Le corse al trotto

Le corse al trotto

1834 | 1932

Scheda

Nel 1834 il francese Ephrem Houel presentava all’esame di una commissione di Caen, ove figuravano parecchi ufficiali di cavalleria, un progetto di corse al trotto, il quale veniva giudicato assurdo; uno dei membri dichiarò che era impossibile fare trottare due cavalli di conserva, senza vedere uno di essi prendere il galoppo dopo venti passi. Beata cacchianeria dei cosidetti competenti!... Il signor Houel sapeva che in America, in Inghilterra, in Olanda, in Russia e in Italia si allevavano cavalli destinati a questo genere di corse. Egli affermava fra l’altro che all’Italia si dovevano le origini di questo sport iniziatosi ne secolo XVIII. La sua costanza e la sua fede furono premiate nel 1836 dal Municipio di Cherbourg con l’offerta di un appezzamento di terreno, che gli permise di creare il primo ippodromo francese.

Ricordiamo questo episodio anche perché dimostra che l’Italia, fino da lontani tempi, era considerata una antesignana delle corse al trotto; ma, lasciando cadere l’affermazione del signor Houel, per noi lusinghiera, sulle origini di questo sport ippico, riconosceremo che le prime manifestazioni si ebbero in America agli inizi del secolo passato. Del resto le prime corse italiane a sedioli, di cui abbiamo esatta conoscenza, datano soltanto dal 1842 (Udine), seguite da quelle di Faenza (1844), Milano (1845), Padova (1846) e Bologna (1847); protagonisti ne erano i cavalli della razza friulana, ritenuti a quei tempi i più veloci. Dobbiamo alla cortesia dell’amico Uberto Martinelli, se ci è possibile fornire notizie sulla prima riunione di corse al trotto bolognesi, avvenuta alla Montagnola per iniziativa del signor A. Cazzani. Un manifesto edito dalla scomparsa Tipografia delle Muse così informava: Corsa dei sedioli – nei pubblici giardini di Bologna (Montagnola) – il 24 maggio 1847 alle ore 5 pomeridiane. L’avviso così concludeva: “A comodo di questo pubblico sempre gentile, si rendono fin d’ora manifesti i prezzi dei posti, divisi nel modo che segue: primi posti baiocchi 30, secondi 10, terzi 5. Quei benevoli che amassero godere lo spettacolo da palchi appositamente eretti, si compiacciano di ordinarli qualche dì prima al Direttore per la costruzione dello steccato, sig. Cesare Collina e in pari tempo di stabilirne con esso lui la grandezza e la spesa”. Assaporato lo stile pubblicitario dell’epoca, mercè il programma del signor Cazzani, passiamo a ricordare che lo sviluppo della Montagnola è di m. 548, con salita e relativa discesa. Le corse coi sedioli si davano in primavera, per la venuta della Madonna di S. Luca, suscitando grande interesse; anche i direttori dei circhi equestri Guillaume e Ciniselli che si trovavano in quei tempi a Bologna, ne organizzarono nel 1847 e nella primavera del 1853. Ricorda Testoni in Bologna che scompare, che non vi erano allora né starter, né cronometristi, né handicap né record né bookmaker. Il traguardo era rappresentato da un semplice cordino intinto di rosso verso il quale il cavallo vincitore andava per primo a sbattere il petto. I guidatori vincenti sbandieravano poi drappi nel quale erano impressi i numeri 1, 2 e 3 a indicazione del rispettivo ordine di arrivo. Intanto si manifestava in Europa la supremazia dei trottatori russi della razza Orloff, importati in Italia dal senatore Breda (che poscia importò quelli americani, fra cui Elwood Medium). Visapour, Gourko, Zeitoff, Plewna, Ghildetz, Patiesny, sconfissero facilmente i cavalli indigeni, i sostenitori dei quali si rifugiavano sbigottiti al Caffè dei Cacciatori, dove, a base di chiacchiere avrebbero voluto capovolgere i risultati. A rendere sempre più vive le competizioni sopraggiunsero gli allevatori veneti, fra cui in primo piano va posto Giovanni Rossi di Crespano Veneto, padre del cav. Giuseppe che fu senza dubbio il più abile e il più competente fra gli allenatori e guidatori d’Italia. Lo zenit dell’entusiasmo dei trottofili bolognesi fu raggiunto con le prodezze di Vandalo. Questo straordinario trottatore del colonnello marchese Giovanni Costabili, fondatore della Stazione Ippica di Ferrara, era nato il 19 aprile 1862 dal cavallo inglese Huntsman e da Cassandra ed era ritenuto indomabile. Castrato fu venduto al signor Gaetano Gallerani di Cento, che riuscì a domarlo, divenne il più grande cavallo dell’epoca. Vandalo, dopo aver trottato fino ai 20 anni, morì nel 1888; con il suo sulky a ruote alte di ferro del peso di 50 Kg. Aveva stabilito il suo fenomenale record in 1.33. Altri trottatori rinomati dell’epoca furono: Gattina, di Rossi, Fanfara, Rondello e Cambronne. Lo sviluppo delle corse al troppo andò poi assumendo nell’Emilia sempre maggiori proporzioni: negli Ippodromi di Faenza, Modena, Cesena, Ferrara e Ravenna si diedero importantissime riunioni, mentre prendevano piede gli allevamenti dei cavalli da corsa. Le riunioni alla Montagnola durarono fino al 1885, anno in cui il capitano Giuseppe Ballarini costituì con altre società emiliane l’Associazione Ippica Italiana, che doveva diventare l’attuale Unione Ippica Italiana, che sorveglia tutto il movimento trottistico della penisola. Contemporaneamente i fratelli Federico ed Enrico Zappoli fecero costruire in un loro appezzamento di terreno, fra la via Emilia e il canale di Reno, fuori porta Saffi, un ippodromo regolamentare di mezzo miglio (m.804,50). Negli anni 1886 e 87 le corse si svolsero ai Prati di Caprara in attesa che fosse apprestato l’ippodromo Zappoli, che fu poi inaugurato il 10 giugno 1888 con gran successo, in occasione dell’Esposizione Internazionale. Il Resto del Carlino dedicò all’avvenimento e alla vittoria della cavalla americana Amelia C. poche righe; l’Ehi! Ch’al scusa… del 29 giugno, invece, dopo avere elogiato l’ippodromo rotondo come una bondiola, elegante, ampio, comodo (deprecando però la polvere che si doveva assorbire all’ingresso) scioglieva inni all’indirizzo delle bellezze dell’epoca “L’ippodromo è stato visitato da reali a cui, nei vasti palchettoni, facevano corona le più splendide bellezze femminili di Bologna”. E Framassone, nella poesia “Alle corse, specificava: E nei palchi si versano, belle come le rose, fresche come le mammole, le fanciulle e le spose e quelle…mèzz e mèzz.” Infatti con l’Ippodromo Zappoli non è solo il trionfo dei cavalli che si manifesta, ma anche quello dell’eleganza e della grazia femminile bolognese. Dei fasti di questo ippodromo diremo un’altra volta.

Dicemmo, in un precedente articolo, che con la creazione dell’ippodromo Zappoli le corse al trotto attirarono la intera mondanità bolognese: lo sport ippico cominciava in quegli anni ad incontrare i generali favori. Accanto agli appassionati ed ai competenti gl’ippodromi si guarnirono di quel pubblico speciale che i contemporanei, definivano con l’espressione francese, comme il faut; mondo composto di elegantoni, belle donne, ufficiali di cavalleria e di mondane. Se Carducci aveva sciolto un inno, in un sonetto, a un cavallo vincitore; D’Annunzio si faceva vedere nelle tribune delle Cascine, circondato da una corte di ammiratrici, alle quali, lui, l’immaginifico, sciorinava sublimi lepidezze e Giovanni Pascoli poi, esaltava, all’Università di Bologna, la prosa e la fantasia di Hector (Ettore Nunzi) il maggiore animatore di tutto il movimento ippico italiano che, sul Resto del Carlino e sul Giornale del Mattino, esponeva i suoi giudizi critici e le sue impressioni. La poesia era quindi anch’essa della partita. Trottavano i cavalli e trottava l’entusiasmo. Le belle del mondo comme il faut, accorrevano ad esibirsi negli ippodromi le proprie eleganze consistenti, all’inizio del secolo, in sottane a campana, in bolero con maniche a cosciotto, in jabots a dentelles, nell’entrave (1910), e nelle famigerate jupe-culottes (1914). I loro enormi cappelli, inchiodati alle chiome, carichi di ortaggi, uccelli, aigrettes, piume di struzzo, potevano essere perdonati solo quando sotto ad essi facevano capolino carezzevoli fisonomie. Viceversa sul ricco e svariato campionario di grinte maschili che offriva l’ippodromo, si andavano ad appoggiare le pagliette, i panama e i cappelli duri. Sparivano intanto, nel 1893, i sedioli con le grandi ruote di ferro, sostituiti dai sulky americani, leggeri e scorrevoli con ruote a pneumatici; la singolare e scalcinata tuba dei guidatori passava agli archivi e l’allenamento del cavallo, sulle orme dei sistemi americani, diveniva razionale. In quei tempi le gare si svolgevano con prove multiple, generalmente due o tre, come quelle del Gran Premio di Allevamento; però nel 1914, Bellarmes ottenne la vittoria attraverso sette prove, di cui la decisiva dovette effettuarsi, per il sopraggiungere della notte, la mattina seguente. Una intera annata era riempita con un programma di tre sole giornate di corse, ma con la costituzione della Società Bolognese per le Corse e Fiere, di cui fu presidente agli inizi il duca Lamberto Bevilacqua, le giornate furono portate a cinque: tre primaverili e due in autunno. Gli intenditori e gli appassionati si moltiplicavano. Sull’esempio del senatore Breda, del barone Ruggeri di Modena, del barone Franchetti, si ebbero anche a Bologna proprietari che si rivolsero per i loro acquisti all’estero, primo fra tutti Natalino Magnani che importò dall’America cavalli come Walkyr, Spofford e Atlantic (quest’ultimo straordinario stallone), seguito da Gallina, Biagio, Oppi, Altieri, Benedetto Zamorani e da quell’ottimo driver che fu Giuseppe Lamma, ex calzolaio e grande galantuomo. I conti Omer e Renè Talon, per quanto proprietari di un famoso allevamento di galoppatori (razza Volta), erano assidui alle corse al trotto, mentre il marchese Marsigli, i conti Massei, Calari, Berti e Luigi Bersani possedevano allevamenti di trottatori di prim’ordine. Vennero in seguito le scuderie del tenore Giuseppe Borgatti (proprietario di Wainscott e di Princes Xenia (madre di Asola, Diavolone e Caronte), di Trioni, di Tullio Carli, di Elio Mignani, di Gioacchino Ossani, padre di Adolfo e Romolo, di Cesare Montalti e del ferrarese Luigi Bottoni, capostipite della dinastia dei Bottoni. Tra gli appassionati si facevano notare Faust Martinelli, Emilio Broili, Antonio Girolami, Vittorio Borghi, Antonio Sgarzi, Luigi Melandri. Le scommesse e il gioco non avevano allora (1900-1925) lo sviluppo maturatosi in questi ultimi tempi; però accanite sfide si svolgevano lungo le strade di S. Giovanni in Persiceto e di Medicina. I cavalli, ricevevano, a contesa risolta, il loro pugno d’avena, mentre i proprietari andavano ad imbottire stomaco e budella alle osterie della Chiccona a Borgo Panigale e delle Roveri fuori porta S. Vitale. Erano i Brizzi, i Mignani, i Bonazzi, i Chiusoli, i Nascè, i Montuschi ed altri a cimentarsi in questo genere di scommesse. Nel 1915 la Società Bolognese, d’accordo con la Modenese, organizzò il Gran Premio Allevamento di 100 mila lire, che continuò ininterrottamente fino al 1928, anno in cui – dopo 40 anni di vita – l’Ippodromo Zappoli, dovette cedere la sua area per la costruzione di nuove arterie della città; via Podgora, Timavo, Vittorio Veneto, hanno sostituito il campo delle corse. Scompariva così un ippodromo che aveva avuto il suo momento di splendore negli anni 1900-1925. A sostituirlo venne comunque nel 1932, il nuovo Ippodromo Arcoveggio, che è oggi la meta degli appassionati, dei giocatori e scommettitori della nostra generazione. Sui veri eroi dell’ippodromo, cioè i cavalli, sul pubblico, e su caratteristiche proprie alle corse, che vanno dal 1900 ai giorni nostri, parleremo quanto prima.

Con la creazione dell’Ippodromo Arcoveggio si iniziarono le riunioni notturne; a Bologna la novità incontrò grazie anche a un razionale impianto di luce elettrica, che permetteva un’ottima visibilità. Le riunioni serali godettero gran favore: appassionati, scommettitori, giocatori, nonché giocatrici, si moltiplicarono e il totalizzatore non ebbe requie. Tutto sembrava andare per il meglio per gli amatori dello sport ippico, quando, con la seconda guerra europea, ogni cosa fu manomessa energicamente. Centonove bombe fecero del loro meglio per cambiare la fisionomia delle installazioni, pista, tribune e scuderie, riuscendovi egregiamente. Solo nel settembre del 1945 fu possibile riprendere le corse e rappezzare l’Ippodromo. Dicemmo nel precedente articolo che avremmo menzionato i veri eroi della pista, cioè i cavalli che compirono le maggiori prodezze, ma a chi desidera vederli ricordati senza lacune, consigliamo di sfogliare gli annuari dei trottatori italiani, pubblicati dal 1895 in poi, dove sono raccolte le origini e prove dei cavalli da corsa. Non taceremo però il nome di Conte Rosso (guidato da Giuseppe Rossi), grande trottatore e gran riproduttore, né quello di Arlecchino della signora Egle Finelli che al Zappoli nel maggio 1904, guidato da Piccinini, battè tutti i concorrenti americani con il tempo spettacoloso di 1.23. Però i cavalli che raggiunsero la massima popolarità dopo Vandalo, furono Kirkwood junior di Giuseppe Lamma, il più generoso e impetuoso cavallo dei suoi tempi; Hazleton, e il fenomenale Muscletone, importato da Arturo Riva e guidato dal russo Alessandro Finn. Altri trottatori da ricordare, in ordine di tempo, sono la piccola Abnet; Codero, il roano americano della scuderia Lavezzari; Contralto di G. Rossi; Onward Silver del barone Franchetti; Prince Hall e De Sota del conte Mangelli; Tara, del famoso nuotatore ravennate Gianni Gambi e Mighty-Ned, detto il Gigante buono. Fra gli indigeni ricordiamo Elixir Ku. (Da 'Origini e gloria delle corse al trotto' di Alessandro Cervellati. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti).

Campioni vecchi e nuovi nel tramonto di un'epoca | Se le corse al trotto hanno oggi un numero straordinario di appassionati che giurano sulle virtù di un cavallo, scommettendoci di conseguenza, bisogna riconoscere che la parte pittoresca se n’è ita fino dall’epoca della prima guerra mondiale. Una delle attrattive più caratteristiche delle vecchie corse era il ritorno dall’Ippodromo Zappoli, i tiri a quattro, del conte Antonio Baldi, del marchese Pietro Rusconi, di Clodoveo Cassarini, del conte Massei, del dottor Piancastelli, di Giovannini, carichi di belle donne, sfilavano al trotto ininterrottamente, dall’Ippodromo al centro della città, attraverso via Aurelio Saffi, convenientemente annaffiata perché l’èlite non fosse offesa dalla polvere. Era un mondo sorridente che rientrava in sede: sorridevano perfino i valletti posti in piedi dietro al veicolo, posti là più per ragioni decorative che per necessità di servizio. Ai tiri a quattro seguivano le pariglie (notevole quella di Natale e Claudia Magnani), ed infine trotterellavano i fiacres. E’ incredibile l’interesse che destava il passaggio di questo corteo: le finestre si colmavano di spettatori e il popolo si pigiava nelle strade per assistere alla sfilata. Il pubblico formò un’altra delle caratteristiche delle corse di quei tempi lontani e l’ippodromo Zappoli ne ebbe per numerosissimi anni un magnifico campionario: dal popolo che, scaglionato dietro lo steccato di pista, gettava urla forsennate di incoraggiamento e di dispetto alle più belle donne bolognesi, più o meno di sangue bleu. Nei vasti palchettoni di tribuna fecero sfoggio della loro bellezza, Lina Lanzoni-Baldi (bubbole, che occhi!), la Gregorini-Bingham, la Salina Amorini, l’Olga Fabbri-Oliva, la Morozzo della Rocca, la Bianca Siccardi-Magnani, la Rusconi, l’Isolani e tutte le altre belle e tenere creature, le quali, agitando l’ombrellino da sole (accessorio indispensabile allora), manifestavano ciangottando, entusiasmi e disappunti. Si racconta che la contessa G…B… avendo perentoriamente sostenute le possibilità di un cavallo del conte M…, le sentì diminuire dalla famosa mondana P…S, la quale, altrettanto perentoriamente, affermava essere edotta sulle virtù del trottatore e del suo proprietario. “Riferirò al conte – disse la contessa G…B… - i suoi apprezzamenti: domani sono appunto a pranzo da lui…”. “Ah, lei pranza dal conte – rispose imperterrita l’altra – ebbene, io vi ceno e mi ci corico”. Dando un buon voto all’improntitudine di madamigella P…S, ci congediamo dal mondo delle corse. (Testo di Alessandro Cervellati, trascrizione a cura di Lorena Barchetti).

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La settimana Incom 962 del 26/06/1953. You Tube - Istituto Luce.

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Fantini (I) | Maratona (La)
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"Fantini - l'allenamento e la corsa"; "La maratona", ne "La Lettura - rivista mensile del Corriere della Sera", Milano, 1909. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.

Donna e lo sport (La)
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"La donna e lo sport" di Nino Salvaneschi. Da "La Lettura - rivista mensile del Corriere della Sera", Milano, 1911. © Museo Risorgimento Bologna | Certosa.

AVE
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AVE - Natale 1914 (estratto), Bologna, Stabilimento Poligrafico Emiliano.

Bononia Ridet n. 275 | 1893
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Bononia Ridet - rivista settimanale illustrata. N. 275, 17 giugno 1893, Litografia Casanova, Bologna. Collezione privata.

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