Salta al contenuto principale Skip to footer content

Carlo Legnani

1852 - Ottobre 1938

Scheda

Carlo Legnani, scomparso alla fine dell'ottobre scorso, era l'ultimo superstite di quella scuola pittorica che fu guidata a lungo nella bolognese Accademia di Belle Arti da un'artista valoroso: il toscano Antonio Puccinelli e da cui uscirono artisti di bella fama, quali Mario De Maria e Luigi Serra, e buon numero di altri valenti: Paolo Bedini, Raffaele Faccioli, Luigi Maccaferri, Giacomo Lolli, Alessandro Scorzoni, Carlo Legnani.

Quest'ultimo era nato nel 1852 a Piumazzo, terra della provincia bolognese verso Modena, da famiglia che ivi era stata tra le maggiori fino dall'antico, dotata di largo censo; di poi, dure vicende ne dispersero il patrimonio. Da questo infortunio domestico, come dalla terra nativa, il Legnani derivò buona parte del suo carattere e delle sue tendenze artistiche. Da quello, un certo senso di signorilità morale, che senza esprimersi in atti di albagia, traspariva spesso nella nobiltà delle idee: dalla sua terra, invece, l'amore alla vita ariosa dei campi, il senso della luminosità nelle scene diurne e la mestizia dei crepuscoli, delle notti, delle perturbazioni temporalesche; ma in particolare l'osservazione dei tipi rurali e delle fresche bellezze femminili, insieme all'indagine delle espressioni fisioniomiche campagnole. Uscito dalla scuola, pure coltivando con intensa attività la pittura ad olio, aderì a una tecnica ormai disusata, il pastello, insieme ad Alessandro Scorzoni e a Coriolano Vighi. E' però da notare che i tre amici, avviati al tecnicismo da risuscitare, perseguirono ognuno un intento personale. Il Vighi nelle ampie visioni del paesaggio, lo Scorzoni e il Legnani preferibilmente nelle scene figurative: quello con una nota romatica di malinconia, questo più incline alle scene ridenti, specialmente vivificate dal dominio della luminosità.

Carlo Legnani cooperò costantemente alle mostre annuali della Società Protettrice di Belle Arti fino al suo scioglimento, e dopo, a quelle della Società Francesco Francia, di cui fu uno dei promotori. Anche ripetutamente partecipò a esposizioni locali d'arte umoristica, ottenendo varii premi e pure fu uno dei promotori della prima Mostra provinciale d'arte applicata all'industria tenuta a Bologna nel 1892. All'Esposizione Nazionale di Bologna del 1888 aveva presentato una testa di vecchio randagio (di cui si da la riproduzione) che gli valse l'aggregazione al Collegio accademico di Bologna; ma fu nel 1892 che conseguì il massimo trionfo, nella Esposizione internazionale di Lipsia. Egli vi presentò la testa di vecchio sopra citata e un ritratto a pastello dell'illustre anatomico bolognese prof. Luigi Calori. Il giudizio della commissione incaricata di assegnare i premi fu il più onorevole, poichè il Legnani, colà affatto ignoto, conseguì la massima onorificenza con la medaglia d'oro. A proposito di quest'opera è d'uopo sapere che il Calori aveva ricusato nettamente di concedere al pittore qualche seduta; e questi ebbe la costanza di assistere alle lezioni nel teatro anatomico, osservando il professore a traverso gli spazi fra studente e studente, figgendosi nella memoria la forma e il colorito in guisa di ricavarne l'opera egregia che ora è posseduta dalla R. Pinacoteca. Arduo, e non utile ora, annotare la produzione copiosissima del Legnani, parte nelle case e nei palazzi di Bologna e parte emigrata all'estero, di argomenti svariatissimi, ad olio e a pastello, sia di figura che di paesaggio o di fiori. Tra quelli primeggia il ritratto del Principe Alfonso Hercolani, notevolissimo per il carattere del disegno e per il colorito e anche per l'ardimento di porre le due sole note forti del volto e della mano a dominare sopra un abito di flanella biancastra. Per buon numero d'anni egli tenne una scuola privata nella quale ebbe cooperatori, presto allontanatisi, lo Scorzoni e lo scultore Sabbioni. In questa concorsero molti alunni, alcuni dei quali divennero artisti pregiati, e in particolare lo scultore Cleto Tomba ebbe nel Legnani il primo maestro.

Egli usò per molti anni apssare parte dell'estate in campagna, amore de' suoi primi anni e culto della sua intera esistenza artistica. Vi fu un momento in cui egli e gli amici dovettero temere per la sua vista, che una cura sapiente potè conservare; ed egli celebrò la guarigione recandosi nell'Appennino tosco-bolognese, di dove riportò copiosissima serie di grandi studi ad olio, mirabili per vigore, freschezza e luinosità, come se in lui fosse entrato un giovane, con tutto l'impeto della vita nova. Di poi l'età e gli acciacchi lo condussero a passare l'estate tra le piante secolari del R. Orto Botanico, che gli fu fonte, si può dire inesauribile, di spunti pittorici. L'amore all'arte non si spense mai nella sua natura: fu sempre assiduo alle Mostre, osservatore acuto, talvolta caustico, malevolo mai. Lo spirito retto che ne aveva fatto un giudice sereno quante volte venne chiamato a giudice di concorsi, lo mantenne sempre ligio alla serenità, che solo a tratti e senza livore mandava bagliori di risentimento se posto davanti a ciò che lo spirito stesso non poteva approvare. Qualità queste sopra ogni altra notevole, perché sebbene giustamente turbato dalle amare vicende della sua vita, mantene l'animo forte, appena sfogando qualche volta il cruccio della passata agiatezza, di che fu vittima e non artefice, con gli amici intimi, sopportando con dignità somma le vicissitudini e anche la povertà, pago di poter bastare con poco alla sua esistenza. Questa onesta dignità lo tenne alieno da vie oblique nè lo condusse mai a cercare favori. Per tale insieme di elementi chi bene lo conobbe rimpiangerà l'uomo e ricorderà i pregi dell'artista scomparso.

Angelo Gatti

Testro tratto da 'Bologna - Rivista mensile del Comune', novembre-dicembre 1936.