogni sana comicità, con quanta affettuosa devozione, con quale trepidante rispetto guardiamo alle vostre interpretazioni gioconde e riudiamo la vostra voce  - lontana nel tempo, ma vicina ai nostri cuori – ripetere le schiette battute della nostra infanzia, quelle che sono rimaste senza imitatori. Il tempo ha avuto rispetto del suo valore e gli anni, più che aggredirla si sono accontentati – galanti e reverenti – di circuirla, di blandirla, di farle bianchi i capelli, lasciandole ardenti e febbrili gli occhietti; di renderla curva salvandole il prodigio della memoria; di vietarle molte giovanili ambizioni per indulgere sulla sua salute che è perfetta, sulla sua vista che è intatta, sulla sua intelligenza che è smagliante. 

– E così, signora Argia – le dico – come passa le sue giornate? Mi guarda di sott'in su, con una mossa da palcoscenico e rimane stupefatta a contemplarmi come se avessi arrischiato un'eretica domanda. Giovanile, attenta alla vita che passa accanto a lei e sfiora le chiome di quei platani che essa osserva dalle sue finestre, nulla può sfuggirle. A mezzogiorno è alzata, fa colazione di buon appetito, riceve, conversa, legge il giornale fino a tardo pomeriggio, poi si apparta e non riapparirà che l'indomani: ma ogni ora della sua giornata è una gioia, per chi l'ascolta, tanto la freschezza dello spirito e la vivacità della mente sono prodigiose. E dice con una facilità gustosa e sincera, con una giovialità intatta e individuabile, perché questi novant'anni, se sono stati la sua tormentosa palestra quotidiana, le hanno lasciato una marea di memorie buone, solo buone, che ancor oggi sopravvivono in una cornice trionfale di plausi e formano il suo orgoglio e il suo sorriso. "Ho recitato in italiano, per cominciare: ma se i ruoli erano sempre confacenti al mio temperamento, se ho sostenuto le parti più diverse facendomi applaudire, sentivo e capivo che nel teatro  dilettale avrei meglio potuto farmi conoscere ed apprezzare. Almanno Morelli, con la sua «Filodrammatica Albergati», mi lanciò nelle interpretazioni più rischiose (Ferreol, Passo falso, La colpa vendica la colpa, Signore delle camelie), ma quando Emilio Roncaglia mi affidò il suo Dent e cavì e poi Antonio Fiacchi mi chiamò per quei tre deliziosi atti che sono El diàvel in cà vidi chiaramente – non solo a traverso i consensi del pubblico – che il mio destino di attrice dialettale si delineava. E furono due memorabili successi. Recitare al fianco di Cesare Rossi, in Severità e debolezza, apparire con Virginia Reiter nel Mondo della noia (ho fatto anche questo, creda) non era piccolo onore: ma quale gioia migliore di presentarmi in quelle semplici scene famigliari dove la nostra anima popolare rivive nella sua pienezza, senza deviazioni e senza infingimenti, con una voce ammaestratrice bonaria e giocosa? Insteriarì, la prima commedia bolognese di Alfredo Testoni, mi trovò un po' dubbiosa: si voleva dare grande rilievo alla figura della protagonista, una giovane sposa combattuta da due vibranti passioni, ma mi parve di capire che la sgnera Neina – la vecchia comare intrigona, bonaria e arrendevole, tutta presa dal suo mondo di ripieghi, di sotterfugi e di trovate – non dovesse rimanere in sott'ordine. E cercai di entrare nello spirito di quella che mi sembrava degna della maggiore attenzione e che, in certo modo, originava e giustificava l'intera vicenda scenica. Studiai molto la parte, provai con una volontà e un entusiasmo ammirevoli, mi richiamai, nel trucco, nell'atteggiamento, nell'intonazione caricaturale, nella espressione mimica ad una di quelle attempate donne della nostra borghesia che più di una volta mi avevano colpito e sulle quali mi ero soffermata quando ancora non credevo di dover sfruttare i loro tratti caratteristici. Fu un trionfo. Ancor oggi se ci ripenso, mi sento salire una commozione invincibile e non so disgiungere questa data e questa commedia da tutti i miei anni d'arte, che sono stati molti, è vero, ma che non mi lasciano nessun rimorso doloroso, perché mi ero proposta di diffondere il riso sano e sincero, l'allegrezza pura e umana, la gioia serena e consolatrice e, dicono, che non sia riuscita male del tutto..."

Così, Argia Magazzari racconta, a novant'anni, e gli occhi ancora le splendono e la voce, quasi immutata, si risveglia nel ricordo beato, echeggia più fresca, vibra radiosa nell'evocazione del trionfo. Signora ammirevole, ci inchiniamo commossi e Bologna, che vi ama, saluta in voi l'interprete fedele del suo spirito senza uguali, attendendo i cent'anni rotondi per ripetervi – con più festosa risonanza – la misura del suo materno e orgoglioso affetto. (MARIO SANDRI, I novant'anni di Argia Magazzari, in "Il Comune di Bologna", gennaio 1934. Trscrizione di Zilo Brati)

Un ricordo di Argia Magazzari compare nuovamente sulle pagine della rivista "Il Comune di Bologna", nell'aprile 1934, in articolo dal titolo "CRISANTEMI. Argia Magazzari": Candida, discreta e sommessa, Argia Magazzari ci ha lasciati, l'undici aprile. Se n'è andata silenziosamente, a novant'anni, dopo aver effuso una comicità sana e schietta, dopo aver recato – nelle molteplici Sue interpretazioni, nei mirabili Suoi tipi, nelle indimenticabili Sue Figure – la vivacità mordace, l'ironia pronta e sottile, la giovialità estrosa e festosa della nostra città. La vita – per questa Donna ammirevole che era esempio di probità e di nobiltà – sembrava non aver mai fine: ed Essa un poco si compiaceva e un poco indulgeva su questa Sua verde vecchiezza, tutta lampeggiamenti, scatti, motti e facezie, che prima estasiava e poi sgomentava e infine altamente commuoveva, per il grande ammaestramento salutare che da Essa proveniva. Per innumerevoli anni Argia Magazzari aveva recato nella scena nostrana la grazia della Sua comicità, la festa della Sua parola luminosa, l'eloquio della Sua indimenticabile voce. Adesso taceva, lontana: ma aveva Bologna nel cuore, perennemente, e Bologna le ricambiava il ricordo con fervida, dolcissima tenerezza. Rievocava, e la mente lucidissima Le consentiva dovizia di ricordi, e il cuore generoso Le suggeriva, inesauribilmente, memorie di trionfi stupendi che erano gioia e orgoglio di Bologna tutta. Adesso che la Vegliarda ci ha lasciato, senza strepito, e, di Lei, non ci resta che il ricordo dolcissimo della Sua Arte, ognuno di noi si inchina con rispetto e, accanto all'ombra che passa, intreccia i lauri dell'ammirazione e del rimpianto che non muta.  Il Podestà On. Manaresi ha espresso il cordoglio della città per monte di Argia Magazzari inviando alla famiglia il seguente telegramma: «La scomparsa di Argia Magazzari toglie a Bologna una luce di schietta giovialità petroniana. Alla interprete fedele dell'arte di Alfredo Testoni dove la nostra prima giovinezza ore non dimenticabili di gioia serena. Sia conforto alla famiglia il memore rimpianto di tutta la città». (Trascrizione di Zilo Brati).