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Le vecchie danze italiane ancora in uso nella provincia bolognese

1894

Schede

"Gaspare Ungarelli, Le vecchie danze italiane ancora in uso nella provincia bolognese (vol. II della Biblioteca nazionale delle Tradizioni popolari italiane). — Roma, tipografia del Senato, 1894. Questo lavoro di Gaspare Ungarelli - dedicato, con pensiero gentile, a Giuseppe Pitrè - è contributo notevole ad una storia futura della musica popolare in Italia, specie per la notazione musicale di alcune danze del sec. XVIII, tratte da ms. del Liceo Rossini, e di molte altre ancor vive nella provincia bolognese. E un tal contributo non giungerà discaro a chi pensi che, tolti uno studio del Carducci, alcuni documenti pubblicati da Sev. Ferrari, e qualche accenno disperso, in Italia su tale materia s'è fatto ben poco.

Un sommario di storia della danza nell'età di mezzo e al tempo della Rinascenza -che l'A. fa cominciare fin dal sec. XIII- serve a chiarire la seconda parte, importantissima, del libro che la danza segue diligentemente in tutte le sue vicende pel contado e la città di Bologna; pincipalmente nel cinquecento, quando si passò dalla semplicità villereccia alla gravità elegante della danza aulica, si che un trattatista potè noverare per un sol ballo diciassette movimenti diversi; e ai balli compassati d'origine spagnola s'alternarono quelli detti di figurazione che, nati fra il popolo, avevano acquistata gran voga presso i gentiluomini e le nobildonne delle corti. Questa storia della danza nel Rinascimento, dà occasione all'A. di presentarci, servendosi fra l'altro di documenti dell'archivio di Stato, e della cronaca ms. del Ghiselli, un quadro vivace della vita elegante che Bologna ebbe in quel tempo comune col resto d'Italia; e che continuò fino al sec. XVIII, quando anche il ballo finì coll'incipriarsi e coll'ingentilirsi nel minuetto e nella contradanza. Ma, mentre la danza aulica si trasformava e si sbizzarriva, nel contado durava, con pochi mutamenti, il semplice costume dei padri; perchè il popolo sente, non impara la danza -come ben nota l'A.- e nella tranquillità della villa son poche anche le modificazioni del sentimento. Infatti, moltissime danze popolari del passato, formano ancor oggi il diletto dei contadini bolognesi, e non poche fra esse trovano riscontro in altre Provincie italiane. Queste ha raccolte e descritte con cura l'Ungarelli, il quale, come mostra anche un cenno sommario dell'opera sua, da una paziente ricerca d'argomento popolare ha tratto materia per una monografia notevolissima, dove la copia dell'erudizione non soffoca la genialità del soggetto. E questa è nuova prova della grande importanza che possono raggiungere gli studi di questo genere, quando sieno coltivati con tutta quella serietà e quella cura che si meritano." (Testo tratto da: A. De Gubernatis, Rivista delle tradizioni popolari italiane, Volume 1, Forni, Bologna, 1893).

Riportiamo qui di seguito la parte del volume riguardante la descrizione dei balli e delle danze

La descrizione data dal filosofo Leibnizio della musica: Un calcolo fatto dall'anima a sua insaputa, si può a ragione applicare alla danza villeresca in generale, inquantochè nella sua spontaneità e improvvisazione segue regole determinate di misura e di ritmo, senza le quali sarebbe un saltare, un agitarsi insignificante. E' vero che questa misura e questo ritmo sono talora di una semplicità tale da potersi quasi esprimere colle sillabe la la la la la la lì, come nella nostra canzone-ballo la Lepre, di cui riportiamo infine la musica: Cor pur can, ciâpa la lîvra, / Ciâpla ciâpla par la coa, / Tenla astrecc che l'è la toa, / Tenla astrecc... A l'ho ciapà; ma ciò perchè con tali balli dobbiamo risalire molto indietro, forse al primo apparire del ritmo musicale nella danza italiana de' secoli del rinascimento, nel quale tempo e dopo infatti troviamo canzoni a ballo aventi identica intonazione: Balla le pute di val peloso / In t'un prà sott'una nosa, / Balla le pute con i moros, / Balla la sposa con al spos, continuazione delle quali sono certo oggi le fresche e allegre villote del Friuli. La stessa maniera d'alcuni nostri balli conferma questa supposiziione, specialmente il Ballo tondo (Bâl in gir), che si fa in quattro, che si tengono per mano, come negli antichi ballonchi, salvochè il ritmo musicale, ond'è retto, fa sì che non si tratti di un giuoco di fanciulli o di adolescenti, come per lo più era anticamente, ma di una vera danza. Quando col progredire dell'arte della musica si rese indipendente dal canto, che ne fu la prima manifestazione, il canto stesso e la danza, seguendo la fortuna di quella, poterono raggiungere le più svariate forme, diventare arti per se stesse con regole proprie e determinate. Senonchè, quantunque l'arte origini dal popolo, non troviamo poi sempre ch'essa a lui ritorni nella sua forma più eletta e per certe condizioni della società e perchè esso stesso si contenta di possederla semplice e rudimentale, quale uscì dalle sue inspirazioni. Il ballo, ebbrezza dell'anima e dei sensi, poesia del popolo in azione, compagno indispensabile delle sue gioie e delle sue solennità, necessariamente nasce colle sue regole, come Minerva uscì armata dal capo di Giove.

Il popolo non le apprende da nessuno; le sente. Perciò tali creazioni somigliano anche a distanza di tempo, e, benchè sotto forma sensibile, rappresentano la più spiccata idealità; sono la storia, il genio, la vita del popolo. Bâll ćpecc, balli distaccati, si dicono, prima di tutto, i balli de' nostri contadini, perchè si fanno da due o più persone stando in figura distaccate, non semi-abbracciate, come negli odierni valzer e polke. Cotali balli si compongono generalmente di due parti principali: al bàl propriamente detto, e al spassagg, il ballo e lo spasso. Il ballo è l'esecuzione di quella data figurazione o mimica in tempo di musica; lo spasso è una specie di riposo che i ballerini si prendono fra l'una e l'altra strofa musicale con certo andare intorno con passo cadenzato. Ciò che noi diciamo ballo campestre (il tripudium degli antichi) ha ancora luogo gra noi in certe solennità dell'agricoltura, come la scavzarî, cioè la scavezzatura della canepa, che si fa da ciascun contadino nella propria aia col concorso di tutta la gioventù de' dintorni; oppure la spannucciarì, la sfogliatura delle pannocchie, che si fa nello stesso modo. Finite le quali operazioni sonatori di mestiere e dilettanti, chiamati o spontaneamente, vengono a sanora sulla stessa aia, dove tutti si mettono a ballare. Gli strumenti più in voga per sonar balli nella nostra provincia sono l'organetto e la chitarra; talvolta all'organetto si sostituisce il violino, rarissimamente il mandolino. Nel basso Bolognese, e nelle risaie specialmente, spesso il canto tien luogo degli strumenti musicali; e cantarino viene detto colui che ha l'incarico di far ballare gli altri tutta la sera col canto. L'essere eletto cantarino del resto è quasi una carica onorifica, venendone sempre grnadi elogi a colui che ha mostrato maggior valentia e resistenza nel cantare, benchè da noi non s'improvvisi, come tanto facilmente si fa in Toscana, nell'Umbria e nella campagna di Roma. Ma in risaia le cose vanno assai diversamente che altrove. All'epoca del raccolto i propietari e fittaiuoli assoldano un gran numero di operai, uomini e donne, i quali venuti in parte da lontano passano generalmente la notte nel luogo del lavoro, dormendo assai promiscuamente nelle stalle, ne' fienili, nelle cascine, dove però le ragazze sogliono entrare in un sacco, che portano seco, e non uscirne che al mattino. La più sanguinosa calunnia che si possa dare a una ragazza è quella di dire che nella notte è uscita dal sacco. Venuto il mattino vannu tutti al lavoro cantando allegramente, quantunque la loro ingrata fatica non basti sempre, nonchè a provvederli pel dimani, a sfamarli nella giornata. Quando hanno lavorato tutto il giorno, s'assidono in luogo asciutto per mangiare un tozzo di pane, e non sidecidono mai di tornare al riposo se non hanno prima ballato tre o quattro ore di seguito. I balli prediletti nelle nostre campagne sono i tresconi e le monferrine; ne' luoghi però vicini alla città si fanno di preferenza i valzer e le polke, e talora anche una pretesa quadriglia alla francese. Mal il ballo classico de' campagnoli è il trescone. Uomini e donne si mettono in circolo e si dà principio al ballo. Quattro si fanno avanti, due uomini e due donne. Cominciano a fare un giro all'intorno marcando il tempo col piede. Poi le donne si rivoltano verso gli uomini, quelle tenendo un po' alzata la gonnella colla punta delle dita in una maniera che somiglia molto all'atto di rispetto delle donne del secolo passato, questi colle mani alte e gesticolando, quasi suonassero le castagnette; ed eseguiscono il ballo con passo risonante. Poco dissimile dal trescone è la monferrina. Al variare delle suonate le figure si allontanano, e voltatesi tutte da una parte girano intorno; quindi, gesticolando, s'accostano di nuovo e ballano come prima. Nella galletta invece è un uomo solo che balla con due donne, e prende or questa or quella colla massima prestezza, dovendo tal ballo figurare il ratto della donna. Il trescone, la monferrina e la galletta nostri, come il saltarello romano e la tarantella napoletana, sono il vero esempio del linguaggio improvvisato. Laddove negli altri balli il passo prende la misura del suono, quivi la musica è generata dall'azione, dal dramma, di cui sono autori quelli stessi che ballano. Le danze fatte in luogo chiuso vengono chiamate col nome tradizionale di festini. Sono questi privati o pubblici. I festini privati si danno generalmente in occasione di nozze. Finito il banchetto in casa de' parenti della sposa, la comitiva nuziale s'avvia alla casa del marito, dove il più delle volte si imbandisce un altro banchetto, e specialmente si distribuiscono dolci e frutta agli intervenuti, forse dal virgiliano sparge mariti nuce, o come simbolo dell'abbondanza che ha da trovarsi nella nuova casa. Poscia fatta la debita visita alla camera nuziale, e gli elogi al letto degli sposi, cominciano le danze, che durano fino al mattino, ma durante le quali, a una cer'ora, gli sposi chetamente se la svignano per ritirarsi nella loro stanza.

I festini pubblici si fanno nelle osterie. Quando hanno luogo in giorno di mercato durano generalmente ventiquattro ore, cominciando alle nove del mattino e durando tutta la giornata e la notte successiva. I sonatori ivi chiamati prendono un soldo ogni sonata in omaggio al principio che Senza danar l'orbo non canta. Ma i veri festini sono dati in carnevale dai conduttori delle osterie stesse o locande, i quali fanno poi pagare un tanto per testa agli uomini e niente alle donne intervenute. E' quivi che s'usa di ballarsi le bottiglie. Colui che vuol fare una graziosità a tutti i presenti balla esso solo con chi vuole in mezzo della sala, mentre gli altri stanno a vedere, stabilendo però prima il numero delle bottiglie insieme a vantaggio della sala, oppure a vantaggio solo delle rispettive ballerine. In questo caso è il padrone del luogo che dice: Trattenetevi dal ballare, chè il tale o i tali si ballano tante bottiglie. Quando si tratta di feste private carnevalesche, in alcuni luoghi c'è l'usanza di fare l'ultimo ballo in mezzo alla pubblica piazza, ovvero, se piove, sotto un porticato o in un loggiato, purchè si sia in vista del pubblico. Se vi sono più feste nella medesima sera, allora nasce una certa gara fra le diverse comitive non solo nella costanza del ballare, ma anche nel far vedere la profusione di vino e di dolci di cui dispone la festa, e sono anche capaci di uscire a far l'ultimo ballo le donne con una ciambella al braccio e gli uomini con una vottiglia in mano. L'antica usanza poi, tutta petroniana, di sonare la campana mezzanotte ultima di carnevale per far cessare la festa, e come ammonimento del memento homo quia pulvis es et in pulverem revertis, si conserva tuttavia in molte parti della nostra campagna. Solo che in certi luoghi, invece di sonare a quell'ora il campanaccio, si suol gettare in mezzo alla sala un grosso bacalà, il quale, come simbolo della magra quaresima fa l'effetto di far cessare repentinamente i suoni e le danze. Sono una cinquantina le danze da me raccolte nella provincia bolognese, delle quali tutte riferisco qui di seguito la descrizione col rispettivo nome dialettale in ordine alfabetico, anche a contribuzione del dizionario dialettale bolognese. Non posso licenziarmi da questo lavoro senza ringraziare le persone che mi hanno in esso gentilmente aiutato, e cioè il dottore Olindo Guerrini, bibliotecario dell'universitaria, il prof. Luigi Torchi, bibliotecario del Liceo musicare Rossini, il comm. Carlo Malagola, direttore dell'Archivio di Sraro, i quali mi hanno comunicato cronache, codisi e documenti interessanti le mie ricerche, permettendomi anche di consultarli in ore fuori dall'ordinarie; il signore Ignazio Massaroli, che, con una cortesia di cui non cesserò mai di essergli grato, mi ha fornito copiose ed importanti notizie relative ai balli che si fanno nella pittoresca vallata del Savena, il signor maestro Alfonso Dalmastri, che d'una parte di questi mi ha favorito la notazione scritta, l'amico Carlo bettini, che mi ha pure favorito la notazione di quasi tutti i balli che si fanno nella vallata del Reno, e il maestro Nestore Morini, che mi ha trascritto in notazione moderna alcuni balli antichi che presento in fine insieme agli altri come saggio della musica popolare da ballo. Il dizionarietto che segue è pertanto una collanetta di perle che offro alla gentil lettrice, che non ha voluto leggere i precedenti capitoli, senza i quali Può star l'istoria, e non sarà men chiara.


Amizezia (Amicizia) – Ballo assai allegro che si fa nella nostra provincia (Monzuno, Lojano, Scaricalasino) in quattro, cominciando con uno spasso e terminando con una specie di trescone.

Bâl d'l'hai! (Ballo dell'hai!) - Ballo contadinesco che si fa in due, cominciando con un giro di trescone, o anche di polka o di valzer, finito il quale la ballerina si ferma ad un tratto mettendosi la mano al cuore ed esclamando; Ahi! Indi fra i due succede il seguente dialogo: - Che cos'hai? - Son ferita. - Dove. La risposta è arbitraria, e può essere, per esempio: - In mezzo al core; onde l'altro: - Perchè? E la ballerina che non sine quare aveva cercato la rima in ore, risponde ad esempio: - Perchè voglio ballare col signor dottore. Allora il ballerino è obbligato di andare a prendere la persona nominata dalla ballerina, con cui questa intraprenderà un altro giro per lasciarlo poi nella stessa maniera. In sostanza è qualche cosa di molto somigliante all'antico ballo del piantone. Il farsi anche nel Modenese e nel Reggiano accenna infatto ad una provenienza lombarda. Nel Lazio si chiama ballo del sospiro, perchè terminato il giro, la ballerina si mette in ginocchio e sospira. Onde poi la domanda: perchè sopsiri? E l'azione di cui sopra. 

Bâl d'la lom o Bâl dal Candlîr (Ballo del Lume o Ballo del Candeliere). - E' ballo di figurazione, che si fa in due, uomo e donna, nel quale eseguitisi alcuni giri di trescone, ovvero di polka o valzer, si porta una sedia in mezzo della sala, su cui siede l'uomo con un lume acceso in mano. Poi la ballerina presenta altre due ballerine all'uomo che sta seduto, il quale, fatta la scelta, balla con una e dà a tenere all'altra il candeliere. Indi la ballerina che ha ballato fa la medesima azione con quella rimasta seduta, e così di seguito, finchè tutti hanno ballato.

Bâl d'la scrâna (Ballo della seggiola). - E' ballo di figurazione, che si fa press'a poco come quello del lume, e cioè dopo che i ballerini hanno eseguito un primo o secondo giro, viene portata una sedia in mezzo alla sala, su cui l'uomo siede. Indi la donna conduce a lui una ballerina: se egli l'accetta, balla con essa, altrimenti volta la sedia in sego di rifiuto, e così di seguitoo. Quando si è finito per l'uomo, si ripete la stess'azione per la donna.

Bâl d'la lîvra (In montagna Bal d'la levra – Ballo della lepre). - Ballo di grnade agilità che si fa su musica e canzone propria tanto nelle nostre montagne, quanto nel basso Bolognese. Parecchie coppie in mezzo, gli uomini schierati da una parte, le donne dall'altra. Poi i due capofila cominciano a ballare l'uno separato dall'altro da una fila, correndo sempre da cima a fondo, cercando di pigliarsi e sfuggendosi reciprocamente, intanto quelli in mezzo cantano: Cor pur can, ciâpa la lîvra, / Ciâpla ciâpla, par la coa, / Tenla astrecc che l'è la toa, / Tenla astrecc... A l'ho ciapà! Oppure: ...La m'è scapà! Secondo che il ballerino ha preso la donna o se l'è lasciata sfuggire. I Parmegiani chiamano col nome di Ball d'la levra la corrente de' Piemontesi.

Bâl di baston (Ballo de' bastoni). - E' così detto in alcune parti della nostra provincia la galletta che si fa con due bastoni, battendoli insieme a somiglianza delle antiche moresche. V. Galletta.

Bâl in gîr o Bâl in tånd (Ballo in tondo). - E' ballo che si fa in quattro e anche in più, tenendosi tutti per mano in tondo, ed eseguendo balletti come nel Bergamasco. A Pianoro si chiama anche Bergamasco.

Bâlintæra, v. Vapartæra.

Baraban (Nel parm. Baraban – Barabano). - Ballo pantomimico d'origine lombarda, che si fa nelle nostre montagne (Valle di Reno). Un uomo si mette sdraiato in terra fingendosi morto, ed una coppia gli balla dattorno, accostandosegli di tanto in tanto per sollevargli ora un braccio, ora una gamba, come per accertarsi se veramente sia morto. Ma seguitando la coppia a ballare, all'improvviso risuscita il morto e ruba al ballerino la donna, colla quale si mette a ballare invece dell'altro. E' questo il baraban mort. Si racconta dai nostri montanari che una volta in una festa fu commesso un assassinio e che gli autori di quello portarono il morto in mezzo alla sala da ballo, perchè si eseguisse intorno ad esso il barabano. Si balla tutta la notte attorno quel morto, e quando si conobbe che veramente era morto, gli assassini si erano già messi in salvo. Per questo oggi non si fa più che il baraban viv, cioè stando in piedi.

Bergamâsc (Tosc. Bergamasco). - Ballo usitatissimo nella nostra provincia, così chiamato dalla città di Bergamo, da cui deriva, e dal nome di una canzone cantata altra volta a Firenze. E' assai curioso per la sveltezza con cui si eseguisce su musica propria in tempo di due quarti. Si fa in due od anche in più, cominciando col girare in tondo, gli uomini in avanti e le donne all'indietro. Al variare del suono gli uomini abbracciano le donne e fanno alcune giravolte pure in tondo così abbracciati, indi si staccano e ballano come prima.

Bergazzẹnna (Baragazzina). - Sorta di monferrina doppia che si fa a Vergato e dintorni, così detta da Baragazza, onde pare derivi.

Caværi radećć, v. Va par tæra.

Cuntradanza (Da Country-dance, cioè danza della contrada, del paese – Contraddanza). - Ballo che si fa in quattro su musica propria in tempo di due quarti, cominciando col girare in tondo, gli uomini in avanti e le donne all'indietro, ed eseguendo poscia un balletto in figura.

Cuntradanza (Gran) (Gran contraddanza). - Ballo che si fa in un numero indeterminato di persone, cioè in quanti uomini e quante donne possono stare nella sala, in fila gli uni di contro alle altre, ballando prima in tondo, ed eseguendo poscia balletti, come nella contraddanza ordinaria. Balær la cuntradanza, si dice appunto del ballare gli uni contro gli altri. I Milanesi hanno la contradanza incadenata, che risponde all'antico ballo della cadena.

Cuntradanza muntanæra (Contraddanza montanara). - Sorta di danza assai vivace e leggera, che si fa generalmente fra otto uomini e otto donne posti in fila sopra due linee, i quali ballano insieme a mo' di quadriglia.

Dainter e fȏra (Dentro e fuori). - Specie di trescone che si fa in due su musica propria in tempo di sei ottavi, con giri del ballerino attorno alla ballerina, e di questa attorno a quello.

Disperata (Disperata). - Ballo de' nostri montanari, che si fa su musica propria in tempo di due quarti, tanto in due che in quattro, con una frullana in prima, indi il suo ballo.

Frulæna o Furlæna (Ven. Furlana, Mil. Forlanna, Tosc. Furlana). - Danza nota originaria del Friuli, divenuta famosa presso i gondolieri veneziani, i quali l'eseguivano, e l'eseguiscono ancora, in due o più, in tempo di sei ottavi, con movimento moderato e aggraziato. Usitatissima un tempo in tutta la provincia, ora si fa nella sola montagna.

Gaiærda (Franc. Gaillarde, Parm. Gajarda, Romagna Gajèrda. - Gagliarda). - Sorta di ballo allegro che si fa nella nostra provincia (Valle di Savena) in quattro con uno spasso e il suo balletto. Si canta per celia: Sått' un capirol di gianda / Lo al balæva la gajærda, / Al tucæva al tasilen / Tante l'era picinen, etc., dal milanese: De tant piscinnin che l'era / Il ballava volentera, / Il ballava su 'n quattrin / Con insemma al fradellin, / Ch'el pareva un pigottin, / Tant che l'era piscinnin, ecc. E' forse questo ballo la continuazione della gagliarda, resasi un tempo tanto famosa a Roma.

Galåtta (Galletta). - Ballo villeresco che si fa nella nostra provincia su musica propria in più modi, e cioè: in Valle di Reno in tre, un uomo e due donne. L'uomo sta nel mezzo e le due donne ai lati. Balla l'uomo or coll'una or coll'altra ballerina, lasciando quella e prendendo questa colla massima prestezza, dovendo ciò figurare il rapimento della donna. In Valle di Savena invece si fa in quattro, due uomini e due donne. Gli uomini si mettono nel mezzo quasi dos à dos e le donne di fronti ad essi. Si comincia con un balletto, terminato il quale gli uomini si scambiano il posto ed eseguiscono un altro balletto. Poi presisi tutti per mano fanno una specie di grande chaîne, dopo la quale, tornato ciascuno al suo posto, si ricomincia il ballo.

Galôpa (Parm. Galòpa, Rom. Galoppa. - Galoppa). - Sorta di ballo che si fa nella nostra provincia su musica propria in tempo assai concitato, e così detta, perchè s'imita con essa il galoppo del cavallo. Vanno i ballerini a due a due per un tratto attorno alla sala, poi si distendono, in colonna in mezzo alla medesima, e, arrivati col capo della fila di contro alla parete, le donne si voltano a destra l'una in coda all'altra e gli uomini a sinistra nel medesimo modo. Poscia camminando s'incontrano alla parte opposta e tornano a galoppare come prima.

Gavôta (Franc. Gavotte, Mil. Gavòtta, Parm. Gavòta. - Gavotta). - Sorta di ballo che si faceva ancora non è molto nella nostra provincia (Valle di Reno) e nota per il suo andamento allegro e grazioso. Gavots è il nome degli abitanti della Valle di Barcellonetta e delle sue adiacenze, da' quali è pervenuta questa danza, che ha mantenuto la sua voga in Franzia dal tempo di Luigi XIII alla fine dell'Impero. La nomina il nostro Buonarroti nell'Ajone, I, 56: Finir la gagliarda e la gavotta.

Giardinîra (Giardiniera). - Specie di monferrina che si fa talora in due, tal'altra in quattro su musica propria in tempo di sei ottavi, cominciando con uno spasso ed eseguendo poscia il suo balletto. In ultimo tutti i ballerini si danno la mano e fanno il giro tondo. In alcuni luoghi si fa anche in otto o in dodici.

Giga (Prov. Giga, Franc. Gigue, ant. strum, mus. a corda. - Giga). - E' ballo che si fa in due, uomo e donna, su musica propria in tempo di sei ottavi. Si fanno prima due giri all'intorno come nel trescone, poi si eseguisce il suo balletto; indi i ballerini, prendendosi per mano, vanno tre passi dalla parte opposta. In seguito la donna passa il braccio destro sotto il sinistro, che tiene alzato, mentre l'uomo, facendo un movimento contrario, afferra colla sinistra la mano destra della donna e colla destra la sinistra; e così intrecciati, fatto insieme il balletto, l'uomo fa passare la donna sotto le due braccia alzate, e in ultimo si distaccano per ricominciare da capo.

Gîga fraråisa (Giga ferrarese). - Sorta di ballo che si fa nelle nostre montagne (sasso, Vergato e tutta la Valle di Savena) in due su musica propria in tempo di sei ottavi, così detto forse dalla sua origine. Si comincia con uno spasso, poi incrociate le braccia come nella nostra giga, l'uomo prende il braccio della donna e glie lo gira sopra il capo, e quando la donna ha rivoltato di nuovo la faccia verso l'uomo, l'uno e l'altro ballano insieme.

Gîga muntanæra o Gigån (Giga montanara). - Sorta di giga che si fa in otto, in sedici e più.

Girumåtta (Nome d'antica canzone bolognese, veneta e toscana, forse da Girolametta. - Girometta). - Sorta di ballo contadinesco che si fa in due su musica propria in tempo di due quarti, cominciando con un giro in tondo continuando poi col suo balletto, che finisce con una piroletta distaccata. Si canta anche oggi a Venezia: Chi t'ha fate quelle scarpette, / Che ti stan sì ben Girumetta, / Che ti stan ben? Ed in Toscana: Chi t'ha fatto si belle scarpette, / Che ti stan sì ben Ghirumetta, / Che ti stan sì ben?

Gitæna (Gitana). - Sorta di ballo d'origine spagnuola, così detto dagli Zingari, che in quella lingia si chiamano gitani. Si fa con un movimento moderato ed aggrazziato, proceduto con varietà di gure. E' alquanto simile all'odierna mazurka. Fu vista ballare nell'anno 1842 nel nostro maggior teatro ed era in allora divenuta assai popolare in Bologna, specialmente per l'accompagnamento delle nacchere con cui si faceva. Ora però questo ballo è esclusivamente rimasto alla campagna, ed anche qui si fa molto di rado. I Parmegiani chiamano gitana una sorta di ballo licenzioso ito da tempo in disuso.

Inglisęṅna (Parm. Inglesenna, ed anche Scozzese, forse dall'origine; Sic. 'ngrisina. - Inglesina). - Sorta di ballo che si fa nella nostra provincia (valle di Reno e Valle del Lavino) da un solo su musica propria in tempo di due quarti.

Lanterna mâgica (Lanterna magica). - Ballo contadinesco che si usa nella nostra provincia (raramente in Valle di Savena, più spesso in Valle di Reno) in due su musica propria, in tempo di sei ottavi.

Lumbardęṅna (Lombardina). - Ballo assai allegro e svelto, così detto forse dalla sua origine lombarda, il quale si fa in due (valle di Savena) o in quattro (valle di Reno) su musica propria in tempo di sei ottavi, cominciando con un giro in tondo e continuando poscia col suo balletto. Quando si fa in quattro si scambiano a volta a volta le ballerine. La Lombarda è ricordata dal Checchi negli Incantesimi, 1, 4: Se tu mi vedessi così in giubbone ballare o vuoi lombarda o vuoi gagliarda... Si fa oggi anche in Romagna insieme alla gagliarda, al rigodone e ad altri balli chiamati col nome generico di bal da cuntaden.

Lavandæra (lavandaia). - Sorta di ballo che si fa in due, uomo e donna, fingendo di lavare un fazzoletto su di un ginocchio, fa certi movimenti che nella concitazione della danza riescono un pò licenziosi. Forse deriva da uno de' più conosciuti branles in uso a Parigi nel secolo XVI, detto propriamente Lavandière, che può anche rispondere al più moderno Boulangère.

Mambruc (Da Marlborough generale inglese e canzone di questo nome). - Ballo contadinesco, che si faceva diggà nella nostra provincia, oggi disusato, del quale però si ha ricordo in alcune località (Monte San Pietro). Il nome derica certamente da Marlborough, famoso generale inglese, da cui s'intitolò la canzone che fu tanto in voga verso la fine del secolo passato alla corte di Maria Antonietta, udita poscia dal Goethe a Roma. Eccone le parole insieme alla notazione: Il reviendra z'à Paques, / Mironton, mironton, mirontaine, / Il reviendra z'à paques / Ou à l Trinité. / La Trinité se passe, Mironton, mironton, mirontaine, / La Trinité se passe, / Malborough ne revient pas, etc. V. Goethe, Reise in Italie. La quale canzone il Sabbatini, egualmente a Roma, ha udito recentemente cantare così: Mambrucche va a la guerra, / Mirontò, mirontò, mirontella, oppure: Mambrucche è morto in guerr, / Dirondò, dirondò, dirondella. V. Saggio di canti pop. romani in Rivista di lett. pop. anno I, pag. 16. A proposito di questa canzone, cfr. Inoltre Le Roux De Lincy, Recueil des chants hist. franç., Paris, 1842, II, 287; Génin, Des variations du langage franç., Paris, 1845, pagg. 106, 482. Mambrocca è voce del nostro dialetto adoperata ad indicare certi carri pesanti, appunto quelli messi in uso da Marlborough, onde la lentezza delle sue operazioni.

Manfręṅna (Piem. Monfrina, Mil. Monfrinna, Parm. Monfrén'na, Tosc. Monfrina. - Monferrina). - Nome di una danza assai vivace, originaria del Monferrato, onde il nome, la quale si fa nella nostra provincia su musica propria cominciando con uno spasso e continuando col suo ballo. Ballo e spasso si ripetono più volte.

Manfręṅna bulgnåisa (monferrina bolognese). - Così diacimo, per distinguerla dalla modenese, la nostra monferrina, che si balla in un numero indeterminato di persone. A Savigno si dice anche Manfrån.

Manfręṅna mudnåisa (Monferrina modenese). - E' così detta la monferrina cje si balla specialmente in valle di Savena, in valle di Reno e in Valle del lavino alla maniera modenese, cioè in quattro.

Manfręṅna d'Zrei (Monferrina di Cereglio). - Così viene chiamata a Vergato una sorta di monferrina che si balla in quattro alla maniera modenese.

Menaćo (Ferr. Manacò). - Sorta di contraddanza d'origine ferrarese che si fa da noi in quattro figure, cioè otto persone, su musica propria in tempo di due quarti.

Milôrda (Tosc. Milordina). - Ballo distaccato che si fa in due su musica propria in tempo di due quarti. Si comincia a girare in tondo come nel trescone, gli uomini in avanti, le donne all'indietro poi al variare della suonata si fa un balletto, indi si torna a girare in tondo come prima.

Minuatt (Franc. Minuett, Piem. Minnuet, Mil. Minnuè e Minuetin, Parm. Minnuett. - Minuetto). - Danza grave che si fa ancora nella nsotra provincia da due sole persone su musica propria e con un so passo rinnovato sulla stessa figura, nell'eseguire il quale l'uomo prende la mano della donna ed alzatole graziosamente il braccio glielo gira sopra il capo, poscia quando l'ha rivoltata di nuovo verso di lui si ritrae un po' indietro per ricominciare. Sorte questo ballo bassi natali, viene cioè da contadini d'Angiò, provincia della Francia, i quali lo ballarono assai naturalmente e senz'alcun artificio; ma prese poscia gran voga in corte specialmente al tempo di Luigi XIV, che ne divenne appassionato. Come si eseguisse in Bologna alla metà del secolo passato si può vedere da un passo della commedia dell'Albergati, Il matrimonio improvviso o I due sordi. Nel momento in cui il notaio sta per istendere il contratto di matrimonio, si propone di suonare un minuetto. Uno sciocco, per nome Cecchino, ne suona uno com'ei sa, e gli sposi Rosina e Giulietto si mettono in figura per ballarlo. Succede questo dialogo: Giu. (a Rosina tenendola per mano). Addio, Rosina. Ros. Addio, Giulietto. Giu. (c.s. nel dar la prima volta la mano). Mi amate ancora? Ros. Con tutta la maggior tenerezza. Giu. (nel darle la seconda mano). Sareste mia sposa? Ros. Altro non desidero. Giu. (nel darsi le mani nel ricondursi). Mi amate dunque? Ros. Finchè avrò vita. Giu. (nel farsi l'ultima riverenza). Mi promettono che sarete mia sposa fra pochi momenti. Ros. Ed io sarò contentissima. Giu. Addio, Rosina. Ros. Addio, Giulietto. Si è fatto e si fa ancora a Roma, Lo ricorda il Belli, III, 19: Pe' dda gusto ar zor gaudente / M'ho da mette a ballajje un minuetto?

Quadreglia (quadriglia). Sorta di contraddanza che si fa nella nostra campagna in gruppi di quattro con figurazioni somiglianti a quelle della quadriglia francese.

Ruggîr (ruggero). - Suonata e ballo sulla medesima che si fa in quattro, due uomini e due donne, disposti in forma di rombo, in modo che l'uomo sia dirimpetto alla propria ballerina. Al cominciare del suono la prima coppia fa quattro giri all'intorno, poi eseguisce il balletto. Indi la donna si ferma ad un tratto e l'uomo, che le è rimasto un po' discosto, corre difilato a lei, mentre l'altra donna che è in ballo corre anch'essa al medesimo punto, e assieme abbracciano la donna e la fanno girare in tondo. Si staccano poscia ed eseguiscono il medesimo coll'altr'uomo; in seguito rifanno un altro giro in tondo come al principio del ballo e ritornano al posto, perchè entri in ballo la seonda coppia, che ripete tutta l'azione. Così per due vlte di seguito, e il ballo termina con diversi giri di trescone o giro tondo. Ha qualche somiglianza il nostro Ruggir colla danza pantomimica che si fa in Sicilia, detta Ruggera, e così descritta dal Crimi- Lo Giudice: "Si alzano due uomini al suono di due o più istrumenti a corda, e fanno alquanti giri di fasola – specia di tarantella – e poi ciascuno d'essi con un inchino invita una donna a fargli da compagna. Alzate le due donne si collocano in modo che vengano alternati i due sessi, come si fa nella contraddanza e continuano a ballare sino a quando gli strumenti non fanno sentire la musica del Ruggeri. A questa si fermano, e l'uomo che si trova più vicino a' suonatori comincia a cantare, coll'accordo de' compagni, i primi due versi della canzone, battendo i piedi e movendo il corpo secondo la cadenza del suono; cosa che fanno contemporaneamente gli altri. Quando hanno terminato di ripetere per due volte la mesedima strofa, fanno tutti un movimento di rotazione da sinistra a destra; e in questo modo al posto dell'uomo che cantò va a trovarsi la sua compagna, la quale fa perfettamente quello che egli aveva fatto. Così l'un dopo l'altro fan tutti". Arch. per lo studio delle trad. pop., IV, 432. Opina perciò il Crimi- Lo Giudice che il nome Ruggero o Ruggera sia venuto a questo ballo-canto non da Ruggero, fondatore della siciliana monarchia (come altri scrisse), ma da roggiu (orologio), dappoichè i ballerini si collocano e van girando a mo' di ruota, e co' piè e col corpo fanno dei movimenti che somigliano in tutto alle oscillazioni del pendolo. Il movimento rotatorio è anche una caretteristica del nostro ballo. Quanto alla canzone, è indubitato che nel secolo XVI nell'Italia continentale si cantava una canzone detta l'Ortolano o Ruggeri, la quale cominciava: Donne, mi chiamo il maturo. (V. D'Ancona, Storia della poesia pop., Livorno, 1878, pag. 437), e può darsi che fosse cantata col nostro Ruggero, il quale, secondo quanto ne dice Croce in più luoghi, pare appunto che in quel tempo fosse un ballo-canto.

Runcastæl (Roncastello). - Sorta di ballo contadinesco che si fa nella nostra provincia in due od in quattro su musica propria in tempo di due quarti. Si compone, come la monferrina, di due parti, dello spasso e del ballo.

Saltaræla la muntanæra (Saltarello alla montanara). - Ballo assai concitato che si fa in quattro, due uomini e due donne, su musica propria in tempo di sei ottavi. Si comincia con un giro tondo, eppoi, al variare della suonata, gli uomini fanno fino a tre prille, e in seguito riprendono insieme alle donne il giro tondo, terminando per lo più col trescone.

Saltaræl rumagnol (Saltarello romagnolo). - Ballo che si fa, su musica propria in tempo di due quarti, in sei, due uomini e una donna nel mezzo da una parte, e due donne e un uomo nel mezzo dall'altra. Al cominciare del suono gli uni e gli altri si vengono incontro tenendosi per mano e si fanno riverenza, poi tornato ciascuno al rispettivo posto, si lanciano gli uomini verso le donne, le abbracciano e fanno insieme ad esse concitatamente più prille, indi le riconducono al posto. Poi gli uomini, scambiato il posto, ripetono la stessa azione fino a tre volte, e danno termine al ballo col trescone. In Romagna i due di mezzo cominciano il ballo, indi con una specie di grande chaîne, scambiatosi i ballerini il posto, ripetono lo stesso ballo un numero indeterminato di volte. Re de' balli è chiamato, non senza ragione, a Roma il Sartarello. Quivi e nelle Marche si suole accompagnare col suono del cembalo e col canto degli stornelli o fiori (V. Gianandrea, Canti march., pref. pag. XXII).

Spagnulått (Spagnoletto). - Ballo antico che si fa ancora nelle nostre montagne in parecchie coppie con battito delle mani dei ballerini contro quelle delle ballerine.

Spâzacamen (Spazzacamino). - Sorta di ballo assai lesto che si fa (Vergato, Sasso) in due su musica propria in tempo di sei ottavi. Prima i due ballerini girano in tondo, poi presisi per mano s'incrociano le braccia come nella giga, e così ballano.

Tarantæla napoletæna (Napoli e Roma Tarantella, Parma Tarantela. - Tarantella). - Danza napoletana di carattere assai gaio e vivace, e l'aria sulla quale si balla. Si fa da noi in due quasi a mò di trescone. I nostri scrittori del cinquecento ritraggono l'etimologia di Tarantella da Tarantola, sorta di ragno che – mordendo alcuno, gli mette addosso un'infermità dalla quale non trova quiete, se non quando sente sonare una chitarra, e con altro strumento simile, un'ari detta perciò tarantella. Bianchini, Sat. Sold. 35; Salvini, Annot. alla pesca d'Oppiano. Cfr. Fanfani, Voc. dell'uso toscano, II, 969. Il Liverani invece vorrebbe trovare l'origine di questa parola in certe vesti speciali che usavano gli antichi ne' baccanali, le quali, perchè foggiate di morbidi e trasparenti veli di Taranto, furono (a suo dire) chiamate Tarentinula o TarentinidiumArch. per lo studio delle trad. pop., V, 557. Ma confuta il Nerucci l'una e l'altra opinione, addimostrando che la Tarantella non prese altrimenti nome che da Taranto, luogo dove cominciò, in tempo relativamente recente, ad essere in uso. Arch. cit, vol VI, 70. Quando Goethe viaggiò in Italia trovò che la Tarantella era assai comune fin d'allora a Napoli fra le ragazze, una delle quali teneva in mano un tamburello e ne scuoteva i campanelli senza batterlo, e le altre due con castagnette in mano facevano i passi della danza. Tale danza è colà anche oggi assai primitiva: le due ragazze che ballano si vengono incontro senza toccarsi, si girano attorno, indi si scambiano il passo. A volta a volta una di quelle che ha le castagnette scambia queste col tamburello per riposarsi, cosicchè senza affaticarsi possono danzare in questo ballo delle lunghe ore.

Tårscån (Tosc. Trescone, Sic. Tarascuni). - Specie di ballo distaccato, rimasto nelle nostre campagne, il quale ha molta parentela colla tarantella dell'Italia meridionale, e il cui nome deriva da Tresca, ballo antico (Raynouard, Tresca), onde trescare, che fu adoperato anche da Dante nel senso di ballare: Li precedeva al benedetto varco / Trescando alzato l'umile salmista (Par. X, 28). Cioè saltando e ballando. Si fa in quattro su musica propria, in tempo di due quarti, cominciando col girare in tondo, gli uomini all'indietro e le donne all'avanti, indi le donne all'avanti e gli uomini all'indietro per diverse volte. Poi si fa il balletto colla massimaprestezza. Quando questo ballo si prolunga di molto, i ballerini si rubano le ballerine, andando sotto quelli che non sono in ballo per mandar via gli altri; e così alle volte anche le ballerine fanno altrettanto, rubando i ballerini.

Va par tæra o Bâl in tæra o Cavær i radećć (Va per terra). - Ballo montanaro che si fa in due, uomo e donna, girando prima in tondo, l'uomo in avanti e la donna all'indietro, ed eseguendo poscia il suo balletto, che si fa chinandosi per terra, appunto come fa l'ortolano a cavær i radećć. In certi luoghi l'aria di questo ballo è accompagnata dal canto: Va par tæra, va par tæra / Cento scudi e una dôna bæla; / Va par tæra, va per tæra / Cento scudi e una dôna bæla, ecc.

Veneziæna (Veneziana). - Ballo notissimo e usatissimo nella nostra provincia, che si fa in quattro, e in alcuni luoghi anche in più (Pianoro) su l'aria originale che i Veneziani accompagnano col canto: Chi vol cantar la veneziana (ter) / Scarpette rosse, calzette di lana. / Le ro le le ri re ri re re ro; noi: La veneziana l'ha un bæl fiåur in spâla, (ter) / Viva la veneziana e chi la bâla, ecc. Ed i Romagnoli: La veneziana a l'ha un bel fior in bocca, (ter) / Viva la veneziana e chi la tocca, ecc. Quando si fa in quattro, uomini e donne s'incrociano a mo' di rombo e si scambiano alternativamente il posto eseguendo il balletto; quando si fa in più uomini e donne si mettono in fila gli uni di contro alle altre, e si scambiano egualmente il posto nell'eseguire il balletto.

Vetta d'ôr (Tosc. Vita d'oro). - Suonata e ballo che si fa nelle nostre montagne (specialmente in Valle di Reno, raramente in Valle di Savena), fra uomo e donna. Si comincia con un giro tondo, come nella giardiniera, eppoi si fa il ballo come nella monferrina, alla fine del quale e al punto in cui la musica rallenta il tempo i ballerini s'accostano, si prendono per mano e portano la testa prima a destra, poi a sinistra sulla spalla l'uno dell'altro, come per baciarsi, ma non lo fanno. In Toscana invece l'uomo nel lasciare la donna, in questo ballo dice con essa: Oh vita d'oro, vita d'argento! / Dammi una mano che son contento: e si stringono la mano. I Milanesi ed i Genovesi hanno il ballo del basin, ma è ballo di figurazione.

Trascrizioni dal volume Le vecchie danze italiane ancora in uso nella provincia bolognese di Roberto Martorelli.