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L'ingegner Ceri e La Striglia

6 Gennaio 1886 | 13 Ottobre 1924

Schede

Una voce robusta, che non sembra neppure quella di un vecchio, fa volgere incuriositi i passanti: “La Striglia!” “Acquistale La Striglia, bella signora!” “Chi vuol leggere La Striglia?”. Addossato al Palazzo Comunale, sotto il Portico della Gabella o sull’angolo di via Rizzoli, nel punto ove il passeggio è più animato, c’è un tavolinetto carico di giornali dal quale, nei giorni di solennità, ricade un drappo tricolore. Dietro il tavolino, se ne sta seduto un vecchio in tuba e barba bianca che, poiché la stagione è rigida e qualche fiocco di neve già sfarfalla intorno al Nettuno, si riscalda le mani – inutilmente protette da mezzi guanti di lana – alle brace di uno scaldino. L’attempato signore non si dà per intesa della curiosità che la sua presenza e il suo abbigliamento suscitano nei ragazzi e, in genere, nei passanti che non lo conoscono e se ne sta lì, ore ed ore, avvolto in uno scialle di lana a offrire il suo giornaletto, lanciando tratto tratto lo stentoreo grido di richiamo che non cade mai inascoltato.

Il vecchio strillone in tuba è l’ingegner Giuseppe Ceri, una caratteristica figura della vita cittadina bolognese, e, nel foglietto che egli stessi offre ai passanti, tutti i problemi della vecchia Bologna sono affrontati e discussi con gustosissima vena, in prosa e in versi, in corsivo e in neretto, talora con veementi invettive contro le autorità responsabili, tal’altra con battute mordaci, con epigrammi salaci che non mancano di far sorridere la folla dei lettori. Il vecchietto in scaldino non disarma e il suo “libero gazzettino” – come egli l’ha definito – rallegra la giornata bolognese, diffonde un’ondata di buon umore, richiama l’attenzione dei responsabili su questioni, questioncelle, inadempienze, irregolarità che altrimenti passerebbero inosservate. Quando calano le prime ombre si vede lo strillone in tuba ammainare la bandiera e ricoverare il tavolino nel cortile di Palazzo d’Accursio, pronto, l’indomani, a rioccupare il suo posto e a far riudire la sua voce che, anche nel richiamo professionale, non trascura mai d’insinuare il galante omaggio alle belle dame che passano, l’ossequio al Sindaco che se ne va a colazione, il ciao confidente agli scolari che rincasano. E l’ing. Ceri, nella Bologna tutta presa dalla politica e dalle campagne elettorali, diventa ben presto un’istituzione destinata a non tramontare.

Il 6 gennaio 1886, esce il primo numero del settimanale del Ceri, annunciato da questo invitante proemio: “Salute, allegria e buon vino ai lettori della Striglia, medicina contro il mal di fegato, che diverte chi la scrive e fa venir appetito a chi la legge. La Striglia che è scritta allorquando nei caffè gli amici, al giuoco, l’un l’altro amichevolmente si svaligiano, s’infischia della maldicenza degli oziosi e dell’ira degli edili. Costerebbero uno scudo romano, cioè L. 5,32 ma la si compra con la vil moneta di un soldo”. Il giornaletto, pepato, sbarazzino, senza peli sulla lingua, comincia subito a dire la sua opinione – su tutto e su tutti – mostrando, anche nel corso degli anni, di non tenere in eccessivo conto, querele, attacchi, polemiche, invettive e frasi grosse degli avversari. Il suo compilatore usa una prosa faceta, maliziosa, un po’ involuta, ricorrendo talora a qualche accorgimento tipografico e, quando gli sembra di non raggiungere l’effetto in prosa, ricorre al sonetto, alla quartina, all’ottava, infilando rime facili, di contenuto chiaramente allusivo, che non mancano mai di sortire l’effetto desiderato. Quando la questione esce dall’ordinario o il problema è scottante o il provvedimento tarda a giungere, Ceri non esita un momento e, a seconda dei casi, indirizza una magnifica lettera aperta alla Giunta Comunale, agli Assessori, al Sindaco, al Prefetto, al Cardinale, a Deputati e Ministri, dicendo limpidamente quel che pensa, mettendo a nudo una bruttura architettonica o denunciando senza sottintesi quella che egli giudica una prepotenza o un sopruso. Tutto lo interessa, tutto lo attrae, tutto gli fornisce argomento di discussione: il can-can – ballo rapinoso – per il quale allora si va in visibilio, il piano regolatore edilizio, le donne che fumano, le cantanti illustri, le elezioni amministrative, i processi celebri, le nuove costruzioni cittadine, l’Università, l’aumento delle tasse, i prezzi delle derrate. Ceri, ogni settimana, puntualmente, lepidamente, fa udire la sua voce, ma non sempre per deplorare. “Non possiamo che far plauso alla nostra Prefettura – la quale ha proibito severamente ai portieri, essendo essi in servizio nelle anticamere degli uffici, di fumare in quelle loro consuete fetentissime pipe ed in pari tempo ha inculcato ai medesimi di parlare con le persone rispettosamente stando in piedi e non seduti tenendo in bocca quelle loro consuete, fetentissime e catarrose pipe”. In un’altra occasione, Ceri impugna fieramente la penna schierandosi “contro i Tassaiuoli municipali che vogliono gravare d’esorbitante tassa il birraio Ronzani” e. allorchè Marco Minghetti viene a morte, La Striglia del 18 dicembre 1886 è tutta dedicata all’insigne statista concittadino, di cui si rilevano le qualità esemplari, la tradizionale bonomia e la modestia del carattere. E’ dello stesso anno 1886 l’auto candidatura del Ceri a Consigliere Comunale. La Striglia batte la grancassa, pubblica manifesti elettorali, proclami allegri e il Ceri viene eletto: ma le cure civiche non varranno a distoglierlo dal suo battagliero arengo.

Il 25 giugno 1887, il foglietto interrompe brevemente le pubblicazioni perché – scrive il Ceri – “il caldo della stagione mi è di ostacolo allo scrivere. Eppoi la polvere, che s’impasta col sudore, m’impiastriccia la Striglia di guisa che non la posso far trascorrere a mio piacimento in sulle pelose schiene dei miei onoratissimi avversari, Adunque la riattacco al chiodo e la ristaccherò allorquando il bisogno lo richiegga”. Le pubblicazioni riprendono il 15 ottobre 1887, ma, nel febbraio successivo, altra pausa “Mi si gelano le dita delle mani – confida il vecchio Ceri – mi si gela il cervello. Le idee mi fioriscono se non a cervello caldo; e non mi giova la berretta. Adunque riattacco al chiodo la “Striglia” per ristaccarla la primavera, coi suoi dolci tepori, mi riscalderà quelle dita e quel cervello”. IL foglietto rivede la luce il 9 aprile 1888 e, più battagliero che mai, ha una parola per tutti – amici, nemici, ammiratori e detrattori – infilando rime giocose, mettendo alla gogna gli architetti di cattivo gusto, gli amministratori di pochi scrupoli, gli uomini politici di dubbia moralità e battendosi, in versi e in prosa, per la facciata di San Petronio, per il Palazzo di Re Enzo, per il salone del Podestà e per le Torri Artemisi e Riccadonna, che delle loro gesta – fra conservatori e demolitori – colmeranno addirittura un capitolo di storia bolognese. Ma il 10 febbraio 1910, succede una strana e bizzarra faccenda. I rivenditori di giornali accampano pretese che l’ingegner Ceri - oculato amministratore – non vuol loro riconoscere. Ne consegue che la Striglia sarebbe messa al bando, se il vecchio compilatore, con un gesto di stizza, non s’improvvisasse strillone e, uscito con sedia, scialle e tavolino, non iniziasse di persona la vendita, fra lo spasso della città. Il numero che Ceri, in tuba, offre dignitosamente ai passanti per le vie del centro, reca questa rovente apostrofe: “Con l’aiuto dei miei amati concivi ho dimostrato a voi, strilloni, di non aver bisogno dell’opera vostra; e ciò mi basta. Alle vostre inqualificabili prepotenze mi sono ribellato e ne gioisco. Delle vostre possibili impossenti derisioni, me ne infischio”. E’ per dimostrare ai bolognesi che è in perfetta regola anche con la legge, Ceri riproduce nel suo foglietto l’autorizzazione della Questura ad esercitare “il mestiere di venditore ambulante di stampati”. La trovata raccoglie gli unanimi consensi e, da questo momento fino all’ultimo numero del suo giornale, il vecchio compilatore apparirà puntualmente ogni settimana, sempre più curvo, sempre più infreddolito, col naso paonazzo gocciolante, ma tuttavia impavido in quello che egli ha volontariamente eletto a suo posto di battaglia.

Nominato – il 12 ottobre 1915 – giornalaio “ad honorem” dall’Associazione di Mutuo Soccorso fra i venditori di periodici, l’ing. Ceri è sulla breccia fino al 1924 e, in versi e in prosa inneggia calorosamente all’avvento del Fascismo al potere. Ma è oramai stanco, sfiatato, dimenticato – il vecchio polemista – e l’ultimo numero della Striglia vede la luce il 13 ottobre 1924: un foglietto sparuto, inconsistente, fuori del mondo come il suo sopravvissuto compilatore. Poco dopo, l’ing. Ceri se ne va per sempre e sebbene il suo periodico non abbia rappresentato gran che di notevole, nella storia del giornalismo bolognese, questo vecchio arguto scrittore ha un’aria di innocua bonomia, che ancor oggi si fa simpaticamente e serenamente ricordare.

MARIO SANDRI (Trascrizione a cura di Lorena Barchetti).