La traslazione del Nettuno - il Gigante

La traslazione del Nettuno - il Gigante

Scheda

La guerra che tante cose sovverte e travolge, ha tratto dalla loro immobilità secolare perfino le più cospicue statue che adornano le maestose piazze italiane, e il Nettuno del Giambologna, che fra quelle statue è delle più belle e più celebrate, non ha potuto sottrarsi alla sorte comune, giacché i vigili custodi del patrimonio artistico di Bologna, giustamente preoccupati della possibilità di danni dipendenti da eventuali incursioni aeree, non han creduto – nei riguardi del grande capolavoro – di potersi esimere dal prendere misure protettive e provvidamente precauzionali. E i bolognesi così orgogliosi della classica bellezza del loro Gigante, han seguito con affettuosa trepidanza gli importanti lavori per la traslazione della statua nei sotterranei del Palazzo comunale, lavori che la Commissione all'uopo nominata e composta dal pittore Oddone Scabia (assessore), degli scultori Enrico Barberi e Pasquale Rizzoli e degli ingegneri Arturo Carpi, Attilio Muggia e Renzo Bedetti, ha felicemente compiuti la domenica 10 febbraio 1918.

Per il Gigante, la discesa dal piedistallo e la segregazione in un piede di torre, come un perfetto eroe romantico costituiscono, con la copertura del 1915, gli avvenimenti forse più straordinari della sua lunga esistenza che pur non fu priva di qualche avventurosa vicenda. E' risaputo infatti che fin dal tempo della sua gestazione nello studio dello scultore (improvvisato in un vasto locale del Pavaglione dietro la Chiesa di S. Petronio) corse serio pericolo di non poter mostrare al sole la sua maschia nudità, perché il Giambologna, venuta a contesa col fonditore fiorentino Zanobi Portigliani, che gli era compagno, abbandonò l'opera incominciata e se ne partì per Firenze nel gennaio 1565, lasciando il Reggimento bolognese nel più grande imbarazzo. Solo i buoni offici del Granduca di Toscana, Francesco De Medici, suo protettore, riuscirono ad indurre l'artista a riprendere il lavoro interrotto, il che avvenne nell'aprile del successivo 1566, e la statua da lui modellata e fusa, tirata sul piedistallo a forza d'argani, poté essere finalmente inaugurata il 16 dicembre dello stesso anno. La città ebbe così, oltre ad un insigne monumento, anche la lungamente attesa e desiderata fonte pubblica, la quale, più che alle cure dei civici Magistrati, dovette alla illuminata energia del Legato Carlo Borromeo e del suo Vice-Legato Pier Donato Cesi, che ne avevano fatto approvare l'erezione da Pio IV fin dal 14 marzo 1563. Ma se il Gigante sfuggì alla terribile jattura di nascere solo a metà e di non giungere a veder la luce, fu minacciato però centosessanta anni più tardi di vedersi deturpare dalla foglia del pudore che la sciocca bigotteria cittadina reclamava con petulante insistenza. Per fortuna quella foglia, prima approvata e poi ripudiata dall'Eccelso Senato, pare gli venisse appiccicata e tolta nel 1728 mentre eseguivansi riparazioni alla statua, cosicché il pubblico non ebbe forse lo spettacolo della meschinità del provvedimento, pur conoscendo e deridendo la coerenza male in gambe dell'autorità municipale. Altre notevoli vicende del Gigante possono pure considerarsi le riparazioni e le puliture che in diverse epoche vi furono praticate, tanto più che esse ebbero quasi sempre origine da non vani, né trascurabili dubbi sollevati dai competenti sulla di lui solidità. Intorno al 1708, lo scultore Giuseppe Mazza e l'architetto Giuseppe Antonio Torri riferirono sui difetti ed i guasti da essi riscontrati nel celebre monumento e tosto furono presti i provvedimenti del caso. Questi però non riuscirono troppo efficaci, perché nel 1728 l'architetto Francesco Maria Angiolini ebbe incarico di eseguire nuove ed urgenti riparazioni. Ma neanche allora si riuscì ad eliminare gli inconvenienti, tanto ché nel 1762 l'ingegnoso meccanico Rinaldo Gandolfi, assistito da Ercole Lelli vice-principe dell'Accademia Clementina, dovette compiere un più radicale e duraturo restauro.

Durante il secolo XIX il Gigante fu lasciato in un eccessivo abbandono e solo nell'ultimo ventennio, sotto la sapiente guida dello scultore Enrico Barberi, vi furono compiuti quei lavori che la scienza ed il sentimento di conservazione giudicarono indispensabili. Nell'ultimo ventennio fu pure eseguita una scrupolosa pulitura della statua e degli altri bronzi per liberarli dalle incrostazioni deturpatrici e nocive, e venne inoltre tratto il calco dell'intero monumento per concederne copia a Leopoldo II re del Belgio, che ne aveva fatto richiesta al Comune, così come erasi altra volta praticato nel 1762, per offrirne un esemplare in gesso all'Accademia di Parma. La fontana del Nettuno, che come è noto, fu disegnata dal pittore ed architetto siciliano Tomaso Laureti, rimase fino ai primi anni del seicento libera da inutili ed inestetici ripari, ma nel 1605 venne circondata da una banale cancellata in ferro che ne offese l'armonica purezza delle linee. Agli angoli smussati della cancellata furono collocate quattro fontanelle di marmo con mascheroni di bronzo. Due di queste fontanelle possono ora vedersi nel mercato coperto di via Ugo Bassi e altre due in Piazza De Marchi, di fianco alla Chiesa di S. Francesco, perché la barriera, per lungo corso d'anni osteggiata da chiunque aveva senso d'arte, venne tolta il 3 marzo 1888. Ora il trionfante Dio dell'acqua, stretto in ben congegnato involucro, riposa nel sotterraneo della torre dell'Orologio. Durante il suo trasporto dalla fonte alla provvisoria prigione, ciò che alimentò maggiormente i discorsi della folla furono le congetture sul peso del bronzo colossale. Non sarà quindi fuor di luogo riportar qui alcune cifre riportate nelle vecchie cronache. Per formare il metallo necessario per la fusione di tutto il monumento occorsero libbre 22986 di rame, 3107 di stagno ed un mortaro di bronzo di 288 libbre; e l'opera compiuta pesò libbre 21484, mentre, da solo, il Gigante raggiunse le libbre 6800. Non è dato precisare l'entità della spesa al momento dell'inaugurazione, ma l'Alidosi afferma che per la intera fonte, la cancellata, le fontanelle ed il lungo condotto delle acque, che aveva origine dalla sorgente Remonda, scaturente sotto l'ex-convento di S. Michele in Bosco, s'erano spesi a tutto l'anno 1605, sessanta settemila cinquecento scudi d'oro. Risulta invece dal contratto che allo scultore ed al fonditore furono assegnati mille scudi.

Testo tratto da "La traslazione del Gigante" in "La vita cittadina", Comune di Bologna, febbraio 1918.

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